Cercare di dimenticare e modificare la storia a proprio piacimento è un esercizio mentale molto amato in Italia, tant’è che si arrivati a contestare dei gadget, ultimo ma non unico caso, raffiguranti i mezzi e lo stemma della Xa Flottiglia MAS, presenti nel negozio del Museo Navale di La Spezia. Ovviamente “un affronto” del genere non è accettabile in una città Medaglia d’Argento al Valor Militare per la guerra di Liberazione. Peccato che chi ha accusato di vendere materiale fascista e pericoloso per l’ordine democratico, non sia mai che delle tazze raffiguranti un SLC vengano usate per atti sovversivi, probabilmente ha la memoria corta, visto che La Spezia fu la sede della Decima durante la guerra, oltre che le idee confuse. Più semplicemente è in mala fede.
Meglio cercare di dimenticare chi ha combattuto la guerra, preferendo di gran lunga la morte al diventare prigioniero dei britannici. Dei britannici? Sì perché quello che forse non ricorda l’ex sindaco di La Spezia e che la Xa Flottiglia MAS, prima di dividersi in due tronconi tra chi rimase fedele alla Germania e chi al Re, fu un’unità di élite della Regia Marina. I pochi, esclusi ovviamente i sommergibili e in alcune occasioni la flotta di superficie, che effettivamente combatterono la guerra, in maniera non convenzionale andando ad operare direttamente all’interno dei porti nemici.
Non vale la pena forse di ricordare con maggior enfasi quegli italiani che hanno combattuto per una causa, giusta o sbagliata che sia, dando in cambio anche la vita per cercare di cambiare gli equilibri nel Mediterraneo? In un paese normale sarebbe così, ma in Italia si preferisce ricordare altro. È difficile ammettere che la Decima ha lasciato un’eredità tangibile in tutte le forze speciali del mondo, visto che anche i Navy Seals hanno preso molto del loro addestramento e delle loro modalità operative proprio da quei cento uomini che si scontrarono contro due flotte (la Mediterranean Fleet di Alessandria e la Force H di Gibilterra ndr), citando il titolo del libro dell’ammiraglio Virgilio Spigai. Proprio qui è il problema, la furbizia, neanche troppo in realtà, nel provare a chiudere quei simboli tutti nella Decima del comandante Borghese (foto), quella che ha combattuto nella RSI senza compiere grandi operazioni in mare trasformandosi quasi in una forza terrestre. Ma la vera Decima, che ha aveva lo stesso simbolo e le stesse divise, era quella di stanza a La Spezia dal 1938 al 15 marzo 1940 sotto il nome di Ia Flottiglia MAS e che finì la guerra l’8 settembre del 1943 con l’entrata in vigore dell’Armistizio.
I caduti in guerra non meritano di essere ricordati così come i caduti della Resistenza? Non merita forse di essere ricordato un uomo della caratura morale e militare come Licio Visintini (un nome per tutti, ndr)? Oppure il genio del Borghese comandante prima dello Scirè poi del Reparto subacqueo della Decima e, infine, del reparto stesso? Probabilmente no, meritano di essere puniti ad eterna memoria di aver combattuto una guerra, intendendo quella dal 1940 al 1943, dando tutto il possibile per l’Italia. Difficile ricordare lo scetticismo che c’era attorno ai mezzi di assalto nel periodo interbellico, quando i M.A.S. e le mignatte finirono nel dimenticatoio dopo il loro impiego bellico durante la Grande guerra. Fino alla guerra in Etiopia e alla seguente frattura nei rapporti italo-britannici fu questo il loro destino, ma nel 1935 grazie all’inventiva dei tenenti del Genio navale Tesei e Toschi nacque un’arma nuova: il siluro a lenta corsa o maiale che dir si voglia. Se precedentemente non si era sentita la necessità di sviluppare dei mezzi insidiosi capaci di colpire all’interno dei porti, la paura di un conflitto diretto con la Royal Navy, superiore in tutto rispetto alla Regia Marina, fece sì che questi venissero studiati ed implementati. Non solo il SLC, ma anche altre modalità di azione e attrezzature necessarie vennero sviluppate, tra queste il famoso orologio Radiomir della Panerai (che forse a questo punto sarebbe meglio che non venisse più prodotto, in modo tale da non urtare la sensibilità di chi vede nella Decima un manipolo di fascisti).
Finita la guerra in Etiopia e terminate le esercitazioni del 1° Gruppo Sommergibili di stanza proprio a La Spezia, al quale era stato dato il compito di sviluppare i siluri a lenta corsa, i mezzi di assalto tornarono nuovamente nel dimenticatoio, dove rimasero fino al 1939, quando la guerra ormai sembrava certa ed era necessario provare a colpire all’interno dei tre porti principali britannici le forze navali, in modo tale da poter equilibrare la situazione strategica nel Mediterraneo. Ovviamente nel giro di neanche un anno era impossibile mettere a punto i mezzi e addestrare il personale necessario per questo tipo di operazione, ma non per questo non fu possibile mettere in piedi alcune delle missioni più famose della seconda guerra mondiale. Esclusa l’impresa di Alessandria, il 19 dicembre 1941, quando de La Penne, Bianchi, Marceglia, Schergat, Martellotta e Marino danneggiarono in maniera quasi irreparabile le corazzate Queen Elizabeth (foto) e Valiant, oltre alla cisterna Sagona, la Decima non riuscì mai a far pendere l’ago della bilancia dalla parte della Regia Marina. Ma ciò nonostante la paura insinuata nei britannici di poter essere colpiti, in ogni momento e senza nessun preavviso, fece sì che molte delle loro risorse venissero impiegate per aumentare la sicurezza dei porti. Anche facendo questo, però, le loro navi, da guerra come mercantili, erano sempre in pericolo quando ormeggiate in porto o in rada.
