È proprio vero, come diceva Winston Churchill, che gli Italiani fanno le guerre con lo stesso spirito con cui si appassionano di calcio e seguono il calcio come se fosse una guerra! Questo è il caso del tema delle missioni di peacekeeping o peaceenforcing, che accalora e divide l’opinione pubblica del nostro Paese. Dato che questa rubrica nasce con l’intento di darvi la parola su questioni di geopolitica o di Difesa sulle quali le opinioni possono essere molte e diverse, con piacere abbiamo constatato che questa volta vi siete davvero impegnati proponendo molte e interessanti analisi, che volentieri pubblichiamo.
Sarà forse il caso di tornare su questo argomento, magari prima dell’estate, per approfondire per esempio le missioni in Libano e Niger, sulle quali vi siete molto concentrati.
Sergio è un veterano di questa rubrica e si chiede, giustamente, se le missioni servano a giustificare il galleggiamento del budget della Difesa o se il fatto che ancora detto budget non sia andato a fondo ci permetta di fare le missioni internazionali in modo dignitoso.
Una missione di pace dovrebbe stabilizzare una situazione a conflitto finito. Il ricorso preventivo o peggio ancora, in corso d’opera, spesso si risolve in un dispendio di risorse enorme a fronte di una esagerata esposizione degli operatori in teatri di guerra caldi e persino vincolati a regole d’ingaggio suicide redatte da politici distanti (per non dire incoscienti).
Dal Libano 1982 a oggi, l’Italia è stata un “sballottata” in vari scenari più per una generica necessità di “pace nel Mondo” e visione ONU, che per interessi nazionali. Inutili spese per giustificare il budget della Difesa? Occasioni di formare personale sul campo e forze armate altamente qualificate? Una dimostrazione che l’Italia c’è e fa la sua parte? Secondo me la realtà sta nel mezzo. Prima Golfo, Somalia, Kosovo, poi Afghanistan, Iraq, con la famigerata Nassiriya, ora il teatro sta invece spostandosi dall’Asia all’Africa per ragioni apparenti che trovo condivisibili: agire in modo preventivo alla radice dei problemi immigratori che minacciano Italia in primis ed Europa a seguire. Non reputo egoismo nazionale, arginare i flussi migratori e formare personale sul campo in Libia e Niger, tuttavia temo che i nostri professionisti finiranno a fare da poliziotti per altri paesi (Francia) davvero mossi da meri interessi nazionali in un teatro tutt’altro che risolto.
Se fossimo realmente egoisti stazioneremmo al largo di Cipro facendo braccio di ferro con la Turchia (per dirne solo una) o tuteleremmo davvero l’Eni in Libia (magari averlo fatto nel 2014). Il mio sentore è che stiamo andando verso un futuro dove i paesi forti europei, strumentalizzeranno traffici umani, guerra, immigrazione, per usare i ragazzi dei paesi meno accorti come bersagli o poliziotti mentre s’accaparrano risorse. Ma sono sereno. I nostri soldati potranno sempre dissentire avvalendosi di scioperi sindacali ottenendo un dispiegamento tattico sulle roventi strade della Caput Mundi.
Michele si chiede come mai le missioni internazionali dove sono impiegate le nostre Forze armate non siano più coordinate col Sistema Paese. Beh, a dire il vero, niente è coordinato e forse lo stesso Sistema Paese è alquanto disorientato!
Prima di tutto chiariamo una cosa: le FFAA sono la migliore politica estera che il nostro paese riesce ad esprimere, perfino l'ambasciatore Fulci, che certo non è mai stato un acceso militarista, fece della partecipazione alla varie missioni in giro per il mondo uno dei pilastri della sua politica all'ONU.
Dal lontano Libano '82 ad oggi abbiamo creato e sviluppato un “italian style” che, incredibile a dirsi, funziona... A volte i nostri reparti sembrano più come l'orchestra italiana di Renzo Arbore che un reparto militare e, a volte, quando necessario, abbiamo dimostrato che anche la nostra orchestra sa suonare!
Voglio tralasciare il solito discorso sulla politica incapace, drammaticamente incapace, e asservita a interessi altrui, seppure abbia solidi fondamenti, ma concentrarmi sull'errore che il nostro paese continua a commettere. Mi spiego: quando c'è una missione mandiamo in zona di operazioni 10, 100, 1000 soldati e amen... ogni tanto c'è la visita del CSM, ministro, sottosegretario ma il paese non li considera, a malapena sa che sono in missione e perché. Si provi a pensare a cosa succederebbe, secondo voi, se una scuola prendesse l'iniziativa di far scrivere ai propri alunni una lettera da inviare ai soldati in missione per ringraziarli di quello che stanno facendo o se qualcuno appendesse la bandiera come gesto di sostegno.... questa cosa, normalissima in altri stati, scatenerebbe da noi un autentico pandemonio.
Si potrebbe parlare di una rivoluzione negli affari... civili!!!
