Dai giapponesi (del 1919!) una lezione all’Italia di oggi

(di David Rossi)
19/07/18

Nel gennaio 1919, quasi un secolo fa, il primo ministro giapponese marchese Saionji Kinmochi, aprendo la Conferenza di Parigi, si aspettava che il suo Paese facesse parte del gruppo dei “Cinque Grandi” vincitori della Grande Guerra, insieme all’Impero Britannico, alla Francia, agli Stati Uniti e all’Italia. Purtroppo, le circostanze delle prime settimane dimostrarono che il Sol Levante non era percepito come una delle maggiori potenze: le richieste nipponiche in merito all’impero coloniale tedesco nella regione del Pacifico languivano: lo Shandong e gli arcipelaghi a nord dell’equatore (Marianne, Caroline, Micronesia e Isole Marshall) facevano gola a troppi. E nessuno pensava seriamente di concederle in modo pacifico a questi buffi orientali tanto ossequiosi. A questo punto, la delegazione giapponese tirò fuori dal cilindro una controproposta: che le Potenze “bianche” si tenessero pure i territori dell’ex Impero tedesco… in cambio di una dichiarazione ufficiale sull’eguaglianza razziale dei popoli membri della Società delle nazioni. Apriti cielo, spalancati terra! Ce n’era abbastanza da mandare in iperventilazione i rappresentanti dell’Australia e degli States! La proposta fu persino messa ai voti e approvata da 11 delegati su 17, senza voti negativi… ma l’Impero britannico e gli Stati Uniti sollevarono la questione della mancata unanimità… e la tolsero presto dal tavolo. Alla delegazione giapponese furono frettolosamente concessi tutti quanti i territori richiesti, purché se ne tornassero presto a casa loro, lasciando campo libero alle Potenze occidentali e alle cose… serie.

Sappiamo come è finita: il Giappone, espulso dal gruppo dei Grandi tornò alla politica militarista e revanscista. La storia dell’eguaglianza razziale fu “digerita” dal mondo solo molti anni più tardi, dopo i massacri nazisti, il crollo degli imperi coloniali e le politiche di “separazione” attuate in Sudafrica, Rodesia e last but not least negli Stati Uniti.

Chi scrive vi ha raccontato questa storia perché vorrebbe proporre al presidente del consiglio Giuseppe Conte una strada semplice, per venire fuori dai continui impasse nella crisi dei migranti: proponga ai nostri “soci” europei ed atlantici una dichiarazione di condanna dell’intervento militare anglo-franco-americano in Libia nel 2011 - compresa una richiesta di indagini internazionali sull’omicidio di Muhammar Gheddafi e dei figli più influenti -, dei reiterati tentativi di imprese private e agenzie pubbliche di detti Paesi di sfruttare le risorse minerarie della Libia, dei ripetuti interventi di Qatar e Turchia in sostegno di islamisti - sempre in Libia e sempre con la complicità di detti tre Paesi, in particolare dei Francesi - e, infine, delle politiche di spoliazione attuate soprattutto da Parigi nel Continente nero. Tale dichiarazione dovrebbe essere fatta propria dalla NATO e dall’Unione europea. In cambio, l’Italia farebbe da spugna, come la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan fa a prezzo di molti miliardi di Euro pagati a fondo perduto dalla Commissione europea. Lo faremmo anche gratis, a questo punto.

Il lettore crede che la risposta sarebbe diversa da una completa disponibilità delle care vecchie Potenze occidentali a investire nella nostra sicurezza, dallo spartire o rimpatriare un paio di centinaia di migliaia di rifugiati e immigrati economici e dallo stabilizzare la Libia perché non ci disturbi più di tanto?