Lì dove nasce l'F-35: con l’AERMACCHI PILOT CLUB in visita alla FACO di Cameri

(di Andrea Troncone)
30/09/16

Solitamente le Associazioni d’Arma, i circoli ricreativi delle varie aziende ed altri sodalizi simili non brillano per capacità organizzative tali da farti sobbalzare sulla sedia quando ti arriva a casa l’invito. Generalmente tutto si riduce nella solita anacronistica passeggiata fra vecchie glorie (umane e strumentali) e alla fine tutto il focus dei partecipanti è più mirato alla pastasciutta che arriverà a pranzo, alla spilletta o al solito berrettino omaggio di quella che si trasforma in una “gitarella” in compagnia anzichè una bella giornata da cui ritornare arricchiti.

Bene, l’incontro di lunedì scorso organizzato dall’Aermacchi Pilot Club per i suoi Soci è stato tutto l’opposto: leggere sull’invito che potrai visitare il visitabile di una fabbrica “particolare” che produce il velivolo da caccia occidentale più tecnologico dei prossimi 35 anni, che potrai parlare con i suoi Collaudatori Sperimentatori e che forse addirittura lo vedrai anche decollare, è uno di quegli inviti che ti fanno sobbalzare sulla sedia per davvero, quando lo ricevi!

Sicuramente questo Club si propone già nel nome ad un gruppo piuttosto selezionato di persone: tutti coloro che abbiano portato in volo un velivolo fabbricato dalla AerMacchi. Ma c’è spazio anche per quelli che dell’Aermacchi hanno pilotato “solo” un SF260 o un AL60 o un MB-308 in aeroclub: non è necessario essere un pilota militare addestrato su un MB 339 o un M346 per esserne socio (e tra l’altro non c’è una quota sociale da dover versare). Certamente avere nei piloti di aeroplani “veri” la sua spina dorsale, fa sì che si raggruppino persone che condividono un certo tipo di impostazione culturale e una dialettica di un certo livello. Ad ogni modo credo che anche gli ospiti accompagnatori “non pennuti” dei piloti tesserati abbiano trovato l’incontro interessantissimo.

Appena entrati nell’area messa a nostra disposizione (un’area impiegata in una delle fasi finali del processo di produzione e che non si interrompe nemmeno durante la nostra stessa visita) ci aspetta il 5° esemplare dell’ F35 prodotto interamente in Italia!

È li davanti a noi, esattamente nella stessa posizione e ambientazione che si è potuta vedere su tutti i giornali quando l’allora capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica, gen. s.a. Preziosa ha ricevuto il primo F35 di produzione italiana. Non nascondo che vedere a poco più di un metro di distanza il caccia più chiacchierato degli ultimi anni ed avere ben chiara nella memoria il ricordo di quell’immagine, fa una certa impressione.

Il palinsesto della giornata messo a punto dal presidente del Club, il gen. s.a. Giulio Mainini è perfetto (d’altra parte, se non è perfetto un programma messo a punto da chi è stato a capo dell’Accademia Aeronautica…). Si incomincia con una dissertazione del prof. Gregory Alegi (probabilmente la “firma” contemporanea più autorizzata a parlare e scrivere di aeroplani presente in Italia) su come si è passati da aeroplani in tela e legno come “la Gambarda” all’F35, che della Gambarda condivide solo il terreno su cui è costruito.

Segue un intervento del gen. b.a. Nastasi, comandante del Centro Polifunzionale Velivoli Aerotattici (Ce.Po.V.A.), che ci illustra in modo essenziale cosa avviene nelle varie strutture presenti nel vasto sedime aeroportuale che oggi ospita una curiosa ma estremamente proficua convivenza fra l’Aeronautica Militare e la Divisione Velivoli di Leonardo: la FACO (Final Assembly and Check Out). È una convivenza molto articolata ed eterogenea, dal momento che si passa da un sito produttivo civile ad una linea volo difensiva per intercettazione “scramble”, al 1° reparto manutenzione velivoli, con annessi e connessi (mi si perdoni la sintesi un po' sportiva, ma se no l’articolo richiederebbe lo spazio della Treccani!)

L’argomento verrà poi portato avanti dall’ing. Volpe, che è il responsabile dello stabilimento Leonardo-FACO di Cameri che ci ospita, che aggiungerà anche altri dettagli.