Il futuro delle missioni di pace dovrà prima di tutto coinvolgere tutto il sistema paese, attenzione non asservimento al potere, ma in parole semplici un risveglio della coscienza di noi cittadini, di ciò che è necessario fare e dell'orgoglio di farlo per la nostra piccola grande nazione.
Il lettore Alessio ci va notare come le regole d’ingaggio per il nostro personale in missione spesso siano fatte più per essere politicamente corrette che efficienti.
Concordo pienamente sull'uso delle virgolette per incorniciare le parole DI PACE in quanto, a mio modesto parere, le missioni di peace keeping, specialmente quelle in Iraq e Afghanistan, e per molti aspetti anche in Somalia ad inizio anni '90, sono tali solo nel nome, per motivi di opportunità politica, di responsabilità di fronte all'opinione pubblica e per rimanere nei limiti dei mandati parlamentari, in quanto sono vere e proprie missioni di imposizione della pace.
Si cerca di tenere tutto nascosto, ma basta consultare la Gazzetta Ufficiale ed il sito istituzionale del Quirinale: ad un occhio attento non possono sfuggire tutte le decorazioni, e le relative motivazioni, che i nostri soldati si sono guadagnati sul campo... ovviamente a queste occorre aggiungere quelle secretate...
La più immediata conseguenza di questo equivoco, voluto, si riflette nelle Regole d'Ingaggio: le squadre sul terreno si trovano ad operare in maniera squilibrata di fronte alla reale situazione operativa oltre che ai limiti del mandato parlamentare, con evidenti problemi di discrezionalità nel caso uno o più comportamenti delle nostre task force dovessero finire sotto inchiesta.
La fine delle missioni in Iraq e Afghanistan non credo segneranno la fine delle missioni internazionali alle quali l'Italia prenderà parte, ma sarebbe auspicabile, per il futuro, il coraggio di chiamarle con il loro nome, ampliando le ROE a favore della sicurezza dei militari sul campo.
L’antico lettore Luca ci fa riflettere e divertire con l’ironia.
"Missioni all'estero"...…. Il nostro amato Di Maio ha fatto una missione all'estero quando è andato dai gillet gialli? E il tanto discusso Macron ha fatto altrettanto quando è comparso alla RAI intervistato da un imbarazzante Fazio? In teoria no, essendo ambedue cittadini "europei" (la E maiuscola la diamo quando sarà realmente Europa). Cos'è allora una missione all'estero? In teoria un paese è in "crisi" da solo o con altri e paesi e sempre in teoria paesi buoni e bravi vengono ad aiutare la popolazione a togliere di mezzo il governo cattivo o il dittatore di turno. Questa di fatto è la teoria.
Nella realtà dei fatti lo sappiamo tutti: se ci sono interessi i "Buoni" si muovono solo se c'è un tornaconto, altrimenti…. Vedi guerra in Iraq: truffato il povero e laico Saddam dopo che strenuamente aveva combattuto gli Iraniani, armato e per conto dei "Buoni", raggirato sul compenso che doveva avere in quote petrolifere, il "Povero" si è rifatto sui cugini Kuwaitiani (non vi ricorda forse la truffa ai danni dell'Italia dopo il primo conflitto mondiale? E Fiume non ricorda tanto il Kuwait? Tempi e modi sicuramente diversi, ma tanto per rinfrescare...) Perché allora l'Italia ha partecipato all'ampia coalizione internazionale? Per dare manforte verso l'opinione pubblica alle varie compagnie petrolifere: si doveva far credere che il vero motivo era liberare i poveri cittadini Kuwaitiani: qualcosa economicamente è tornato? Forse si, forse no chi lo sa? Tutte da allora e prima di allora sono state analoghe situazioni.
Pensare che si vada in missione umanitaria per fini realmente umanitari è come credere che un alieno arrivi dallo spazio e ti dia una valigia carica di soldi: possibile ma molto improbabile. Allora, come fa un Buono a decidere di fare una "Missione umanitaria"? Molti Italiani più o meno hanno pensato di "Umanizzare" la Libia. Chi di voi affezionati non ci ha pensato? Visto che l'Eni ha interessi e visto che i Libici andrebbero un po' aiutati, qualcosa gli dobbiamo: il tutto sarebbe giusto, un po' per amore un po' per benzina. Ma invece di agire "Che famo?" Forse ci servono i fondi per tale missione? E se li domandassimo a Unicredit? Con un presidente francese pensate che li fornirebbe? (Riflessione per le varie aziende ancora Italiane, a buon intenditor...) Ci lamentiamo dell'influenza francese in Libia, ma chi si muove in Africa a parte Parigi? La Cina è sempre più Umanitaria, gli Stati Uniti, Gran Bretagna, persino la Germania , e noi che "famo"? E proviamoci una volta!!! La Libia è vicina, ci sono interessi comuni, abbiamo i mezzi per questa crisi. Ci aiuterebbe ad affermarci, a credere in noi e nel nostro paese ad aiutare realmente una nazione a cui siamo legati. Finiamola di lamentarci sempre dei secchioni francesi e tedeschi: per essere promossi bisogna studiare, per essere PAESE bisogna agire.
