L’inviare sul suolo libico di forze armate del nostro Paese pare un’utopia, almeno per ora, dato che il governo di Roma, guidato dal primo ministro Matteo Renzi, ha deciso che per la sua concretizzazione siano necessari tre vie da seguire, cioè a dire la necessità dell’intervento delle Nazioni Unite, mercé l’autorizzazione dell’organo che ha la responsabilità del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, id est il Consiglio di Sicurezza, in primis; in secundis, deve partire il consenso dell’intervento nel proprio territorio da un governo di unità nazionale, visto che attualmente in Libia vi sono due governi, quello di Tripoli e quello di Tobruk (quest’ultimo supportato dalla comunità internazionale); in tertiis, necessita che i due rami del Parlamento, Camera e Senato, diano il semaforo verde ovvero l’imprimatur all’intervento italiano assieme agli altri Stati della coalizione. Lo ha ribadito lo stesso Ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni davanti al Senato, esponendo gli ultimi accadimenti sulla situazione in Libia, sottolineando che l’Italia lavora per rispondere ad eventuali richieste di sicurezza del governo libico, niente di più niente di meno, nel rispetto della Costituzione e solo dopo il via libera del Parlamento" italiano.
Qualche mese fa, fu emesso un decreto da parte del governo italiano, poi sottoposto ad embargo, composto da 5 articoli, preferendo, poi, porre in moto il sistema determinato dalla legge n.198 del dicembre 2015, con modificazioni, del decreto legge 30 ottobre 2015, n.174, recante la proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, che dà il via alla spedizione di personale delle truppe armate a sostegno di una missione di intelligence.
Il documento secretato dal governo italiano delinea il modus operandi e la catena di comando, in cui le forze armate appartenenti ad unità speciali avranno le garanzie funzionali dall’intelligence. Il decreto contiene la disciplina dei rapporti di collaborazione fra l’Agenzia d’Informazione e Sicurezza Esterna – che ha il compito di ricercare ed elaborare tutte le informazioni utili alla difesa dell’indipendenza, dell’integrità e della sicurezza della Repubblica dalle minacce provenienti dall’estero – e forze speciali della difesa, e determina che il presidente del consiglio, dinanzi a situazioni di crisi oltre confine, può autorizzare, con il supporto del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (è l’organo di cui si avvalgono il governo e l'Autorità delegata per l’esercizio delle loro funzioni e per assicurare unitarietà nella programmazione della ricerca informativa, nell’analisi e nelle attività operative di AISE e AISI), l’adozione di provvedimenti eccezionali ed urgenti.
In poche parole, sarà direttamente Palazzo Chigi ad adottare ogni decisione, pianificare e controllare missioni delle forze speciali sul suolo della Libia. Si enuncia, infatti, all’articolo 2 del Dpcm del 10 febbraio, che nelle situazioni di crisi e di emergenza che richiedono l’attuazione di provvedimenti eccezionali e urgenti il presidente del Consiglio, previa attivazione di ogni misura preliminare ritenuta opportuna, può autorizzare, avvalendosi del Dis, l’Aise, ad adottare misure di intelligence e di contrasto anche con la cooperazione tecnica operativa fornita dalle forze speciali della Difesa con i conseguenti assetti di supporto della Difesa stessa.
La missione, che il governo Renzi è in procinto di mandare sul territorio libico, non va mescolata con un intervento in Libia, mirante a riportare il Paese allo status quo ante ovvero alla sua stabilizzazione, nel senso che non ha il compito di sostituirsi all’intervento delle operazioni di caschi blu o di peace-keeping. Infatti, nell’articolo 7bis della legge n.198, dell’11 dicembre dello scorso anno, si statuisce che il Primo ministro emana norme per l’adozione di misure di intelligence di contrasto,mediante la collaborazione di forze speciali della difesa, in situazioni di crisi o di emergenza all’estero, che coinvolgono aspetti di sicurezza dello Stato o la protezione di cittadini italiani che si trovano all’estero.
Un altro aspetto interessante che, a mio parere non va sottovalutato, consiste nel fatto che coloro che sono nelle vesti ufficiali di organi dei servizi di sicurezza, e che, quindi, operano oltre i confini italiani, non possono compiere atti di forza armata che hanno come fine quello di applicare la c.d. licenza di uccidere. Il personale dei servizi d’intelligence, pur beneficiando delle c.d. garanzie funzionali ovvero immunità funzionali, non potranno compiere mirate uccisioni, sebbene tali garanzie non possono andare fino a dover coprire comportamenti che configurino dei delitti diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l’incolumità di una o più persone, in base all’articolo 17, paragrafo 2, della legge n.124 del 3 agosto 2007, in vigore dal 25 agosto 2012, concernente, per l’appunto, il “Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto”.
Le immunità funzionali o garanzie, quando si hanno i presupposti, possono essere anche garantite al personale impegnato a livello militare, nel senso che viene attuato il codice penale militare di pace. Alle forze armate è consentito l’impiego dell’azione coercitiva armata, a patto che tale azione si attenga alle regole d’ingaggio, alle direttive e agli ordini che sono lecitamente dati, in base al Decreto-Legge del 4 novembre 2009, n.152, inerente alle disposizioni urgenti per la proroga degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia.
Quando un componente delle Forze armate abbia avuto una condotta non giustificabile tanto da includere un crimine internazionale, l’articolo 7, paragrafo 4, della legge 198/2015, enuncia che il comma 3 del presente articolo non si applica in nessun caso ai crimini previsti dagli articoli 5 e seguenti dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, adottato a Roma il 17 luglio 1998, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n.232. Infatti, lo Statuto determina che La competenza della Corte é limitata ai crimini più gravi, motivo di allarme per l'intera comunità internazionale. La Corte ha competenze, in forza del presente Statuto, per i crimini seguenti: crimine di genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimini di aggressione. Sia ben chiaro che su questo passaggio è fondamentale essere a conoscenza del fatto che è stato previsto il controllo indiretto dei due rami del Parlamento, nel senso che le norme che riguardano le misure di intelligence di contrasto possono essere applicate solamente nel momento in cui il capo dell’esecutivo abbia ricevuto il parere del Comitato parlamentare per la sicurezza dello Stato.
In conclusione, le norme enunciate nella legge circa le missioni internazionali è sostanzialmente alla sua prima attuazione. Una cosa è chiara, di cui si è già detto inizialmente, e cioè a dire che le missioni dei servizi segreti ovvero di intelligence in contrasto non sono reputate missioni uguali a quelle di peacekeeping, come pure quelle di peace enforcement. Inoltre, va da sé che tale intelligence possa essere utilizzata per proteggere i cittadini di nazionalità italiana che si trovino all’estero, poiché lo stesso diritto internazionale consente la liberazione dei cittadini ostaggi in territorio straniero con l’intervento di una missione militare e, in questo caso, non necessita l’assenso dello Stato di residenza o governo locale.