IDF spara contro UNIFIL? La colpa è solo da una parte?

(di Antonio Li Gobbi)
12/10/24

Gli organi di stampa hanno dato ampio risalto al fatto che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) abbiano aperto il fuoco contro posizioni UNIFIL. Ampio risalto è stato dato anche alle ferme e indignate reazioni dei ministri italiani nonché al fatto che, per una volta tanto concordi, i governi delle tre principali nazioni contributrici (Francia, Italia e Spagna) hanno formulato forti e vibranti proteste. Proteste assolutamente prevedibili ma che, penso, cadranno nel vuoto.

Ancor più prevedibile da diversi mesi era il fatto che Israele, appena stabilizzata la situazione a Gaza, avrebbe dovuto entrare in Sud Libano per eliminare una minaccia permanente contro i suoi civili che proveniva proprio dal Sud Libano. Minaccia, quella di Hezbollah, nei cui confronti né le deboli Forze Armate Libanesi (LAF) né UNIFIL paiono essere state particolarmente efficaci, non solo negli ultimi drammatici mesi ma per anni e anni.

Infatti, Israele in Sud Libano come a Gaza, sta conducendo una campagna di guerra per la propria sopravvivenza, combattendo contro i suoi nemici esistenziali, che non sono Forze Armate regolari, bensì formazioni politico militari eterodirettte da Teheran, che fanno del terrorismo il loro normale strumento di lotta. Formazioni terroristiche che ovviamente non si possono combattere ed estirpare facendo ricorso alle tattiche che si usano negli scontri tra forze armate regolari.

Si potrebbe disquisire se le azioni israeliane siano state il frutto di errori, di iniziative individuali (che con unità di riservisti, da un anno sotto incredibile stress psicologico per sé stessi e ancor più per le proprie famiglie, io da ex comandante di uomini non mi sentirei assolutamente di escludere a priori) o, come più verosimile, azioni deliberate condotte, calibrando al minimo l’uso della forza, su indicazione delle autorità politico-militari di vertice per dare un segnale politico prima ancora che militare a UNIFIL e per suo tramite al Palazzo di Vetro.

Certo, potrebbe essere interessante da verificare ai fini di una futura eventuale ricerca dei responsabili da parte israeliana. Per noi, però, personalmente non mi pare troppo rilevante e ritengo che il problema sia un altro.

Ovvero, UNIFIL ha mantenuto nei confronti di tutte le parti la sua autorevolezza? Perché una forza ONU, stanti tutti i limiti chele vengono imposti in relazione all’uso della forza, può essere efficace nei confronti delle parti solo se percepita come autorevole e assolutamente imparziale.

Personalmente, temo che la risposta sia purtroppo negativa e su questa testata avevo già evidenziato il progressivo deteriorarsi non tanto della situazione di sicurezza in Sud Libano, che è sotto gli occhi anche dell’osservatore più distratto, ma della credibilità di UNIFIL (leggi articolo "UNIFIL: inutile invocare ora la risoluzione 1701, abbiamo chiuso gli occhi troppo a lungo")

A mio modesto avviso, il punto più rilevante per noi italiani sarebbe riflettere sul fatto che se negli ultimi 18 anni UNIFIL fosse stato posto in condizione di far rispettare la risoluzione 1701 anche da parte di Hezbollah, l'IDF non avrebbe probabilmente avuto in questi giorni necessità di entrare in Libano.

Appare, pertanto, sicuramente necessaria una riflessione in merito alla incapacità dell'ONU di condurre in proprio missioni militari che vadano aldilà del "monitoring and reporting" tra entità statuali che ne accettino veramente la presenza e che, comunque, abbiano veramente la capacità di esercitare il controllo su tutte le formazioni militari operanti nell'area (ad esempio nel caso India-Pakistan). Inutile evidenziare che, ove tale contesto favorevole si verificasse, la missione ONU potrebbe operare anche senza armi.

