Per la terza volta in due mesi, piloti russi hanno intercettato aerei statunitensi nelle acque internazionali del Mediterraneo orientale. L'ultimo episodio in tal senso è datato 26 maggio quando un aereo da pattugliamento marittimo P-8A Poseidon della U.S. Navy è stato affiancato per 65 minuti da due caccia multiruolo Sukhoi Su-35 russi della VKS (Forze Aerospaziali Russe). L'azione in questione secondo l'ufficio stampa della 6ª Flotta USA ha messo in pericolo la sicurezza dell'equipaggio del P-8A poiché i due caccia russi sarebbero stati talmente vicini alle ali da impedire qualunque tipo di manovra.
Washington ha preteso da Mosca il rispetto dell'Accordo INCSEA del 1972 per la prevenzione degli incidenti in acque internazionali definendo la condotta dei russi "irresponsabile".
Fin qui la cronaca, ma di fatto la questione non si ferma qui perché induce a fare una riflessione sulle direttive della politica estera americana dall'ultima fase di Obama alla Casa Bianca fino all'attuale presidenza Trump.
La crisi ucraina del 2014 con la conseguente annessione russa della penisola di Crimea ha costretto gli USA a rivedere gli aspetti più radicali del "Pivot to Asia" teorizzato dagli strateghi obamiani e che relegavano Europa e Russia in secondo piano tra le priorità strategiche statunitensi.
Le sanzioni reciproche russo-occidentali, il "Russiagate" e la procedura d'impeachement contro Trump hanno inasprito i rapporti già difficili con Mosca; senza contare che Donald Trump, proprio come a suo tempo Ronald Reagan, non risponde - per formazione, bagaglio valoriale e prassi politica - al classico schema della diplomazia americana e questo getta un cono d'ombra di difficile interpretazione, qualora Trump restasse presidente, sul futuro dei rapporti con i russi.
Dalle azioni "irresponsabili" dei russi in mare aperto emerge comunque lo spostamento verso Sud del baricentro della politica estera moscovita. Raggiunto l'obiettivo storico di avere saldamente i piedi a mollo nei "mari caldi", i russi si stanno concentrando su una politica - che non esclude gli interventi militari diretti - attiva in Siria e Libia.
Se è improprio utilizzare la definizione di "nuova Guerra fredda" per questa nuova fase di tensione russo-americana perché si snaturerebbe il significato storico di quel conflitto globale e totalizzante, non è improprio osservare come la Russia, secondo una concezione tradizionale ma fortemente pragmatica delle relazioni internazionali, utilizzi le Forze Armate come uno strumento politico atto ad inviare segnali agli avversari, in questo caso gli Stati Uniti.
Le provocazioni russe degli ultimi due mesi in acque internazionali non rispondono ad una logica aggressiva ma sono il frutto di quella condotta putiniana che ha regolato - eppure mai rotto - il rapporto tutto particolare con Washington.
È un segnale di esistenza e presenza russa in un'area che, fino a qualche anno fa, sembrava essere proprietà privata degli Stati Uniti.
Foto: U.S. Navy