In questi momenti le lancette dell'orologio che regolano la pace mondiale hanno rallentato la corsa. America e Russia si trovano l'una di fronte all'altra a causa di un Paese - la Siria - che non può trovare pace e non ha ancora imboccato la strada giusta per cessare la carneficina di questi ultimi sette anni. L'atteggiamento aggressivo di Trump spaventa l'opinione pubblica mondiale, ma ancor di più preoccupano le risposte sornione provenienti dal Cremlino il cui governo, tra i due, sembra essere più ragionevole e meno frettoloso. Donald Trump ci ha abituato alle sue minacce urlate e anche poco "politically correct", tuttavia questa volta sembra voler giocare la partita sul filo del rasoio.
Il presunto attacco coi gas da parte di Assad è ancora da confutare e malgrado il presidente francese Macron si dica pronto ad esibire al mondo le prove, molti gridano ad un classico caso di "False Flag" dove l'incidente sembra stato preparato ad hoc per creare l'irrimediabile casus belli. Nel giro di poche ore abbiamo assistito con apprensione alla mobilitazione di navi ed aerei e persino della flotta sottomarina della Gran Bretagna per affrontare eventuali crisi militari. Ma in tutto questo marasma di manovre intimidatorie, c'è una piccola striscia di territorio mediorientale – Israele – la quale già da tempo si trova in prima linea a causa del conflitto siriano. Una posizione scomoda e pericolosa che tuttavia ha palesato una notevole capacità diplomatica israeliana nel mediare tra interventismo e opportunismo.
L’opzione siriana
In questa sede è superfluo ricondurre il discorso dei rapporti tra Siria e Israele all'alba dei tempi, indagando quali siano le radici dell'odio tra i sue Stati. Per questo ci sono pagine e pagine di libri di storia e una situazione - quella del Golan - che non è mai stata archiviata. Siamo anche abituati a considerare lo stato ebraico la patria delle questioni irrisolte che, sebbene si trascinino negli anni, non hanno mai perso la loro carica d'odio necessaria a far deflagrare conflitti improvvisi. Sebbene il direttivo israeliano non sia celebre per la sua politica attendista, questa volta la posta in gioco spinge ad una prudenza maggiore anche perché se da un lato la Knesset ha caldeggiato una certa equidistanza dalla Russia, il discorso cambia per l'Iran il quale, proprio in Siria, sta costruendo un feudo sciita molto pericoloso.
Israele, come molti altri stati che hanno vissuto sulla propria pelle la minaccia spossante del terrorismo, teme i vuoti di potere, in particolare quelli che potrebbero crearsi con la cancellazione di Assad dallo scenario politico mediorientale. D’altro canto lo stabilimento di caposaldi iraniani dietro la porta di casa, disturba non poco il sonno di Netanyahu.
Secondo l’analisi di Larry Hanauer, analista della RAND Corporation, gli obiettivi primari per Israele riguardano essenzialmente il contenimento dell’influenza russo/Iraniana in Siria la cui presenza sta agevolando il flusso di armi e mezzi verso Hezbollah1. Questo passaggio risulterebbe doppiamente pericoloso poiché le armi messe in circolazione provengono dall’arsenale russo, dunque dotate di una tecnologia avanzata. L’esistenza ai confini delle milizie di Hezbollah, incoraggiate dal sostegno russo/siriano/iraniano, compromettono la sicurezza nazionale israeliana, sebbene il premier Netanyahu abbia dimostrato senza remore di non accettare passivamente gli avvenimenti oltre confine. Il 10 aprile, ad esempio, alcuni jet della IAF (Israeli Air Force) hanno bersagliato una base siriana nella quale si trovavano armi destinate ad Hezbollah, sollevando le proteste dell’Iran, ma soprattutto della Russia. Il supporto del “Partito di Dio” ad Assad, se valutato sul lungo termine, potrebbe risultare favorevole ad Israele giacché la partecipazione delle milizie sciite alla guerra in Siria sta causando molte perdite e un conseguente assottigliamento dell’effettivo combattente2.
Le preoccupazioni israeliane riguardano anzitutto il possibile ruolo della Russia una volta sconfitta la coalizione anti Assad. Qualora Israele venisse attaccata o dai siriani o da Hezbollah, la presenza dei militari russi indebolirebbe la sua potenzialità reattiva ed è lo stesso problema, su scala maggiore, che stiamo vivendo in questi istanti quando un attacco americano potrebbe colpire per errore o i russi o gli iraniani. Timori confermati dal fatto che Hezbollah non ha mai smesso di puntare le armi sull’altopiano del Golan e farlo con il supporto siriano, russo e iraniano farebbe pendere l’ago della bilancia decisamente a sfavore di Israele.
Gli accordi sottoscritti da russi e americani ad Astana, capitale del Kazakhstan, nel luglio del 2017 per un “cessate il fuoco” nel settore meridionale della Siria, prevedevano l’istituzione di una serie di “zone cuscinetto”, tra cui una vitale vicino ad Israele profonda 40 km, entro la quale era proibita ogni attività iraniana. A dispetto di quanto deciso però, alla fine del 2017 i settori di Quneitra ed Hermon subirono diverse aggressioni da parte delle milizie sciite senza che nessuna potenza garante intervenisse3. Malgrado le ambiguità, i russi rimangano comunque un interlocutore prezioso per Israele il quale, in diverse occasioni, ha strizzato l’occhio restando fuori da questioni come quella della Crimea e le relative sanzioni comminate dal G74.
Appare, inoltre, chiaro che Israele abbia tutta la convenienza affinché la Siria ricostruisca una politica indipendente dai suoi alleati, magari pensando a una ripresa del dialogo tra Gerusalemme e Damasco. In questa prospettiva, l’operazione “Good Neighbor” iniziata nel giugno 2016, acquisisce un valore non solo umanitario, ma soprattutto politico e tutt’altro che disinteressato5.
La scelta di “Bibi” Netanyahu appare machiavellica, ma al momento è l’unica percorribile poiché lascia aperto il fronte a varie risoluzioni: di certo eliminare Assad non è la priorità di Israele, mentre è basilare limitare al massimo l’ingerenza iraniana nelle questioni siriane.
1 Larry Hanauer, Israel’s Intrests and Options in Syria, RAND, Prespective, p. 3.URL: https://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/perspectives/PE100/PE185/RAND...
2 Stefano Fabei-Fabio Polese, I Guerrieri di Dio. Hezbollah: dalle origini al conflitto in Siria, Milano 2017, p. 287.
3 Nir Boms, Israel’s Policy on the Syrian Civil War: Risks and Opportunities, in “Israel Journal of Foreign Affairs, 2018, p. 9. URL: https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/23739770.2017.1430006?scrol....
4 AA.VV., Russia in the Middle East: EU & Israeli perspectives, “IEPN – Israeli European Policy network”, Herzliya, 26-27 September 2016. URL: library.fes.de/pdf-files/bueros/israel/13116.pdf
5 Israel’s Policy, op. cit., p. 2.
(foto: IDF / Cremlino)