In pochi minuti il direttore ci spiega che siamo seduti all’interno di una struttura perfettamente attrezzata di macchinari e postazioni di lavoro di altissimo livello tecnologico, che solo quattro anni fa era praticamente una pietraia con quattro pilastri e un tetto. Ci accenna a come il sito interagisca con il tessuto industriale e scientifico dell’Italia Nord-Occidentale e delle collaborazioni sinergiche con tutti gli altri siti della “galassia Leonardo” disseminati in tutta Italia. Il suo intervento forse più interessante arriva quando ci dice che l’età media della forza lavoro è di solo 30 anni e fra questi c’è chi in soli due anni è entrato neo diplomato ed oggi è responsabile della verifica qualitativa di una delle lavorazioni di maggiore responsabilità dell’intero ciclo produttivo dell’F35. E allora diventano interessati anche i numeri: circa 650 ragazzi rientrano in questa descrizione.

Mi concedo un attimo di distrazione, forse perché l’ing. Volpi menziona una scuola per periti aeronautici della mia città e mi viene da pensare a quante parole vengono spese su ogni mezzo di informazione che non producono altro che ragazzi annoiati dalla vita a 19 anni, ridotti a cercare stimoli fra Facebook e la bottega di un tatuatore nei momenti di disoccupazione fra un contratto a tempo determinato di un fast food e un altro… Di questo problema forse bisognerebbe soffermarsi a parlare in televisione, più che degli eventuali problemi di sviluppo di un prodotto su cui si sperimentano e si mettono a punto tecnologie che poi finiranno anche nelle sale operatorie degli ospedali civili…

Sentire, quindi parlare ora il magg. Di Loreto, pilota collaudatore sperimentatore che per primo ha conseguito l’abilitazione all’F35 e che è il pilota italiano con maggiore esperienza di volo maturata su quel velivolo, appaga al 100% l’aspettativa di tutti noi ospiti, anche perché l’F35 è lì davanti ai nostri occhi da oltre un’ora e mai come sentir parlare il suo pilota ce lo fa sembrare vivo.

Il magg. Di Loreto parla a braccio, senza discorsi preparati (del resto se c’è uno in Italia che sa di cosa sta parlando, questo è lui) ma la prima cosa che sorprende è la sua modestia. Sul suo petto solo l’Aquila Turrita a sinistra, un raro brevetto da pilota militare canadese a destra e tre “nastrini” in tutto. Ci tiene a far capire che, pur portando al limite (ed a volte anche oltre) uno dei traguardi tecnologici dell’umanità evoluta contemporanea, lui non è il fratello di Superman.

Si definisce (sinceramente e convintamente) “un pilota normale che ha avuto un addestramento speciale”. Credo che nessuna definizione possa essere più perfetta, perchè un qualsiasi pilota DEVE avere un profilo professionale “di base” molto elevato, mentre un Collaudatore Sperimentatore deve trovare nella sua formazione professionale lo strumento che gli permetterà di essere all’altezza di compiti che dovrà affrontare e che talvolta sono realmente inimmaginabili.

Esattamente l’opposto (anche in questo caso) del maleducato egocentrismo di certi suoi anziani precursori che si atteggiano ancora ad essere delle “prime donne” pur non avendo contribuito allo sviluppo di nulla che sia neanche lontanamente paragonabile per contenuti tecnologici a quello con cui questo pilota - che ci parla con spontaneità e semplicità - si misura quotidianamente. Ed è anche l’opposto dell’atteggiamento di certi soggetti che si spacciano per piloti di grande esperienza attorno a qualche ultraleggero (non troppo diverso, nella sostanza, dalla Gambarda di un secolo fa) o attorno ad un videogame spacciato per simulatore di volo professionale, o magari pubblicando su Facebook la foto dello stesso magg. Di Loreto, previo adeguato ritocco di “photoshop” per sostituire la sua faccia con la loro.

Il magg. Di Loreto si alterna nel suo intervento con un collega collaudatore sperimentatore ma ingegnere e in poche parole i due ci descrivono le capacità reali dell’F35 (non quello che viene riportato da chi lo ha visto solo in fotografia) e ci convincono che veramente “quello lì dietro” (l’F35) può riuscire nel compito finora impossibile di sostituire velivoli diversissimi fra di loro e di eccellenza assoluta nel loro ruolo.

Dati tecnici? Le cartelle stampa dicono sicuramente di più, ad ogni modo eccone una sintesi: 90.000 lbs di spinta escono da quello che è il motore più potente mai costruito per un caccia monomotore, 4.000 km di autonomia con ampio assortimento di armamento e carichi esterni, capacità di riproduzione a 360° della situazione esterna al velivolo tramite una catena di telecamere termiche che virtualizzano totalmente della scena esterna al velivolo e la proiettano direttamente sulla visiera del casco con tutti i dati essenziali per la condotta del volo. Comandi a fibra ottica multipla in tecnologia “fail-safe” (se una linea si danneggia, immediatamente ne interviene una di back-up senza perdita di efficacia) istantanea ed autodiagnosticata; continuo monitoraggio dell’integrità strutturale della cellula a mezzo di micro correnti superficiali, ecc… È poi dotato (ma ad un livello ovviamente superiore) di tutte quelle tecnologie che permettono proprio ad un velivolo Aermacchi (il 346) di interagire con altri aeroplani in volo e/o con la sala operativa a terra o ancora di fare da “ponte” nella trasmissione Terra-Bordo-Terra di dati e informazioni tattiche di missione.

