Gli italiani - si sa - non leggono le notizie di politica estera. Di conseguenza, i politici nostrani non sprecano fiato in questioni che per loro sono, dal punto di vista della visibilità mediatica e della popolarità, del tutto ininfluenti. Per una volta, gli stereotipi sugli “italioti” (Eugenio Scalfari definisce spesso così gli abitanti della Penisola, che hanno cocciutamente rifiutato la Riforma protestante prima e più di recente il Partito d’Azione) hanno portato consiglio alla nostra classe dirigente, che si è guardata bene, alla vigilia delle elezioni parlamentari del 4 marzo, di far scattare la solita sassaiola “ad uso delle telecamere” tra maggioranza e opposizione. Eppure, il boccone era ghiottissimo: c’era un presidente straniero in visita nel nostro Paese, Recep Tayyip Erdogan, che durante i colloqui col presidente del consiglio Paolo Gentiloni prima e durante i briefing con la Stampa poi aveva manifestato i propri timori in merito alle attività esplorative e alle perforazioni di Eni al largo di Cipro, ritenute dal leader turco “una minaccia per Cipro nord e per la Turchia”. C’era un primo ministro italiano che sembrava un pugile suonato, dopo detto incontro, e che sapeva in anticipo che di lì a breve la marina militare turca avrebbe intercettato (e, questo non lo poteva immaginare, probabilmente tentato di speronare) la nave per l’esplorazione di gas fields Saipem 12000, impedendole di raggiungere la propria destinazione nel blocco 3 delle acque esclusive cipriote. C’è stata persino una poco gloriosa ritirata, con l’ENI costretta a abbandonare il campo in attesa che le diplomazie facciano il loro lavoro. C’era insomma il quadro perfetto perché addirittura due distinte opposizioni (Cinque Stelle e Centro Destra) dessero addosso al governo e alla maggioranza. Ma alla fine, nessuno ha vergato comunicati stampa infuocati; tantomeno qualcuno ha presentato interrogazioni parlamentari o si è preso la pena di chiedere reazioni immediate, ferme ecc.
Niente di niente è successo: le piazze manifestavano contro il “fascismo virtuale” de noantri, mentre a mille chilometri un capo di stato controverso -capace di imbavagliare ogni forma di dissenso, bombardare i Paesi vicini e purgare il sistema universitario come e meglio del regime mussoliniano - giocava al gatto col topo con la nostra impresa petrolifera di bandiera.
Qualcuno potrebbe pensare che il silenzio della (intera) classe politica sia stato un sacrificio sull’altare degli ottimi rapporti economici tra i due Paesi. In effetti, l’Italia è il terzo partner commerciale di Ankara con 18 miliardi di euro di interscambio e 1.300 aziende italiane presenti in Turchia (a partire dalle maggiori: FCA, Ferrero, Barilla ecc.), il terzo ponte sul Bosforo è stato costruito dalla Astaldi, una azienda italiana e Unicredit è presente come socio di una delle maggiori banche turche.
Anche nel settore della difesa, Ankara è un cliente prezioso: anche di fronte alle immagini da Afrin, che in Germania hanno portato alla sospensione dei programmi per la modernizzazione dei carri armati Leopard (foto), in dotazione alle forze armate turche, in Italia solo alcuni minuscoli gruppi di estrema destra o di estrema sinistra hanno definito uno scandalo il fatto che i turchi stiano usando i Mangusta di Leonardo-Finmeccanica. Parigi val bene una messa… E comunque il nuovo “Sultano” della Porta non sta certamente disturbando i nostri interessi immediati con l’operazione “Ramoscello d’Ulivo”.
Il caso di Cipro invece ci riguarda eccome: il gas estratto da ENI dalle acque del Mediterraneo orientale sarà strategico per il nostro Paese, affrancandoci dalla dipendenza da Russia, Libia e Algeria. Insomma, Erdogan ha a dir poco messo gli stivali sul nostro tavolo. Ma questo non ha provocato alcuna reazione. La conoscenza della situazione strategica della Turchia ha forse portato consiglio: Ankara è, alla fine degli anni Dieci, un cane troppo mordace per l’Italia, potenzialmente molto dannoso.
