In tre mesi, il presidente egiziano Abdel Fatah Al Sisi ha visto passare dal suo studio tre ministri italiani: dal colloquio sui migranti con Matteo Salvini, specialità del ministro dell’Interni, all’incontro franco e costruttivo con Moavero Milanesi, titolare degli Esteri, più interessato agli equilibri geostrategici della Regione. Finalmente, una settimana prima che si accalorasse di nuovo la guerra civile libica è arrivato anche il secondo stakeholder del gabinetto Conte, quel Luigi Di Maio di cui chi scrive non si aspettava questa visita.
Statalista e centralista, il leader politico del Movimento Cinque Stelle ha vestito per un giorno i panni del Talleyrand e, messi sotto il tappeto le lotte grilline contro gli idrocarburi e la TAP, lodando ENI per non aver abbandonato l’Egitto anche nei tempi più difficili, si è seduto al tavolo con colui che in un precedente articolo (link) avevamo definito il “ragno” della ragnatela libica e mediorientale, Al Sisi appunto.
Che dire? Allo scrivente “Giggino”, così silenzioso ora che Tripoli sembra bruciare un’altra volta, in questi panni da statista pragmatico è piaciuto: dispiace solo che, per tentare di non irritare troppo gli attivisti più scatenati del suo partito, abbia dovuto accendere un po’ troppi (e inutili) ceri alla memoria di Giulio Regeni, finendo per oscurare così una visita da “politico maturo” che avrebbe potuto apparire sui giornali in una luce migliore. Ma forse è proprio questo, ci piace pensarlo, che il vicepresidente del consiglio cercava: un po’ di “caciara” in Patria allo scopo di nascondere la politica del “business as usual” con l’Egitto consacrata da questo incontro. Su questo, il governo gialloverde sta continuando, migliorandola, la politica intrapresa dall’esecutivo Gentiloni, in opposizione alle iniziative sciagurate e antitaliane intraprese da Renzi.
Chi legge, ricorderà quanto sia importante per l’Italia il rapporto con l’Egitto (v. articolo), sia per gli equilibri regionali sia per le relazioni economico-energetiche tra i due Paesi. Se per quest’ultime, le recenti visite (al netto di quella di Salvini, più una chiacchierata sui migranti che altro…) hanno prefigurato un consolidamento dei progetti strategici di ENI e di altre imprese italiane nella terra dei Faraoni, chi scrive si pone due domande: 1) se non sarebbe il caso di preparare una visita anche del ministro della Difesa, per iniziare a progettare iniziative congiunte tra Roma e Il Cairo e rafforzare il ruolo dell’Egitto come compratore dell’industria bellica del Bel Paese, ma soprattutto 2) se non ci sarebbe l’opportunità di usare il nuovo clima di collaborazione italo-egiziana per avviare contatti più seri con l’Arabia Saudita, cliente strategico per l’industria italiana degli armamenti e, in generale, per il Made-in-Italy di qualità, oltre che potenziale compratore di ampie fette del nostro debito pubblico.
Ci piace pensare che il giovane vicepresidente del Consiglio, il maturo ministro degli Esteri e l’esperto ministro della Difesa già stiano lavorando all’unisono in questa direzione, considerando che Riyad non risponde a Berlino ma a Washington circa il proprio sostegno a quello o a quell’altro Paese e che, quindi, nel caso, non così improbabile, di una nuova crisi del debito sovrano italiano, l’Arabia saudita potrebbe diventare un partner importante di Roma. Chiedete al Sisi se sarebbe riuscito, senza il supporto di Sauditi e Emiratini, a venire a capo delle gravi crisi che hanno colpito l’Egitto negli ultimi cinque anni e del rischio di trovarsi isolato mentre le ONG europee gli davano addosso senza sosta. Anzi, speriamo che “Giggino” glielo abbia chiesto: dopo tutto Mohamed bin Salman è uno che ama usare i social media come il leader pentastellato…
(foto: web)