E se ne avessimo davvero bisogno?

(di Paolo Palumbo)
30/07/18

In questi giorni, sfogliando le prime pagine dei quotidiani o ascoltando le principali reti televisive, diventa difficile ignorare il fatto che l’immigrazione e gli eccessi xenofobi di qualche sconsiderato siano – più o meno giustamente – al centro dell’agenda politica del nostro paese. Intorno a questo problema la politica ha costruito la scorsa campagna elettorale trasformando di fatto i Centri di Accoglienza e gli sbarchi dei disperati in un programma politico dove ogni altro problema economico e sociale diventava secondario o direttamente correlato.

Se l’immaginazione dei giornalisti talvolta supera la realtà, creando anche guai seri, noi questa volta lo abbiamo fatto di proposito cercando di costruire un racconto fantasioso che non premi e non condanni nessuno, se non il pregiudizio. Ciò che segue è puro frutto della fantasia – se vogliamo contorta – dello scrivente il cui pensiero, tuttavia, ritorna ad una frase celebre di una delle menti più eccelse della storia mondiale. Albert Einstein affermava, infatti, “che l’unica razza a cui apparteneva era quella umana”.

   

Roma, 17 agosto 20xx.

Sessione urgente del Consiglio dei Ministri per un esame approfondito della situazione internazionale.

All’ordine del giorno: la guerra USA-Iran e gli attentati terroristici di Roma, Milano, Genova e Palermo.

Il Transatlantico, una volta luogo di scambio di segreti, indiscrezioni e gossip, si è trasformato in una cattedrale del silenzio dove ciascun deputato raccoglie le proprie idee e le proprie paure prima di entrare in Aula. Erano orami due anni che la NATO supportava la guerra tra americani, Israele e l’Iran; un conflitto alla cui base c’erano gli interessi economici legati al petrolio, ma anche una buona dose di pazzia di entrambi i capi di Stato. Come se non bastasse l’Italia si trovò improvvisamente stretta tra una decadenza economica frutto del malgoverno e un’escalation della violenza generata sia dalla piccola criminalità, sia dal terrorismo internazionale. Roma, Milano, Genova e Palermo erano state oggetto di alcune esplosioni di attentatori suicidi che causarono circa 150 vittime e altrettanti feriti. Polizia, Carabinieri e Unità speciali dell’Esercito e della Marina erano in stato di massima all’erta. La gestione dell’ordine pubblico faceva acqua da tutte le parti. Dopo i successi dell’operazione “Strade Sicure”, la guerra aveva richiamato gran parte delle truppe al ruolo per cui erano nate, così il Ministero dell’Interno decise di ricorrere prima alle ronde private, ma dopo molteplici incidenti si limitò a potenziare la polizia locale e assoldare istituti di vigilanza privati.

Le forze armate attraversavano un momento di crisi: gli impegni di Security Assistence Force in Iraq, Afghanistan e Somalia avevano mandato in tilt il normale svolgimento delle operazioni e assorbito buona parte degli effettivi; a questo il 12 ottobre 20xx si aggiunse il conflitto in Iran che richiese il dispiegamento di nuove unità. Uno stallo che durava da diverso tempo, determinato da un progressivo assottigliamento degli effettivi in tutti i reparti: in poco tempo il nostro esercito si era trasformato in un pensionario dove l’età dei militari era quasi sempre superiore ai 40 anni e i giovani non volevano saperne di arruolarsi, troppi sacrifici e pochi soldi. I movimenti di estrema destra e sinistra, da sempre leoni della piazza e delle sfilate con la musica a manetta, rifuggirono all’accorato appello del presidente della Repubblica che chiedeva loro di indossare l’uniforme e supportare la patria. Il servizio di leva venne reintrodotto per prova per la durata di un anno: esperimento reclamato dai tanti che anelavano il ritorno alla coscrizione per sensibilizzare i ragazzi ai valori nazionali. Come conseguenza, a pochi mesi dalla reintroduzione della leva obbligatoria, i confini furono intasati da centinaia di renitenti i quali preferivano espatriare che prendere un fucile in mano. Per cosa poi? Per quale causa? Le opposizioni di sinistra fecero muro e la legge venne nuovamente sospesa. Forze dell’Ordine, Esercito, Marina e Aeronautica avevano buona parte dei loro uomini impegnati sia nel fronte interno sia all’estero. Il 9° Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin”, ad esempio, non era che l’ombra di se stesso: da mesi l’élite dell’esercito non riusciva più a trovare volontari e tra le missioni all’estero e le Task Force operative della NATO in Iran, poteva contare solo su pochi uomini di riserva, accasermati a Livorno. Il COMFOSE (Comando Forze Speciali Esercito) le aveva provate tutte, finanche facilitando il percorso per diventare “operatori” delle forze speciali, ottenendo però come risultato un deciso peggioramento dello standard addestrativo dei reparti.

