Caro direttore, complice il pensionamento di un amico comune, qualche giorno fa il sottoscritto e due cari amici, di diverse Forze Armate, abbiamo avuto l’occasione e il reciproco piacere di rincontrarci di persona in via XX Settembre. Amici da una vita, liceo insieme, ovviamente meridionali, due di noi figli d’arte, abbiamo intrapreso la carriera militare a vent’anni, nell’Esercito, nella Marina e nell’Aeronautica e ora, anche noi a pochi mesi dalla pensione, una volta tanto non ci siamo incontrati in qualche polverosa base in giro per il mondo, ma in quel palazzo che oggi riporta sul frontone la scritta Palazzo Difesa (con qualche malumore del mio fraterno amico dell’Esercito).
L’incontro, iniziato nei corridoi di Palazzo Difesa, è proseguito in uno dei tanti ristoranti di via Nazionale, dove dopo le consuete domande sullo stato di salute dei famigliari, le domande di rito sui classici mugugni di quelle “sante” delle nostre consorti, e sulle carriere, scolastiche e, ovviamente, militari delle nostre figlie e dei nostri figli, inevitabilmente i ricordi e le considerazioni di una vita passata in divisa hanno preso il sopravvento. Dal 1991, a partire dell’Operazione Locusta (l’invio dei nostri 8 Tornado ad Al-Dhafra E.A.U.) ai recenti dispiegamenti ai confini della NATO, non c’è una operazione alla quale non abbiamo partecipato, ognuno nella propria F.A., con particolare predilezione per il sottoscritto per le attività in aerea balcanica, per l’amico dell’Esercito in Afghanistan e Iraq e per il “fra’” (nomignolo in uso tra i Marinai) della Marina in Asia e Mediterraneo.
In tutti questi anni, tra attività operative e internazionali NATO e bilaterali, abbiamo conosciuto giovani tenenti e capitani, oggi generali e ammiragli a 3 o 4 stelle, e spesso abbiamo condiviso con loro e tra noi gioie, preoccupazione e, purtroppo, dolori come a Nassiriya o Herat, con la morte dell’amico Mauro Gigli. Ma a quel tavolo, pur non disquisendo di geopolitica o di massimi sistemi della difesa, i nostri quasi 120 anni di esperienza complessiva di vita militare ci hanno portano inevitabilmente a considerare le conseguenze di ciò che sta avvenendo ai confini della NATO, anche nelle nostre Forze Armate.
Quando ci siamo arruolati il nemico era il Patto di Varsavia, e sapevamo che la possibilità, sebbene remota, di uno scontro con i Paesi dell’Est, avrebbe visto la distruzione delle nostre Forze Armate nell’arco di massimo 96 ore, ma era quanto ci era chiesto dalla dottrina NATO dell’epoca.
Oggi, in un mondo globalizzato e dominato da Internet e dall’Intelligenza Artificiale, l’uomo sul terreno è ancora il cardine di ogni attività bellica. Ma qui, con profondo dispiacere, abbiamo dovuto trarre tutta una serie di conclusioni, purtroppo negative.
Le nostre Forze Armate, con tutte le limitazioni politiche, economiche, logistiche ed operative, tutte, senza eccezioni, hanno una componente umana di eccezionale qualità, lo dico senza tema di smentite, che non sfigura minimamente con tutte le altre Organizzazioni Militari della NATO. E non parlo dei colleghi delle Forze Speciali, ma proprio del Fante, del Marinaio e dell’Aviere medio (e ci metto pure i Carabinieri che in determinate situazioni sono proprio eccezionali), MA, e qui il MA deve essere maiuscolo, siamo troppo pochi e troppo vecchi! Lasciamo da parte le recriminazioni economiche dovute al salario, che ci vedono davanti solo alla Turchia e alla Grecia nella NATO, ma i nostri numeri sono talmente pochi da far spavento!
Le forze armate ucraine in due anni sono state ricostruite 3 volte, dopo che i militari professionisti sono stai sacrificati nelle prime fasi della guerra; noi difficilmente potremmo tenere due mesi (sono ottimista, come dice il mio amico dell’Esercito). Senza contare che io ricordo bene lo shock post Nassiriya, dove morirono 17 fratelli in armi (e 2 civili) con l’Italia tutta annichilita dal dolore; oggi saremmo in grado di accusare il colpo di 250, 300 morti in combattimento? Non lo so, ma ne dubito.
Far parte di una organizzazione come la NATO indubbiamente in qualche modo ci tutela, ma il nostro contributo, con tutte le puntualizzazioni e le dovute eccezioni, purtroppo è eccessivamente limitato. Mi ricorda l’amico della Marina di una recente foto di un gruppo di portaerei NATO nel Mediterraneo, con la nostra Cavour con un solo F-35 sul ponte.
L’Aeronautica difende il territorio nazionale con un solo velivolo, ready in five, da Aosta a Trapani, passando per la Sardegna, e un altro che garantisce la difesa dello spazio aereo di Slovenia ed Albania.
L’Esercito, il “muro d’acciaio” con i suoi sui carri armati lo può fare solo contando su una manciata di carri Ariete (15 carri “Ariete”, 32 blindati “Lince” e 22 “Dardo” furono lo sforzo massimo dell’esercitazione in Qatar voluta dal gen. Farina).
Il contributo economico dovuto dall’Italia alla NATO si attesta, vado a memoria, in circa l’1,48% del PIL sul 2% richiesto dall’Organizzazione e preteso da Trump, sebbene nei vari tavoli noi continuiamo a sparigliare le carte insistendo sul contributo delle nostre FF.AA. alle varie Operazioni NATO che, secondo noi (e solo secondo noi) come Nazione, andrebbe conteggiato nel conteggio totale.
Concludendo, alle soglie del nostro congedo e alla fine del pranzo, chiesto ed ottenuto il conto e giro di amari, mirto e limoncello, possiamo solo sperare che il futuro sia meno fosco di quanto la somma delle nostre esperienze ci fa purtroppo presagire.
B.O.
Caro "vecchio soldato", non mi sento di aggiungere nulla al chiaro e sincero quadro della situazione che avete fornito che non sia un ringraziamento.
L'impreparazione bellica alla vigilia di un conflitto mondiale (e questa guerra - mondiale - è iniziata da oltre due anni!) sembra essere una tradizione. Il passato non ci ha ancora insegnato che chi, a due ore dalla sveglia, ancora dorme in branda fa una brutta fine?
Ogni conflitto per cui siamo passati ha portato profondi cambiamenti politici. Si realizzeranno anche dopo questo.
Andrea Cucco