Se è vero che la forza di una catena si misura dall'anello più debole, quello che oggi merita maggiori attenzioni è l'Esercito. Per poter fornire un think tank dedito allo strumento terrestre si è costituito il Centro Studi Esercito: un libero "serbatoio di pensiero" formato da esperti e professionisti, in servizio e congedo, provenienti dal mondo militare e da quello civile.
Per fare un bilancio del primo anno di attività abbiamo intervistato il presidente del CSE, generale di corpo d'armata Enzo Stefanini.
Generale, dopo i numerosi incarichi di servizio che l’hanno vista impiegata in Italia e all’Estero in posizioni chiave, come nella carica di segretario generale della Difesa e direttore nazionale agli Armamenti, o di comandante dell’Aviazione dell’Esercito, come si trova ora a dirigere un Centro Studi?
Gli oltre quarant’anni di vita militare mi hanno insegnato ad affrontare la realtà con il giusto dosaggio di idealismo e pragmatismo. Inoltre il mio convincimento è che ognuno di noi possa fare la differenza, a prescindere dall’ambito in cui si trova a operare. Occorre poi considerare che, in questo momento, è quanto mai utile colmare le lacune di conoscenza sull’Esercito, il suo attuale ruolo e le sue necessità. Le forze Armate e in particolare l’Esercito, condividono il destino quotidiano di tutte le organizzazioni statali create per l’emergenza, quali ad esempio gli Ospedali, i Vigili del Fuoco, la Protezione Civile, ecc., ci si ricorda di loro solo quando servono e spesso quando servano svelano le criticità accumulate nel tempo a causa delle disattenzioni.
Una realtà, quella del centro Studi Esercito, che all’azione sostituisce la riflessione?
Azione e riflessione andrebbero sapientemente coniugate in ogni contingenza della vita. Ma certamente il Centro Studi Esercito è essenzialmente luogo di riflessione e l’azione consiste nel concretizzare l’attività di ricerca secondo format che ne consentano la fruizione: produzioni di parer e documenti, poi gestione del sito web che è il nostro principale veicolo di comunicazione con l’esterno. Ma non è l’unico, se prendiamo in considerazione i convegni e anche l’attività di testimonianza portata da alcuni nostri soci presso le università, nell’ambito dei corsi di scienze politiche e di strategia globale.
Quali sono le attività del Centro Studi Esercito?
Le attività già avviate sono numerose, se si considera che ci siamo costituiti da poco più di un anno. A gennaio, prima dell’emergenza Covid 19, abbiamo presentato pubblicamente, alla presenza di autorevoli rappresentanti della politica, dell’industria e dei media, lo studio “Urgenza della trasformazione dello strumento militare terrestre”, con riguardo specifico all’innovazione tecnologica, che oggi traina tutto il resto. In quella sede è emerso il gap nell’ammodernamento tra Marina e Aeronautica da una parte, che dispongono già di sistemi di nuova generazione, e l’Esercito dall’altra, che è rimasto indietro.
I dati economici sono espliciti: l’Esercito è finanziato al 71% nel settore del personale: stipendi, indennità, ecc.; ma se consideriamo il Mantenimento siamo al 7% delle esigenze complessive. Quindi, per funzionare, riuscire ad avere mezzi efficienti per le operazioni e il ridotto addestramento che le unità riescono ancora a svolgere, occorre ricorrere alle risorse destinate al Rinnovamento. Da questo fatto conseguono ritardi nell’acquisizione di nuovi sistemi incompatibili con la necessaria progettualità di una realtà complessa come una forza armata.
La soluzione prospettata dal capo di stato maggiore dell’Esercito in quella sede fu una legge speciale esercito, sul modello di quella del 1977, per avviare un armonico processo innovativo: circa un miliardo all’anno per i prossimi 15 anni. Sarebbe una buona cura anche per il sistema paese, se consideriamo che per ogni euro di valore aggiunto dell’Industria della Difesa se ne generano nell’economia reale ulteriori 1,6. Però, subito dopo quel convegno, eravamo alla fine di gennaio, è scoppiata l’emergenza Covid 19, il look down, la caduta del PIL di oggi e l’incertezza per il domani. Nondimeno, manterremo aggiornati i dati economico-finanziari di quello studio che è molto dettagliato e fruibile dal nostro sito web, per riproporlo a breve.