Mauro si domanda quale sarebbe il futuro senza le missioni internazionali.
Lo smantellamento delle attuali e più cospicue missioni dove i ns soldati sono stati "combat" probabilmente faranno perdere una buona parte delle skill acquisiti in questi anni. Le nostre priorità in futuro le vedo più rivolte nell'altra sponda del Mediterraneo dove servirà stabilità e protezione degli interessi nazionali. Sarà difficile tenere ben motivato il comparto delle fs con le sole esercitazioni dimostrative e questi ragazzi (la parte migliore della nostra Italia) rischiamo di perderli perchè demotivati. ci sono dati sul tasso di abbandono/congedo nei reparti di fs e fos?
Claudio è un lettore visionario e coraggioso.
Credo che un grande Paese (!?) debba partecipare a queste missioni, traendone vantaggi di ogni tipo come fanno tutte le Nazioni partecipanti. Siccome si stanno concludendo, dai risparmi conseguenti si dovrebbe aumentare il numero delle forze speciali (sfruttando le esperienze acquisite dal personale già impiegato all'estero), migliorare gli armamenti, produrre nuovi sottomarini e lanciare satelliti in collaborazione con Israele. Sviluppare l'attività di intelligence. Occorre essere credibili e temibili. Il resto è ininfluente.
Il lettore Luca mette in evidenza i limiti della nostra azione a livello internazionale.
Premesso che non sono un esperto, al più un attento lettore, mi permetto le seguenti considerazioni: da un punto di vista militare le missioni all'estero sono state generalmente un successo (con l'esclusione di Nassiriya, dove si sono fatti dei gravi errori tattici), hanno consentito alle ns. Forze Armate di crescere professionalmente, di testare mezzi innovativi della nostra industria, che sono diventati un grande successo commerciale in tutto il mondo, di acquisire esperienza e di ricavare qualche dividendo politico. Su quest' ultimo punto su un piano quindi politico e strategico però mi sento di elevare forti critiche: si è sostituita una strategia politico/militare con chiari obiettivi al principio: l'Italia c'è sempre. Ma per quali obiettivi? Se non ricordo male le nostre forze armate sono presenti in oltre una dozzina di missioni, e credo sia un record fra le nazioni occidentali. Con una usura di uomini e materiali non proporzionata ai risultati, assai deludenti, di politica internazionale. Non abbiamo ottenuto nulla dalla riforma del Consiglio di Sicurezza Onu, siamo stati umiliati in Libia, la Turchia ci ha sbeffeggiato a Cipro, l'India ci ha umiliati con la nota vicenda dei marò. Meglio meno missioni, ma più rispondenti a reali e stringenti interessi nazionali, soprattutto in area mediterranea.
Marco ha le idee più chiare… di noi sulla missione in Niger.
Fin dall'inizio non ho capito, o meglio sì, il senso della missione in Libano. Usata come scudo al riparo della quale Hezbollah ha fatto tutto quello che gli pareva. E continua a farlo. Per le altre non ho obiezioni. Anzi penso che quelle in Africa, specie Libia e Niger, andrebbero, se possibile, rafforzate.
Infine, lasciamo la parola al lettore Andrea che ci offre una casistica delle nostre missioni internazionali.
Per l'Italia, esistono diverse tipologie di missione militari all'estero
- umanitarie, di cui di solito si sa poco o niente. Non interessano i giornali mainstream (a meno che non ci crepi qualcuno)
- pseudo umanitarie, che sono interventi in paesi per noi strategici o in cui abbiamo legami a volte alquanto opachi, per quanto ufficiali, a livello di cooperazione economica. Spesso siamo costretti a intervenire proprio per impedire che altri paesi si impadroniscano dei nostri asset, faticosamente e dispendiosamente acquisiti
- quelle per fare bella figura in sede ONU, usate dai politici per fare, o tentare di provare a fare, bella figura (leggasi seggio in consiglio - ma quando mai...). Uno spreco assoluto, anche se, bisogna pur dirlo, la paga dei soldati italiani in missione all'estero è una delle migliori al mondo, e quindi c'è sempre chi sorride
- quelle comandate dai nostri "alleati" NATO (quelli pesanti), che ci ricordano, e lo fanno più spesso di quanto non si creda, che per quanto vecchi I PATTI VANNO RISPETTATI almeno ancora per qualche decina d'anni (non siamo mica la Germania noi) che ci vedono fornitori di uomini e mezzi, da inviare ovunque servano. Zitti e mosca. Punto
- quelle pro ENI, forse le uniche che valga la pena fare, in quanto necessarie a provare a garantire i rifornimenti strategici energetici, e i relativi lucrosi affari. Sono e saranno le più pericolose, perché ci troveremo (e già ci troviamo) contro proprio i nostri stessi "alleati", che di noi non hanno mai avuto ne hanno, e avranno, ne rispetto ne pietà.
Foto: U.S. Army / U.S. DoD / web