Il ruolo dell’ingegnere sperimentatore, per un velivolo del genere, che impone al pilota un pilotaggio “differente” (e che a mio avviso avvantaggerà tantissimo lo sviluppo dei velivoli a pilotaggio remoto) è persino più importante di quello del pilota collaudatore, anche se la figura di quest’ultimo riscuote sempre un successo di fascino di cavalleresca memoria che un ingegnere difficilmente riuscirà a superare. Ma è grazie al loro lavoro, per la tale apertura dell’inviluppo di volo ed operativo che sono riusciti a mettere a punto, che l’F35 riuscirà a sostituire A-10, F-18, F-16 e, in Italia AMX, Tornado e lo stesso EFA, quando verrà il momento. Nessun altro aeroplano può riuscire in una simile impresa, men che mai di produzione italiana.

E questo si trasformerà contemporaneamente in un’economia operativa di cui non ho ancora sentito mai parlare e che “spalmata” sui 40 anni del ciclo di vita di un simile tipo di prodotto andrà a recuperare molto degli ingenti costi di cui tutti i giorni sentiamo discutere. Certo, se l’F35 fosse stato un prodotto nazionale autoctono (come il C-27) mi piacerebbe molto di più, ma l’F35 arriva ora, ci ricordano, dopo un processo di delibere governative iniziate nel 1998, e dal 1998 ad oggi non mi risulta che l’Italia (per non dire l’Europa) abbia saputo realizzare qualcosa di concorrente a questo aeroplano prodotto a Cameri con tanto di complimenti degli americani…

Ricordando, poi, il programma di formazione dei piloti NATO messo a punto dall’Italia attorno all’M-346 (v.articolo), l’introduzione dell’F35 permetterà anche di toccare con mano l’efficacia di quegli altri importanti investimenti già spesi per il nuovo ruolo dell’Italia nel settore della Difesa Aerea dei prossimi decenni.

Chi è arrivato a leggere fino a questo punto potrà pensare che io sia il solito giornalista al soldo del potere politico o industriale, ma non è affatto così. Innanzitutto non sono un giornalista. Poi, non sono al soldo di nessuno avente a che fare né con l’informazione, né con l’industria aeronautica. Infine da tecnico e da pilota, ho anche io le mie convinte perplessità circa una delle tre versioni dell’F35 (nella fattispecie, la “B”, a decollo verticale che però non è ancora di attualità italiana). Ma per le versioni “A” e “C” il mio parere, per quanto conti meno di una moneta di 1 centesimo, è assolutamente positivo.

I velivoli, che l’F35 sostituirà, sono diversissimi per caratteristiche fisiche e di impiego ed è normale che le facce dei presenti possano palesare una certa sorpresa: siamo pur sempre in maggioranza piloti anche noi e abbiamo ben chiara la differenza fra un A-10 e un F/A 18! In risposta arriva il racconto di alcune esperienze di volo vissute sull’F35, per coinvolgerci e condividere, più ancora che per dimostrarci, che le affermazioni fatte non sono solo chiacchiere in stile Marketing.

Rispondere con dei racconti di episodi di vita aviatoria è il tipico modo di parlare dei piloti. In quest’ottica si inquadra anche il breve intervento del gen. Frigerio, comandante delle forze aeree da combattimento. In tuta da volo perché appena atterrato, ha salutato l’Aermacchi Pilot Club regalandoci una chicca storica che amichevolmente redarguisce il prof. Alegi e che dimostra il fatto che chi ha vera passione e cultura del volo sa passare dalla tecnica alla storia in meno di un secondo e senza discorsi preparati. Il generale ci ha ricordato che esiste un filo invisibile che lega proprio l’Aermacchi (attorno alla quale nasce il Pilot Club) all’F35: è rappresentato dal nome “Lightning” il cui nome in italiano è “Saetta”! E questo filo invisibile ci riporta all’esatto esatto omologo dell’F35, di 70 anni prima, lo splendido caccia Macchi 200 (foto a dx)!

Infine, per chiudere l’incontro con una goliardica risata, dalla stessa voce del gen. Frigerio arriva un ultimo simpatico (quanto vero) aneddoto da piloti che non possiamo non condividere con chiunque abbia letto fin qui questo lungo articolo: giacchè il magg. Di Loreto è stato pilota di Tornado, ed il Tornado ha bisogno di un Navigatore, al 50° stormo, quando potevano, mettevano il magg. Di Loreto in equipaggio con un navigatore che di cognome si chiama "Madonna"…