Nella stessa circostanza del convegno sulla Trasformazione dell’Esercito abbiamo presentato lo studio sul tema del Mission Command, di cui la sua rivista online si è già occupato (v.articolo). Anche la funzione del comando segue le sue linee evolutive e quello studio, condotto con l’apporto della Bundeswehr per gli aspetti di critica storica, contiene un’ampia trattazione in chiave psicologica sui presupposti e condizionamenti all’esercizio del comando decentralizzato/flessibile, come denominato nella dottrina nazionale. Il paper di questo studio è disponibile sul sito del CSE.
Quale è stata inizialmente - e qual è ora - l’accoglienza da parte dell’Esercito?
Una premessa: il Centro Studi Esercito è nato per volontà del generale Salvatore Farina, attuale capo di stato maggiore dell’Esercito. Per statuto, sviluppiamo studi che siano d’interesse per l’Esercito. Essendo altresì un’associazione di liberi studiosi, il dibattito è altrettanto libero, svincolato da prospettive aprioristiche e si avvale degli apporti provenienti dal mondo esterno alla Difesa. Dunque, ognuno porta il proprio contributo, unicamente vincolato ai requisiti statutari dell’apoliticità e ovviamente del rigore scientifico.
La missione del Centro – cito quanto definito nel nostro statuto – è lo sviluppo e la diffusione del pensiero militare nazionale, con particolare riferimento alla componente terrestre, attraverso l'analisi e lo sviluppo di studi indipendenti di carattere storico sociale, sull'innovazione tecnologica, la componente umana e le forme di lotta emergenti nei moderni e futuri scenari operativi, traducendo le attività più significative in eventi comunicativi.
Dunque, noi desideriamo essere ben radicati nella realtà evolutiva dell’Esercito, e sempre connessi con il mondo reale, quello della società civile e dell’industria. Restando nella prospettiva dell’Esercito Italiano, dove la maggior parte di noi si è formata, osserviamo i fenomeni, li analizziamo e all’occorrenza ne facciamo oggetto di studio allargato, coinvolgendo mediante appositi eventi gli interlocutori che riteniamo proficuo considerare. Magari contribuiamo alla formazione delle opinioni sulle questioni della Difesa, ma sempre partendo da studi accurati, per quanto possibile. Che rendiamo fruibili nei nostri eventi e utilizzando il già richiamato sito web. Infine ricerchiamo il coinvolgimento dei decisori strategici, politici, quando ci sembra utile dover offrire il nostro punto di vista.
Nel primo lavoro sviluppato alla fine dell’anno passato e presentato a gennaio scorso questo modo di procedere ha funzionato.
Il CSE si è fermato in questo anno di restrizioni per il Covid 19?
Siamo sotto influenza del Covid 19 e non possiamo derogare alle misure di sicurezza, che impongono di non riunire fisicamente i gruppi di lavoro. Quindi, restiamo in casa e utilizziamo le metodologie Webinar. Dunque, per rispondere alla sua domanda, non ci siamo mai fermati. Tuttavia ci è dispiaciuto di non poter presentare in pubblico lo studio “Lo sviluppo delle capacità cyber dell’Esercito” (v.link). Avremmo così realizzato un momento di riflessione importante per sensibilizzare le opinioni sui rischi degli attacchi cibernetici e far conoscere le predisposizioni organizzative e le innovazioni, molto significative, introdotte nella Forza Armata.
Lei saprà che è stato costituito il VI reparto dello stato maggiore dell’Esercito, che ha il compito di pianificare l’evoluzione dei sistemi informatici a servizio di tutti i processi, quelli gestionali come quelli operativi. In tale reparto è inserita anche la componente di cyber defense che si dirama poi nell’organizzazione preposta alle funzioni di comando, controllo, comunicazione e computer (C4) e che si relaziona anche con gli assetti organizzativi del comparto civile. Ma la materia è complessa, vi è ancora scarsa percezione di rischi e minacce e avremmo voluto meglio condividere il senso di urgenza di una Cyber Common Operational Picture, per disporre di dati informativi condivisi e realizzare così sinergie in caso di attacco. Questo consentirebbe anche la crescita delle competenze degli specialisti. Nondimeno, l’attività di ricerca e di riflessione si è svolta regolarmente in videoconferenza e così anche l’evento conclusivo di presentazione dello studio.
La stessa cosa si sta verificando con le restanti attività, alcune ancora in corso, come lo “Studio sulla tipologia delle forze terrestri”, lo studio sulle “Forze di Riserva” e quello su “Partecipazione militare alla missione in Afghanistan alla luce degli interessi nazionali strategici nell’area”, tutti trattati a distanza.