I nostri alleati non stavano meglio e – bene o male – l’anzianità dell’Europa iniziava ad avere ripercussioni evidenti sul suo futuro. Anni interi in cui le sessioni del Parlamento Europeo dissipavano tempo e parole tentando di raddrizzare fantomatici bilanci disegnati dalle banche: ora i conti si erano prosciugati in nome di una guerra che nessun europeo di buon senso aveva voluto.

Per le strade italiane i problemi erano i soliti: le precedenti campagne xenofobe del Ministro degli Interni degli anni precedenti avevano saturato l’ambiente urbano di paure e pregiudizi. Le politiche sull’immigrazione, rivolte soprattutto al compiacimento dell’opinione pubblica, non avevano portato da nessuna parte, se non a rafforzare l’odio di disperati verso altri disperati. I Centri d’accoglienza erano diventati ghetti a porte chiuse e intere aree cittadine adibite a rifugio di senzatetto appartenenti a varie etnie. La povertà non aveva colore, la fame faceva vittime senza distinzione di razza.

Eppure all’inizio tutto sembrava filare liscio: nessuno sbarco, l’introduzione della legittima difesa e poi…l’aumento degli omicidi, la giustizia fai da te, e altre simili porcate che delegittimarono il governo e chi lo rappresentava.

Roma – Sessione urgente del Consiglio dei Ministri – ore 14,00

Fuori da Montecitorio l’aria era bollente, non si viveva da anni un agosto così caldo. L’arrivo delle macchine blu si susseguiva ad un ritmo impressionate; da li scendevano i rappresentanti del popolo accaldati, spaventati e – cosa che accadeva di rado – con il volto cupo e preoccupato per un futuro che li avrebbe privati di potere e facile denaro. Dentro le sale l’unico conforto sembrava l’aria condizionata, per il resto il clima era irrespirabile. L’Aula del Parlamento non era mai stata così piena riunendo per l’occasione anche i senatori: questa volta c’erano proprio tutti, compresi quelli che ritenevano il parlamento un passatempo del quale occuparsi solo quando conveniva. Tutti brontolavano frasi incomprensibili e voci di corridoio congetturavano provvedimenti irrazionali, ma senza i quali il paese sarebbe sprofondato negl’inferi, senza alcuna difesa. All’ingresso del presidente del Consiglio, l’aula ebbe un sussulto e il parlottio iniziò a farsi più consistente: insieme al capo del governo entrarono il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, compresi due generali dei Carabinieri e il comandante del COFS (Comando Operazioni Forze Speciali). Di cosa si trattava? Militari che violavano il sacro suolo della democrazia? Un colpo di stato e l’abominio dei militari al potere? Sia gli scagni della destra, sia quelli della sinistra iniziarono a scandire slogan di protesta affinché gli uomini in uniforme fossero accompagnati fuori dall’Aula. Il capo del governo fece alcuni cenni al presidente della camera per richiamare alla calma i suoi colleghi.

“Onorevoli colleghi” – esordì con voce roca il presidente del Consiglio – “è ormai evidente che ci troviamo di fronte ad una situazione insostenibile e la presenza dei militari al mio fianco non deve destare la vostra preoccupazione, poiché essi sono qui per testimoniare l’imminente sgretolamento delle nostre difese interne se non si prendono provvedimenti. Anche se impopolari!”. Alcuni deputati e senatori della destra scossero la testa, quasi dispiaciuti che gli ufficiali non fossero li per prendere il potere.

“In accordo con il Ministro della Difesa e il Ministro degli Interni abbiamo verificato come gli episodi di terrorismo e criminalità siano oramai fuori controllo. L’ingovernabilità è dovuta ad un’effettiva mancanza di personale addetto al pattugliamento delle strade. La guerra contro l’Iran al fianco della NATO ha privato la nostra difesa di quasi l’80% dei suoi effettivi e non possiamo schierare più alcun militare a sostegno dell’ordine pubblico. Gli attentati islamisti occorsi giorni fa in alcune città hanno messo questo governo con le spalle al muro, tanto che in comune accordo con i ministri abbiamo deciso di procedere all’arruolamento volontario e provvisorio di almeno 2.000 unità tra immigrati e richiedenti asilo tutt’ora ospitati nei centri di accoglienza”. Ad un certo punto sembrò che i muri di Montecitorio si sbriciolassero per una improvvisa destrutturazione causata dall’ondata di proteste e urla da parte dei banchi di destra e sinistra. I rappresentanti della destra gridarono alla vergogna; come si poteva far indossare a dei “negri” l’uniforme dell’esercito italiano, con quale coraggio si confidavano alla feccia armi e munizioni? Per anni queste persone erano rimaste nei Centri d’Accoglienza rinchiuse come bestie ammaestrate funzionali esclusivamente in campagna elettorale, ora addirittura coinvolgerli attivamente nella difesa dello stato sembrava una bestemmia.