Il problema riguardo alle missioni ONU è che possono essere veramente efficaci solo a patto che si operi tra entità statuali che siano consenzienti e che siano in grado di esercitare un controllo effettivo su tutte parti in causa (e né Libano né Israele controllano gli Hezbollah, che sono etero diretti da Teheran). Ogni volta che si è pensato di poter ampliare il ruolo militare dell’ONU, come ad esempio in Congo nel 1964, si è assistito a un fallimento, perché in campo c’erano anche milizie non statuali, come ora c’è Hezbollah in Libano. Inoltre, c’è un’incapacità strutturale dell’ONU nel gestire operazioni militar complesse, come si è visto con UNOSOM II in Somalia (1993-94) dove anche noi italiani abbiamo pagato un pesante tributo di sangue, e ancora peggio UNPROFOR in Bosnia nel 1992/95, missione ricordata soprattutto per la vergogna di Srebrenica e dove poi è dovuta subentrare la NATO con ben diverso mandato, diverse regole d’ingaggio e, soprattutto, diversa credibilità politica.

Il punto è che l’ONU non è strutturata, politicamente prima ancora che militarmente, per condurre in proprio operazioni di peace enforcing (Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite), ma solo di peace keeping (Capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite).

È certamente vero che quando venne lanciata UNIFIL II nel 2006 si fece tesoro di tutte le citate precedenti esperienze negative delle forze ONU e si adottarono molti accorgimenti per rendere UNIFIL più efficiente e credibile di tutte le precedenti missioni ONU. Forse, però, il sarcofago "onusiano" non consentiva troppi miglioramenti ed è stato restio a consentire regole di ingaggio e misure di uso della forza che consentissero di operare efficacemente nel contesti sud libanese. Occorre, pertanto, chiedersi oggi se tali “aggiustamenti” apportati alla struttura della Forza siano stati sufficienti, ma soprattutto prendere atto dei limiti che comunque avrà sempre una operazione sotto comando ONU.

Infatti, una missione ONU si può istituzionalmente basare solo sul consenso delle parti al suo operato e questo si fonda sulla fiducia. Se uno degli attori (in questo caso Israele) dovesse ritenere (a torto o a ragione) che quella Forza non garantisca più il rispetto delle condizioni concordate per il suo schieramento o, peggio ancora, che consenta invece alla controparte di acquisire vantaggi ritenuti illegittimi, è inevitabile aspettarsi sfiducia nell’operato della missione ONU.

Per questo Israele ha chiesto a UNIFIL di arretrare di 5 km, per poter agire contro Hezbollah, che ha le sue postazioni proprio in quell’area. Non è perché, come qualcuno sostiene, voglia evitare che ci siano "testimoni scomodi" (cosa di fatto impossibile in Sud Libano come a Gaza, grazie anche all’ampia diffusione dei social media), ma semplicemente perché avere una forza militare neutrale frapposta impedisce le operazioni e, oltretutto, facilita Hezbollah che può contare sul fatto che l’avversario non lo colpisca per la prossimità con le posizioni UNIFIL.

Peraltro, vedere il problema della credibilità di UNIFIL sotto un profilo esclusivamente militare, di mandato realistico, di regole d’ingaggio adeguate, di autorità all’uso della forza e disponibilità anche politica delle nazioni contributrici ad assumersi i rischi che il ricorso alla forza kinetica comporta, sarebbe guardare solo all’ultimo segmento del problema, perdendo di vista il quadro generale.

In Medio Oriente è l’ONU sé stesso ad aver perso credibilità ed autorevolezza. Soprattutto, l’ONU, per motivi sui quali potremmo disquisire, da troppo tempo non è ritenuto da Israele un “giudice super partes”.

