Una delegazione della Commissione Difesa della Camera è da poco rientrata dall'area di missione più antica per i nostri militari: oramai 40 anni!
In Libano il risultato della lunga presenza degli italiani si può apprezzare in tante sfumature quotidiane, la più semplice è il sorriso spontaneo di chi riceve il passaporto all'arrivo a Beirut, la più complessa è la lunga - ma cordiale - attesa perché si è in transito per la Siria (seppur con un visto giornalistico...).
Abbiamo incontrato il presidente della Commissione, onorevole Gianluca Rizzo, per avere un feedback sulla visita e comprendere dettagli e prospettive della Terra dei Cedri, crocevia fondamentale per tutti i Paesi confinanti.
Onorevole Rizzo, assieme ai colleghi Roberto Paolo Ferrari e Marta Antonia Fascina, è tornato da una visita ai nostri caschi blu in missione in Libano. Qual è la situazione reale del Paese in generale e dell'area di lavoro dei nostri militari in particolare?
Il contributo che l’Italia sta dando alla stabilizzazione del Libano è enorme ed encomiabile. Il Libano da problema del Medio Oriente ha tutte le potenzialità di trasformarsi in un modello di convivenza, di democrazia e di pace. Un tempo il termine “libanizzazione” era sinonimo di frammentazione. Oggi possiamo dire che quel termine significa comporre un mosaico equilibrato, in cui la diversità diventa una forza e non una debolezza.
Il Libano ospita sul suo territorio circa un milione e 500mila rifugiati siriani ai quali bisogna aggiungere altre decine di migliaia di profughi palestinesi. Siamo in un rapporto di 1 profugo ogni 4 abitanti, qualsiasi altro Stato sarebbe crollato sotto questa pressione. Il governo di Saad Hariri II denominato “governo di riacquisto della fiducia” è oggi espressione di una vera unità nazionale del Paese. Una unità nazionale che è stata fondamentale per non importare la guerra civile siriana anche in Libano. L’Unifil, di cui l’Italia ha il comando e anche la missione bilaterale italia –Libano, la MIBIL, oltre a contribuire al mantenimento del cessate il fuoco con Israele, sostiene l’addestramento delle Forze Armate Libanesi (FAL).
La costruzione di un esercito nazionale riconosciuto da tutti i soggetti è infatti considerata dagli analisti un elemento fondamentale per il pieno recupero della sovranità nazionale del Libano.
L'ha colpita qualcosa in particolare in positivo?
Molte cose ho trovato positive. Per esempio l’altissima considerazione con cui il variegato mondo politico libanese ha manifestato il riconoscimento per l’attività e l’impegno del nostro Paese. E poi una cosa da “meridionale” la voglio dire: quel sentimento di ospitalità e di accoglienza ricorda molto quello che è insito nella cultura della mia terra. Siamo entrambi popoli mediterranei e questo si vede e si sente.
E in negativo?
Non posso definire negative le difficoltà che un Paese, più volte distrutto e più volte ricostruito, attraversa o ha attraversato. Vedo di gran lunga segnali positivi ed è su quelli che dobbiamo lavorare.
Era già stato in Libano?
No, mai. Nella scorsa legislatura alcuni colleghi deputati del M5S invece c’erano stati e mi ero fatto raccontare. Sono felice di aver ritrovato nella mia visita tutte quelle cose positive che anche loro mi hanno detto. Forse rispetto alla missione di alcuni anni fa, con le minacce al Libano da parte di Daesh (l’Isis), la situazione è ancora migliorata. Infatti nell’estate del 2017 si è svolta una vera e propria battaglia tra le FAL e gli uomini del Califfato. L'esercito libanese ha conquistato alcune alture, fino a quel momento appannaggio dell'Isis, nella zona di confine con la Siria. Le colline si trovano tra le città di Ras Baalbek e Arsal, nella valle della Bekaa. In quell’occasione i militari, hanno distrutto alcune fortificazioni dello Stato islamico e ucciso numerosi fondamentalisti. Tutto questo è potuto avvenire non solo per il livello di addestramento raggiunto dalle FAL ma anche perché dietro c’era quell’unità nazionale libanese di cui parlavo prima.
A Beirut ha anche visitato Nave Magnaghi.