Se la destra contestava, la sinistra inorridiva…contro la destra? Eh no…i parlamentari eredi del comunismo e poi della democraticità condizionata, espressero orrore per tale iniziativa. I rifugiati e gli immigrati non erano in Italia per diventare truppe del nostro esercito; le reminiscenze fasciste delle colonie erano finite, dunque non potevano trasformarsi in reggimenti di colore al servizio di uno stato dittatoriale. Non a caso anche i deputati di sinistra coccolavano da anni – ben comodi dai salotti di casa loro – questa massa di persone dando loro denaro, abiti, telefonini, ma mai un progetto per diventare qualcosa di davvero utile. Sul serio vogliamo credere a questa storia delle risorse? E allora dopo il servizio militare, perché non li mandiamo a studiare, ma diciamo noi che utilità avrebbero se iniziassero improvvisamente a formarsi una coscienza civile per poi capire?

Sospensione della seduta.

Il Parlamento, come il resto dell’Italia, era ingovernabile.

Pausa e poi ripresa dei lavori.

Ministero della Difesa – 17 agosto 20xx – ore 17,00

Da Montecitorio trapelavano voci preoccupanti. La proposta del presidente del Consiglio fu temporaneamente rigettata all’unisono da tutto il Parlamento. Era però necessario procedere lo stesso, solo dopo avrebbero assimilato la straordinarietà del provvedimento. Nessuno era più in grado di fermare l’ondata di violenza, anche se la stessa idea di arruolare nell’esercito italiano degli immigrati poteva causare ulteriore disordini. Bisognava prendere dei rischi.

Un pool di ufficiali lavorava da mesi a questa eventualità. Le tre armi, compresi i Carabinieri avevano vagliato ogni condizione che escludesse il ricorso agli extracomunitari, ma senza successo. Tuttavia se si fosse riusciti a coinvolgere provvisoriamente – in modo volontario – almeno una piccola porzione di stranieri nella difesa del territorio, allora forse si sarebbero placati gli animi dei violenti. Ma come procedere? Chi ammettere nelle liste di arruolamento? Quali i pro e i contro? In una situazione d’emergenza come questa –ricordava a tutti il Ministro – si deve guardare con ottimismo ai possibili risvolti positivi, si procederà in maniera empirica, poi si valuterà il resto.

Come già detto, da molti anni i Centri di Accoglienza erano diventati un manifesto politico, ricolmi di ragazzi le cui speranze di trovare una dignità si erano smorzate tra un pasto gratis della mensa, pochi spiccioli e uno smartphone.

Molti lavoravano, ma quali lavori: vittime di una schiavitù del XXI secolo. I peggiori si dedicavano al piccolo spaccio, altri a crimini più efferati, rischiando la loro vita, ma consci che nessuno, in quelle condizioni, li avrebbe mai presi. I più vagavano senza senso per le vie delle città, alla ricerca di un po’ di elemosina fuori dai supermercati o davanti qualche negozio. Gli italiani non erano razzisti – questo lo sapevano – ma avevano anche imparato che nei momenti difficili la tendenza comune era quella di cercare un colpevole: negli anni Trenta i tedeschi lo avevano fatto con gli ebrei, dunque era una situazione pericolosa.

Il Ministro, in armonia con il suo entourage di esperti, chiese allora che venissero organizzati alcuni reparti di truppe straniere su base volontaria. Avevano facoltà di arruolarsi tutti i giovani immigrati e/o richiedenti asilo dai 18 ai 30 anni, purché senza precedenti penali. Le aliquote volontarie sarebbero poi state trasferite ad un CATS (Centro Addestramento Truppe Straniere) comandato da un colonnello italiano supportato da addestratori anch’essi italiani. L’istruzione alle armi non poteva essere lasciata al caso e vista l’esperienza maturata nella Military Assistence il personale fu selezionato tra gli elementi migliori del COMFOSE. I quadri ufficiali dovevano essere italiani (la scuola coloniale inglese aveva fatto breccia negli animi più buonisti), supportati da pochi sottufficiali scelti secondo la nazionalità predominante dei plotoni e compagnie estere.

