Durante i suoi spostamenti, il campione continuò ad aggiornare la sua posizione tramite i social. Una sua foto, pubblicata lo scorso maggio, lo ritraeva anche a Bangkok. Stanco, ma felice.
Gashi non ritornò mai in Thailandia. Insieme ad altri tre pugili tailandesi (suoi allievi) raggiunse la Siria, devastata dalla guerra, e si unì al gruppo terroristico dello Stato islamico. Scrisse in uno dei suoi ultimi post. "Non giudicatemi prima di conoscere tutta la storia. Se dovessi morire nel bene, allora sarò contento di tutto ciò che ho fatto”.
Ai suoi ex fan che lo insultavano sulla bacheca facebook, lui rispose con calma: “Attaccatemi ed offendetemi se ciò vi fa stare bene. Se davvero mi conosceste, sapreste che questa mia scelta non è avventata”.
Le informazioni su ciò che ha realmente fatto Gashi sono molto scarse ed incerte. Secondo le fonti più accreditate, sarebbe stato responsabile di un valico di frontiera turco, lungo il fiume Eufrate, impedendo il traffico illegale di sigarette, droghe e alcol (vietate nel Califfato) nella zona di Manbij. Secondo altre fonti, avrebbe anche combattuto in svariate zone della Siria.
Si sarebbe tenuto in contatto anche con l’estremista Samuel Althof ed avrebbe partecipato, seppur non in prima persona, a svariate decapitazioni.
Le comunicazioni con l’uomo, cresciuto in Germania dopo aver abbandonato il Kosovo all’età di sei anni, si sono interrotte all’inizio del mese. Cellulare spento, profilo social cancellato. Secondo la famiglia, Gashi sarebbe stato ucciso per cause ancora non chiare.
Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, il pugile sarebbe stato giustiziato dallo Stato islamico dopo aver tentato la fuga da Aleppo. Secondo l'International Business Times, le affermazioni dell’Osservatorio si basano su "fonti attendibili". Tesi condivise dalla stampa russa. Secondo queste ultime, il due volte campione del mondo di boxe thailandese, “sarebbe rimasto scioccato dalle violenze dello Stato islamico”.
Dopo essere stato catturato, sarebbe stato tenuto prigioniero nella città di Manbeg prima di venire giustiziato dai suoi stessi ex compagni terroristi.
Nei mesi scorsi, la famiglia dell’atleta era intervenuta più volte con appelli pubblici, per provare a convincere l’uomo a ritornare a casa. L’ultimo appello fu quello del padre, Enwar Gashi, che in tv lo esortò a ritornare in patria ed aiutare i musulmani in Germania.
Le notizie restano comunque molto confuse. Per l'Osservatorio siriano, l’uomo sarebbe ancora vivo, ma starebbe cercando di fuggire. Lo stesso ruolo del 29enne, nello Stato islamico, non è ancora chiaro.
Inizialmente, in un’intervista rilasciata al sito svizzero “20 minutes”, l’uomo disse di lavorare per conto del “Dipartimento Relazioni Pubbliche dello Stato islamico”. Sembrerebbe certo, però, il suo coinvolgimento come guardia di frontiera lungo il confine turco.
Valdet Gashi sarebbe stato ucciso il 27 giugno scorso. Secondo il Servizio Informazioni Federale, i tedeschi consacratisi all’Isis sono circa 650.
Franco Iacch