D’altronde, in Forza Armata da molti anni i sistemi di videoconferenza sono stati adottati allo scopo di evitare le trasferte. Pensi che i primi sistemi di connessione video per teleconferenza risalgono agli anni ottanta del secolo scorso, quando l’informatica era dominio di pochi specialisti, e l’Esercito già disponeva di una rete trasmissione dati proprietaria, su cui giravano numerose applicazioni vitali, come il Sistema della Leva.
Lavori di ampio respiro e attinenti al sistema Esercito nel suo insieme. Ponete attenzione anche ai problemi del personale? In particolare i Volontari?
Grazie per questa domanda che mi consente di richiamare anche un concetto forte, di cui il capo di stato maggiore dell’Esercito è convinto assertore. L’uomo è al centro del sistema esercito, nella sua dimensione fisica e spirituale. Lo spirito militare - di clausewitziana memoria - è una qualità imprescindibile. E per prima cosa vorrei evidenziare che il benessere del personale e la qualità della vita nelle infrastrutture, se per un verso dipendono dal trattamento economico, dall’orario di servizio, dalla disponibilità alloggiativa e dagli standard degli immobili, d’altro canto non prescindono dalla soddisfazione che ogni soldato nutre al riguardo dei propri bisogni di autorealizzazione. Dunque, l’efficienza operativa delle unità è una condizione basilare della qualità della vita perché è da essa che ogni singolo componente delle unità militari trae la consapevolezza che il proprio impegno è ben speso. Quindi i soldati devono potersi addestrare e realizzare condizioni di efficienza individuale e collettiva; poi condurre le missioni con competenza e in sicurezza: le due cose sono connesse. Così convergiamo sugli aspetti finanziari del problema, perché senza risorse non può esserci né addestramento né efficienza.
La risposta alla sua domanda, dunque, è che il CSE dedica molta attenzione agli aspetti sociologici e psicologici della vita militare e segnalo a lei e ai suoi lettori lo studio, già disponibile sul nostro sito web, sul tema – nuovo per le nostre Forze Armate – della Cultura organizzativa militare (v.link). Si tratta di un documento esteso, ma di agevole lettura, che fornisce chiavi interpretative scientifiche dei valori e delle tipicità militari. In questo modo, quei valori e quelle tipicità trovano nuove ragion d’essere nel confronto con le mode che s’impongono, anche quando queste andrebbero a detrimento della specificità militare. Il punto è che viviamo l’epoca della tarda modernità, pervasa da nichilismo e riduzionismo. Dunque, pur dovendo revisionare continuamente la nostra cultura, per mantenerla attuale, il paradigma che la configura deve rimanere integro nel confronto con le altre culture a salvaguardia dei valori irrinunciabili.
Riepilogando: in poco più di un anno avete messo a nudo le criticità derivanti dal sottofinanziamento della Difesa, che, come ben sanno i lettori, è oramai cronico; avete poi condotto uno studio sulla cultura militare. E, per il futuro, che progetti avete?
Mi consenta di precisare: non cultura militare, ma cultura organizzativa militare; in essa rientra l’organizzazione e il suo funzionamento, i sistemi tecnologici, le infrastrutture e quindi gli aspetti più attinenti all’uomo: le sue aspettative, le sue ansie e i valori che ne ispirano il comportamento nelle diverse contingenze; anche in combattimento.
Tornando alle attività del Centro, il futuro è già presente. Il capo di stato maggiore dell’Esercito ci ha invitati alla Conferenza Esercito 2020, un simposio in cui la forza armata, ben rappresentata in tutte le sue articolazioni, ha discusso di scenari futuri e delle prospettive di sviluppo basate sulle tecnologie abilitanti, che potenziano le capacità operative dello strumento militare. Una riflessione che nella circostanza ho voluto condividere con l’uditorio è che i nuovi sistemi: sistemi automatizzati di comando e controllo, veicoli a pilotaggio remoto, sistemi d’arma computerizzati e quanto altro la tecnica oggi metta a disposizione, lasciano comunque l’uomo al centro dell’organizzazione e che per di più la tecnologia è soggetta a venire degradata, per usura o per l’azione dell’avversario. E, dunque, l’uomo deve conservare le proprie abilità e deve continuare a saper operare in situazioni anche difficili da un punto di vista ambientale. Caldo, freddo, pioggia, polvere e sabbia, neve, fango, rovi che strappano la divisa e fatica restano le sfide con cui il soldato dell’esercito deve saper convivere.