Sì ed è stato per me e per l’insieme della delegazione un altro momento significativo. La nave è ormeggiata nel porto di Beirut dove siamo saliti a bordo. L'attività di Nave Magnaghi in Libano si articola su due aree complementari, abbinando una campagna di rilievi idrografici svolti da personale congiunto delle Marine italiana e libanese, con un intenso programma di addestramento del personale di quest'ultima, ad integrazione dell'offerta formativa della MIBIL.
Ai militari libanesi vengono trasferite conoscenze teoriche e pratiche nell'ambito della navigazione, delle comunicazioni e della sicurezza antincendio, sia in porto che in navigazione, affiancando il personale italiano e continuando poi con esercitazioni dove il personale libanese opera autonomamente, sotto la supervisione degli istruttori del Centro di Addestramento Aeronavale della Marina, imbarcati sulla nave. I nostri marinai stanno facendo un ottimo lavoro.
La guerra oltreconfine ha preso una piega differente con l'intervento russo e il cambio di presidente negli Stati Uniti. C'è un rientro in Patria di profughi siriani?
Purtroppo la guerra in Siria non è ancora finita e anche Daesh non è stato del tutto sconfitto. Tante potenze oltre quelle citate, sono presenti con propri militari sul territorio siriano: iraniani, turchi, inglesi e francesi. Il rientro dei profughi nelle loro città deve avvenire in sicurezza e ancora questo fatto non è sufficientemente garantito. Il popolo siriano ha sofferto e soffre ancora tantissimo. Un accordo di pace duraturo è la precondizione perché le città ridotte in macerie possano essere ricostruite e di nuovo ripopolate. L’Italia assicura aiuto umanitario e progetti di cooperazione in campo sanitario ma vorremmo fare di più, magari seguendo il modello Libano.
È blasfemo parlare di "religione" quando è sempre la politica la responsabile delle guerre. Si è sentito raccontare ancora di "tensioni tra sciiti, sunniti e cristiani"?
Non è questione di blasfemia è questione che è sempre un errore usare l’appartenenza religiosa per dividere un popolo. In genere sono potenze esterne che soffiano sul fuoco di queste divisioni. Però adesso il Libano resiste a queste pulsioni autodistruttive.
Negli incontri che abbiamo avuto con il presidente del Parlamento libanese Nabih Mustapha Berri, con il ministro della difesa Yaacoub Sarraf e con una delegazione di deputati libanesi componenti la commissione difesa ho trovato consapevolezza di questo rischio ma anche una forte volontà di volerlo evitare. Il popolo libanese ha già pagato troppe volte sulla propria pelle il costo di guerre civili spesso indotte da interessi e potenze esterne.
Come è stata la visita al Joint Task Force Lebanon di Unifil?
Di grandissimo interesse oltre che di grande emozione. Dobbiamo tenere presente che vi fanno parte militari di ben 41 Paesi praticamente di tutti i continenti. Bisogna avere una grande capacità di comando per guidare un contingente in un contesto, quello della blue line, che comunque resta ad elevato rischio.
Il generale Stefano Del Col è recentemente diventato capo missione e comandante Unifil. Non è la prima volta che capita all’Italia e questo dimostra la stima che i militari italiani si sono guadagnati nel tempo. Vorrei ricordare che anche il cosiddetto “tripartito” è frutto della capacità diplomatica dell’Italia. Si tratta di un fabbricato sulla blue line, in parte in territorio libanese e in parte in quello israeliano, in cui si ritrovano per affrontare il mantenimento dell’armistizio le forze armate libanesi e quelle di Tel Aviv. Sono incontri particolari, senza che le due delegazioni entrino a contatto tra di loro. Guardano entrambi i comandanti dell’Unifil. Un dialogo indiretto, per interposta persona ma che avviene in tempi reali. È grazie a questa “invenzione” che si sono gestite tensioni tra i due campi.
Anche gli altri componenti della vostra delegazione hanno dato una lettura così positiva della vostra missione parlamentare?
Posso ragionevolmente affermare che sia la collega Fascina che il collega Ferrari condividono un sentimento analogo a quello che ho illustrato, ma potrete tranquillamente domandare a loro. Insieme relazioneremo alla Commissione sulla nostra visita e lo faremo tutti avendo negli occhi e nel cuore l’orgoglio per i nostri militari e per il ruolo che svolge l’Italia in quel contesto.
(foto: Difesa)