Non tutte le missioni furono positive, ovviamente, perché molte vennero abortite oppure finirono in malo modo per la Xa Flottiglia MAS, come ad esempio il tentativo di forzare il porto di Malta, nel quale cadde il comandante Moccagatta e il comandante del Reparto di superficie, mitragliati dalla caccia inglese alzatasi dopo l’allarme scattato nel porto, dove Tesei aveva preferito sacrificarsi, facendo esplodere la carica esplosiva del suo maiale per cercare di creare una breccia nelle ostruzioni portuali. A La Valletta, il 26 luglio 1941, si consumò una tragedia per la Decima, ma questo non fece perdere d’animo i superstiti, i quali seppero dare prova del loro valore, più che del loro onore, in tutte le missioni che seguirono.
Infatti proprio la successiva missione, del 20 settembre, svolta contro il porto di Gibilterra diede i primi frutti della lotta contro il porto dove era ormeggiata la Force H di Somerville, quella che con le sue portaerei creava le maggiori difficoltà alla flotta italiana. Gibilterra, però, era un bersaglio “classico” della Decima tant’è che prima di giungere ad un risultato soddisfacente, si dovette attendere la quarta operazione contro la città britannica in territorio spagnolo. Le prime tre non avevano dato risultati soddisfacenti, per quanto riguardava affondamenti, ma avevano dimostrato, specialmente la seconda, che era possibile entrare nel porto di Gibilterra. Infatti Birindelli e Paccagnini arrivarono a pochi metri dalla corazzata Barham, non riuscendo però a minarla e finendo per essere scoperti e fatti prigionieri dagli inglesi. Ma nella quarta operazione finalmente tre piroscafi mercantili vennero messi fuori uso, colpendo gli inglesi nel porto più lontano dall’Italia, trasportando, anche in questa occasione, i siluri a lenta corsa con il sommergibile Scirè comandato da Borghese, lo stesso che porterà gli operatori fuori il porto di Alessandria nella missione sopra accennata.
Però questo non basta, così sembra, a ricordare questi uomini con il rispetto dovuto. Forse aggiungendoci quanto fatto ad Algeciras potrebbe dare l’aiuto definitivo. Perché nella città spagnola, situata di fronte alla rocca di Gibilterra, vennero creati due avamposti importantissimi per le operazioni. Il primo fu villa Carmela, situata nella zona nord del golfo di Gibilterra, dove Antonio Ramognino insieme alla moglie presero in affitto questa villa da dove, aiutati dagli agenti del Servizio Informazioni Segrete (S.I.S.), immagazzinarono il materiale che veniva spedito da La Spezia, necessario per le operazioni compiute con gli uomini “Gamma” nella rada di Gibilterra. L’altro avamposto fu l’Olterra un vecchio piroscafo italiano che era stato internato dalle autorità spagnole nel momento dell’ingresso in guerra dell’Italia. Lì sempre da La Spezia vennero inviati alcuni operatori della Decima, comandanti da Licio Visintini, sotto mentite spoglie, perché questi per non destare sospetti né agli spagnoli né ai britannici furono imbarcati sul piroscafo italiano come marittimi (della Marina Mercantile, ndr). Lì la squadra di Visintini lavorò al fine di costruire nella stiva dell’Olterra sia un’officina in grado di montare i SLC, che sarebbero giunti in maniera clandestina smontati in casse, sia un varco nello scafo del piroscafo, in modo tale che la stiva potesse essere messa in contatto con il mare. Dall’Olterra partirono, tra la fine del 1942 al agosto 1943, tre missioni, di cui le ultime due vittoriose che portarono all’affondamento di sei piroscafi. Nella prima di queste però tre operatori, tra cui Visintini caddero colpiti dalle cariche di profondità sganciate dalle motovedette, due finirono prigionieri e solo uno tornò alla base. Prima di partire, Visintini scrisse sul suo diario queste parole:
“Partiremo e combatteremo nel nome della civiltà eterna di Roma e di quei figli che ne sono degni e che lottano e soffrono mutilati nella famiglia e delle case. E se Dio vorrà proteggerci, il nostro successo per sé stesso sarà un’eloquente risposta a ciò che la tronfia grandezza inglese esercita barbaramente e comodamente. Noi piccolissimi vogliamo colpirvi audacemente nel cuore e in ciò che costituisce il vostro maggior orgoglio. E attendiamo da questo gesto che il mondo si decida una buona volta a comprendere di che stoffa sono gli italiani”.
Il mondo comprese di che stoffa fossero gli italiani, specialmente i britannici perché, questi, nel momento in cui riemersero i corpi di Visintini e Magro, decisero di dar loro sepoltura in mare. Non è tutto, perché Lionel Crabb, comandante del Servizio di sicurezza subacquea di Gibilterra, e Bill Bailey acquistarono una corona di fiori e due bandiere del Regno d’Italia da gettare in mare insieme ai corpi.
Un gesto che fa capire quale fosse la stima degli inglesi nei confronti di tutti gli uomini della Xa Flottiglia MAS, stima che anche oggi è molto forte, anche vedendo il numero di pubblicazioni sull’argomento. In Italia, invece, nonostante ci sia una rivalutazione di questi uomini, specialmente con gli ultimi studi effettuati, questa rimane legata solo agli storici navali o agli appassionati di questa parte di storia. La speranza è che si riesca prima o poi a costruire una memoria collettiva sulla seconda guerra mondiale in generale, uscendo dagli schemi dettati dalla più becera distinzione politica. Questo permetterebbe di fare grandi passi avanti nella ricerca storica e darebbe un ricordo più rispettoso dei quanti si batterono per mantenere fede al giuramento fatto al Re e, soprattutto all’Italia.