La tecnologia abilita e potenzia, ma ha le sue vulnerabilità. È implicito nel concetto delle multi domain operations che nel futuro la manovra si estenderà allo spazio cibernetico e a quello fisico, della stratosfera, dove sono operative le infrastrutture che oggi ci danno l’orientamento e ci consentono di comunicare, per esempio il Global Positioning System. Un'azione tesa a degradare tali sistemi potrebbe neutralizzare componenti anche vitali dell’apparato di difesa e per questo occorre curare le capacità a operare in modalità tradizionale: saper leggere la carta topografica, designare un punto in maniera speditiva, orientarsi sul terreno, anche senza bussola.
Orbene, è necessario saper essere figli dell’Occidente opulento, e mantenersi tuttavia frugali, per risultare resilienti quando dispiegati sul terreno: ecco un cardine della formazione e dell’addestramento dei soldati di oggi; una forma mentis da inculcare. Da qui la necessità che l’addestramento virtual, basato sull’uso dei computer (come nei videogames), unanimemente riconosciuto essere molto efficace, debba sempre accompagnarsi a quello live, dove ci si misura con la fatica, col sudore, col sonno, la fame e la sete se per esempio manovrando sul campo di battaglia si è cambiata posizione e il rancio tarda a raggiungerci.
Partendo da questa riflessione, ho chiesto all’organo direttivo del Centro Studi Esercito di avviare una riflessione su questo specifico tema, da concretizzarsi in un prossimo lavoro, analitico e scientifico.
Ritiene che l’attività che state svolgendo riuscirà a sensibilizzare con efficacia la politica sulle urgenze e le necessità della Forza Armata?
In questa momento gli indicatori sociologici descrivono un’opinione pubblica favorevole alle Forze Armate. Tuttavia le persone oggi sono attente a questioni di più immediato interesse: il lavoro che manca, la sanità sotto l’attacco della pandemia, l’enorme debito pubblico. E c’è anche un diffuso desiderio di evasione rispetto alla problematicità della contingenza. Così, in tutto questo, le questioni strategiche e di sicurezza nazionale restano relegate a margine.
Ciò, nonostante la collocazione geografica del nostro Paese, che l’espone all’instabilità che sta attraversando il Mediterraneo allargato, migrazioni comprese, e il suo ruolo internazionale nelle alleanze, che comporta precise responsabilità.
C’è scarsa conoscenza della strategia globale, del fatto che l’Italia sia collocata in un quadro di relazioni internazionali complesso e in rapida evoluzione e, di conseguenza, vi è scarsa considerazione del ruolo primario Forze Armate: il warfighting.
La prima derivata di questo stato di cose è un impiego improprio dei militari, che qui da noi fanno di tutto, meno che un addestramento metodico, continuato e reiterato, per tutti gli scenari possibili d’impiego; addestramento necessario a mantenere le unità in efficienza e pronte.
La seconda derivata di questa mentalità è lo scarso consenso alla spesa militare, e ne vediamo gli effetti.
Quindi, sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi costituirebbe un servizio utile alla creazione di una migliore coscienza di fenomeni importanti interni al mondo militare. Tuttavia, questo compete agli opinionisti e alle agenzie della comunicazione.
Per quanto riguarda il nostro ruolo, sarebbe ingenuo pensare di modificare il pensiero prevalente, mainstream, su temi di questa complessità e portata, lontani dagli stereotipi e che per essere compresi richiedono applicazione intellettuale e senso critico scevro da ideologie. Siamo in internet col nostro sito, ma lo scopo non è di fare influenza, bensì di rendere fruibili i nostri lavori a chi ne è interessato. Nondimeno li proponiamo ai decisori strategici, che speriamo presto di poter nuovamente riunire nei nostri simposi.
Come si aderisce e chi può iscriversi al CSE?
Inoltrando tramite posta elettronica la domanda il cui format è sul sito web del Centro all’indirizzo www.centrostudiesercito.it. Ma nella domanda occorre indicare il proprio campo di interesse perché siamo liberi studiosi, che desiderano rendere disponibili gratuitamente le proprie competenze, condividendo la vision e la mission dell’associazione. Di queste si trova l’enunciato sullo stesso sito, alla pagina iniziale, ma chi ha letto sin qui l’intervista ne ha già ben compreso il significato.
Foto: Esercito Italiano / Difesa Online / Centro Studi Esercito