Il corso, della durata complessiva di 3 mesi, formava sommariamente gli allievi all’uso delle armi (alcuni lo sapevano già fare!) sulle regole della vita militare e – cosa strabiliante che persino gl’italiani avevano dimenticato – sul significato della Costituzione. Al primo sgarro o intemperanza la recluta doveva abbandonare i ranghi e tornarsene da dove era arrivata.

In totale il servizio militare richiesto durava 24 mesi al termine dei quali i soldati avrebbero ottenuto la cittadinanza italiana e la possibilità di accedere (tramite regolare concorso) ai reparti regolari delle Forze Armate. Il problema era che molti ragazzi provenivano da zone di guerra, o meglio fuggivano dalla guerra, come convincerli allora? Secondo gli esperti molti avrebbero accettato in previsione della cittadinanza, ma anche perché potevano nuovamente crearsi un’identità e un qualcosa in cui riconoscersi in mezzo ai propri connazionali, per una causa comune. I reparti stranieri avrebbero svolto servizio sul suolo patrio, in appoggio delle forze dell’ordine, nelle città considerate più insicure. Uno stipendio discreto (inferiore a quello di poliziotti e carabinieri italiani), ma con delle prospettive gratificanti che potevano dunque stimolare al reclutamento. L’innovazione di un simile espediente stava però nella domanda “Che cosa sai fare?”. Il Ministro aveva, infatti, imposto ai reclutatori un’accurata intervista (fatta da personale istruito, ma soprattutto capace di parlare una lingua straniera) del candidato al fine di accertarne le sue predisposizioni. Nessuno negli anni trascorsi si era interessato seriamente su come trasformare in risorse questa pletora di disperati: neanche uno aveva studiato dei progetti di integrazione, non assistenziali, ma di vero coinvolgimento nella vita del paese che li ospitava. Certo, il mondo militare non era la stessa cosa che un ufficio in centro o un’aula universitaria, ma rappresentava pur sempre un inizio.

Il bando fu affisso in tutti i Centri e il personale sanitario iniziò una serie di verifiche sullo stato di salute degli ospiti così da informare i Centri di Reclutamento sulle condizioni generali dei giovani “in età militare”. La notizia creò scompiglio tra i nigeriani, senegalesi, camerunensi, tunisini, ecc: non era un’imposizione – qualcuno rammentò – ma una richiesta d’aiuto. Una supplica da parte di un governo che aveva sempre guardato con diffidenza al “diverso” e giudicato molto più semplice manipolare l’ondata migratoria per il suo tornaconto. L’estrema destra e i centri sociali tacevano da tempo, erano spariti non appena si udì la parola guerra, ingoiati dalla loro inettitudine e insensatezza, vittime della loro vigliaccheria e schiavi dei soldi di mamma e papà. I ragazzi migliori già servivano in armi, mentre buona parte degli italiani ondeggiava come un vascello nella tempesta alla ricerca di un approdo sicuro.

Poi la guerra, il terrorismo e le strade tipo “1999: Fuga da New York” avevano stravolto il mondo di sicurezze in cui tutti dormivano e turbato il sonno anche alla malavita più tradizionale che, a causa della guerra, aveva abbassato le rendite dei suoi loschi affari. Ora qualcuno si era accorto di loro, dei “diversi”, scrutandoli in modo diverso: alcuni amplificando il loro odio, molti accendendo le ultime speranze.

Il decreto d’urgenza stava per essere approvato, ma nessuno immaginava cosa sarebbe accaduto.

Roma, Milano, Genova, Torino, Venezia, Potenza, Catania e altri comuni italiani.

18 agosto 20xx

Roma. Alla fine il Parlamento, nel corso di una riunione che assomigliava più allo scontro tra gladiatori zoppi, approvò con riserva la legge d’urgenza sull’arruolamento degli extracomunitari. Destra e sinistra sgretolarono – non senza rimorsi e con molti timori – il grande alibi dietro il quale per anni avevano occultato la loro inettitudine: l’immigrazione.

Nel frattempo giungevano notizie provenienti dai diversi Centri d’Accoglienza: alcune colonne di migranti, zaino in spalla e smartphone in mano erano stati visti dirigersi ai primi punti di raccolta presidiati dall’esercito. Molti sarebbero fuggiti una volta ricevuta un’arma, ma altri forse no. Era una nuova sfida.

(foto: U.S. Army)