Non si può onestamente negare l’atteggiamento anti-israeliano dell’Assemblea Generale dell’ONU (definita da Netanyahu “palude antisemita), dove la maggioranza dei paesi membri si è troppo spesso mostrata ostile a Gerusalemme per motivi religiosi (paesi islamici) o per il loro radicato antioccidentalismo. Ne fanno testo le otre 200 risoluzioni dell’Assemblea Generale di censura ad Israele dal 1948 ad oggi, probabilmente più di quante emesse nei confronti di Corea del Nord ed Iran messi insieme. Sappiamo come, in relazione alle iniziative dell’Assemblea Generale, Gerusalemme si è fin troppo frequentemente salvata solo grazie al veto USA in Consiglio di Sicurezza. Non è neppure un segreto che l’attuale Segretario Generale, Antonio Guterres (che recentemente Gerusalemme ha dichiarato “persona non grata”), sia stato molto criticato da Israele per aver condannato la reazione israeliana al 7 ottobre 2023 senza, a parere di Gerusalemme, aver mai condannato in maniera altrettanto ferma l’efferato eccidio che ha dato origine a tale reazione

Né si può più negare il coinvolgimento, che pare ormai provato, di diversi quadri dell’UNRWA (United Nations Relief and Work Agencies for Palestine Refugees in the Near East) in attività di supporto ad Hamas, compresa la copertura fornita ad attività militari e terroristiche di Hamas nella Striscia oltre alla partecipazione di alcuni suoi membri agli stessi fatti del 7 ottobre.

Soprattutto, però, non si può fingere di non comprendere il naturale senso di sfiducia da parte di Israele nei confronti di un Organismo Internazionale che, dal 1948, è massicciamente presente all’interno e intorno ad Israele con le sue diverse articolazioni militari (UNTSO, UNEF I e UNEF II, UNDOF, UNIFIL I e UNIFIL II) e civili (UNHCR, UNRWA ecc), senza essere mai riuscito a prevenire attacchi dei paesi limitrofi contro lo Stato Ebraico né a facilitarne la normalizzazione dei suoi rapporti con i paesi arabi vicini (la normalizzazione dei rapporti con l’Egitto, con la Giordania e più recentemente grazie agli Accordi di Abramo con altri paesi arabi sono state ottenute grazie alla mediazione USA e senza alcun ruolo da parte ONU).

Era pertanto inevitabile che in un tale contesto, la sfiducia israeliana nei confronti dell’ONU, percepito a torto o a ragione, come ostile e di parte, si riflettesse anche su articolazioni militari sotto comando ONU, come UNIFIL, indipendentemente dalla professionalità e impegno dei suoi militari. Militari, cui peraltro, spesso, è la stessa ONU a legare le mani.

E adesso? Dopo le pur doverose proteste dei nostri ministri della Difesa e degli Affari Esteri, cosa fare?

Intanto, non credo che Israele voglia tenere conto di tali formali proteste... Soprattutto, però, ritengo che Israele, pur coscio di rischiare di alienarsi il supporto di alcuni paesi, non possa a questo punto tener conto di tali proteste.

Qualche mese fa le nazioni contributrici più importanti (Italia, Francia e Spagna) avrebbero dovuto, a parere di chi scrive, porre con forza il problema al segretario generale e al Consiglio di Sicurezza: “O si cambia la missione per renderla in condizione di far veramente implementare la 1701 o si ritirano i contingenti!”. Quella finestra di opportunità temporale è ormai decisamente svanita. Adesso un ritiro del solo contingente italiano non può essere accettato politicamente e apparirebbe una fuga indecorosa, a meno che a livello di Consiglio di Sicurezza ONU non si decida il ritiro dell’intera missione.

Speriamo solo che la passività del Palazzo di Vetro non ci costringa a vedere il ripetersi in Sud Libano di episodi cui le Forze ONU, loro malgrado, ci hanno abituati anni orsono, come la vergogna dei soldati canadesi di UNPROFOR presi prigionieri senza colpo ferire dalle milizie serbo bosniache o quella dei caschi blu olandesi testimoni muti della strage di Srebrenica.

Foto: archivio UNIFIL