A ben vedere, la Turchia dell’inizio del ventunesimo secolo non è più solo un’ex grande potenza caduta al rango di media potenza regionale: gioca le sue carte in tre continenti e molto spesso ha tutti gli assi. Tiene la Germania, la Francia e l’Italia sotto scacco con la questione dei migranti: una nuova migrazione “biblica” come quella del 2015 potrebbe avere conseguenze devastanti sull’opinione pubblica del Vecchio Continente, costringendo i partiti “tradizionali” (socialdemocratici, cristianodemocratici e liberaldemocratici) a venire a patti o addirittura a soccombere - come in Italia - alle forze antisistema. Ha sviluppato una singolare partnership con la Russia di Putin, il quale non nasconde la propria ammirazione per il presidente turco e il suo modo di gestire il potere all’interno del proprio Paese, al punto che la Turchia è il primo paese a cui i russi hanno venduto i sistemi antimissile S4001. La Turchia, infatti, gioca una partita sul filo dell’ambiguità tra NATO e Russia, non rompendo gli storici legami con gli alleati atlantici ma lasciando molti dubbi sull’effettiva solidarietà dei turchi con le potenze occidentali. Fatto sta che, nel dubbio e non volendo recidere il cordone per primi, i Paesi NATO da anni tollerano l’aggressività e il decisionismo della leadership neo-ottomana sia all’interno (epurazioni, arresti di massa ecc.) sia nelle relazioni con i Paesi circostanti.
Aggressività manifestata, nell’area della crisi Italia-Turchia dello scorso febbraio non solo criticando le esplorazioni straniere e rivendicando una porzione dei giacimenti al largo delle coste cipriote – in particolare quelli più a nord – ma anche impiegando la propria marina militare direttamente nelle acque cipriote, a partire da quando, nel 2014, una nave della marina turca cacciò un’imbarcazione norvegese che stava effettuando operazioni di ricerca nelle acque cipriote. Già, la Norvegia: un altro “alleato” della Turchia nella famiglia della NATO.
Ankara però non si è limitata a usare la forza: a riprova del fatto che intende tutelare il proprio interesse per i giacimenti di gas attorno a Cipro, la Turchia ha recentemente annunciato l’acquisto della Deepsea Metro II (foto), una nave da perforazione pagata 210 milioni di dollari e attualmente attraccata a Istanbul. Si tratta di una conferma che per la Turchia l’accesso al gas del Mediterraneo orientale è da intendersi come strategico per affrancarsi dalla dipendenza dai fornitori russi e israeliani.
Sembrerebbe una storia già scritta: in Italia, al culmine del suo declino politico e militare, la classe politica non ha la capacità di reagire all’arroganza del “Sultano” e decide - per un eccesso di prudenza - di ignorare completamente la questione per non compromettere interessi economici comunque importanti e magari trovarsi ai ferri corti col più imprevedibile dei leader europei (e non solo). Solo che, mentre la Saipem 12000 era braccata dalle navi da guerra della Porta e il presidente francese Emmanuel Macron si impegnava in inutili tentativi di portare Erdogan a più miti consigli2, già si era diffusa la notizia che Exxon Mobil, gigante americano degli idrocarburi, avrebbe a breve inviato due navi per trivellazioni nelle aree di acque territoriali esclusive cipriote di cui ha la licenza3: pare a chi scrive che questa possa essere la chiave di volta della situazione e che l’Italia abbia fatto bene, coscientemente o meno, ad attendere, sia pur in modo così sciagurato.
La posizione americana differisce da quella turca ed è molto chiara. Se Ankara intende prendere iniziative unilaterali e aggressive, la reazione di Washington non potrà mancare: dopo tutto, gli Stati Uniti si sono sempre espressi per la legittimità delle esplorazioni da parte delle compagnie assegnatarie delle licenze, in un quadro di distribuzione dei benefici dello sfruttamento dei gas fields tra tutti i Paesi della regione4.
Insomma, parafrasando un proverbio toscano, ora Erdogan si potrebbe trovare a “fare a sassate con un pazzo”. Non ce ne voglia, ma quanto a imprevedibilità anche il presidente Donald Trump non è da meno di nessuno… Non a caso, le esplorazioni delle navi Exxon potrebbero avvenire nel corso di una esercitazione della sesta flotta a largo di Cipro. Chissà come si dice in turco: “Ora ne vedremo delle belle”?
In conclusione, resta un dubbio: il ministro degli esteri avrebbe potuto per lo meno convocare l’ambasciatore turco e richiedere una riunione d’emergenza della NATO per stigmatizzare il comportamento di Ankara? Nella politica internazionale, si sa, spesso certe formalità sono sostanziali. Certamente, se il governo di Centro Sinistra dormiva, non possiamo dire che le opposizioni fossero sveglie…
1http://www.occhidellaguerra.it/turchia-russia-s400/
2 Non per buon cuore: Total ha interessi nell’area
3https://ahvalnews.com/greece-turkey/us-giant-exxon-sending-two-drilling-...
4http://www.hurriyetdailynews.com/opinion/serkan-demirtas/turkey-should-b...
(foto: Palazzo Chigi / Türk Silahlı Kuvvetleri / VesselFinder / U.S. Air Force)