La pellicola, diretta dal regista di Ability Channel Michelangelo Gratton, descrive la vita quotidiana del colonnello nel ruolo d’Onore dell’Esercito Carlo Calcagni, la sua passione per la bicicletta con cui ha vinto due medaglie d’oro ai campionati mondiali di paraciclismo nel 2015, nel gruppo sportivo paralimpico della Difesa e tre medaglie d’oro agli Invictus Games 2016 di Orlando, in Florida, i giochi riservati a militari e veterani. E, ovviamente, le terapie, da quando nel 1996, dopo una missione di peacekeeping nei Balcani per evacuazioni medico-sanitarie si è ammalato di contaminazione da metalli pesanti e quindi di Sensibilità chimica multipla. Da qui una serie di patologie, dalla cardiopatia al Parkinson, che tiene a bada con una miriade di farmaci e con la sua proverbiale caparbietà mentale. È un guerriero, Calcagni, un uomo che ama i suoi figli e la vita, che va avanti a muso duro e sorriso, nonostante il dolore, le terapie giornaliere a base di centinaia di pillole, dialisi, flebo e ogni tanto ricoveri e interventi in Italia come in Inghilterra. E, soprattutto, ha l’orgoglio di essere un soldato per il quale l’uniforme è onore, è Patria, è dovere, è tutto.
Il capo di stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano, ha conosciuto la sua storia grazie al film e ha voluto incontrarlo.
Alla prima di I Am, io sono il Colonnello, il 13 aprile al cinema Palma di Trevignano Romano, ci sarà anche Calcagni. L’incasso, su base volontaria perché il colonnello non prenderà un centesimo, sarà devoluto ad un’associazione onlus del posto, Lago per tutti, per la realizzazione di una spiaggia attrezzata e accessibile anche ai disabili sul lago di Bracciano. Lo stesso per gli altri luoghi dove verrà proiettato il film, Calcagni è stato chiaro: incasso volontario da devolvere in beneficienza.
Come nasce l’idea di un docufilm su Carlo Calcagni?
È un docufilm di un’ora e 20minuti. Non ci sono attori. Il regista Michelangelo Gratton documenta quella che è la mia quotidianità, il dietro le quinte che in pochissimi conoscono, i problemi seri, clinicamente dimostrati e accertati, quindi anche riconosciuti come dipendenti da causa di servizio. Viene da chiedersi, come si fa a ottenere quei risultati che io nel tempo ho conseguito, con questo tipo di problematica. Il docufilm mostra tutto questo.
Con Gratton ci siamo incontrati tre anni fa in un ritiro pre-mondiale della Nazionale di paraciclismo. Poi ha iniziato a seguirmi, a mia insaputa. Lo scorso dicembre mi ha chiamato, lui e i suoi collaboratori avevano intenzione di realizzare un docufilm sulla mia storia, ritenendo che vada assolutamente raccontata e fatta conoscere, “Perché tu, ogni giorno, mandi un messaggio straordinario a tutti quelli che ti seguono…”. Io, è vero, ogni giorno ricevo messaggi bellissimi di persone che grazie a me vanno avanti. È questo l’obiettivo del docufilm, poter essere d’aiuto o da stimolo a tante altre persone .
La prima reazione qual è stata?
Per me che la mia vita la vivo quotidianamente, non potrebbe esserci nessun regista, nessuno scrittore che potrebbe inventare una storia o un film così incredibilmente vero, dove la realtà supera l’immaginazione. Quindi ho detto immediatamente sì a Gratton. Dopo pochi giorni, è sceso con la troupe da me in Salento e sono rimasti 5 giorni a casa mia, 24 ore su 24.
Condividendo ogni istante, dall’allenamento alla terapia, ai figli?
Condividendo tutto. Ovvio che non è una cosa semplice mettere a nudo la propria vita, il dietro le quinte che io, per tutti questi anni, ho volutamente nascosto, perché ho sempre voluto mostrare solo il lato positivo delle cose, di uno che anche quando fa la dialisi o gli interventi sorride.Tutto quello che faccio sembra incredibilmente semplice, ma è piuttosto una naturalezza perché ormai fa parte della mia vita, ma non è affatto semplice. Come mettere l’ago di Huber, un ago particolare che, se è vero che ho l’impianto permanente e quindi non buco la vena per fare la flebo quotidiana, comunque devo bucare la mia carne per arrivare all’interno dell’impianto, tutti i giorni e più volte al giorno in quelle frequenti occasioni in cui, proprio perché ho un impianto permanente e quindi un accesso venoso centrale che è una porta aperta a rischi di infezione, prendo la setticemia. E quando c’è la setticemia devi fare anche la terapia antibiotica in vena, con antibiotici di un certo tipo, di ultima generazione, perché si tratta comunque di infezioni gravi, che possono essere anche letali e quindi, in quelle occasioni, devi bucare l’impianto anche due o tre volte in un giorno. E questa è solo una delle tante cose quotidiane.
Terapia tra flebo, dialisi, medicinali vari…e pillole?
Ogni giorno sono circa trecento le pillole da prendere e ti assicuro che è più pesante, per me, sia dal punto di vista psicologico che fisico, buttarle giù tutte nell’arco della giornata piuttosto che fare la mia dialisi e le mie quattro/cinque ore di flebo. Ormai c’è un rigetto del corpo che, quando deglutisco, proprio non le vuole. Lo stesso rigetto della pelle appena sente l’ago. Lì c’è un momento di mia concentrazione mentale per sopportare anche quel dolore. Come sopporto dolori incredibili 24 ore su 24, perché i normali antidolorifici non mi fanno alcun effetto. Mi hanno prescritto la terapia del dolore, con tre farmaci a base di stupefacenti e che, proprio per lo sport, non ho mai iniziato. Erano farmaci che avrebbero annullato quella grande forza mentale che tutti i medici mi riconoscono e mettono per iscritto nelle loro relazioni, forza che mi permette di fare l’allenamento anche con 40 di febbre o quando i dolori sono talmente forti e la stanchezza tanto pesante (tra le varie sindromi anche quella da fatica cronica…). Anche questo è in contrasto con quello che io faccio durante l’allenamento, dove subentra la forza mentale che mi fa superare questi limiti. Io lo dico sempre, i limiti sono solo mentali e lo dico proprio a ragion veduta, provato e sperimentato sulla mia pelle.
L’allenamento disintossica?
Se io per due giorni non pedalo, quindi non sudo – e la mia sudorazione non è come quella di una persona normale, io nella mia ora e mezza di allenamento butto fuori anche 4 litri di liquidi e di tossine - sto male e peggioro. Sudando mi alcalinizzo e mi ossigeno, perché mi serve anche l’ossigenazione dei tessuti, io ho un’insufficienza respiratoria per una fibrosi polmonare e sono stato anche operato. Con l’ultimo intervento, ho superato abbondantemente i duecento punti di sutura. Quelle sono le mie medaglie, quelle che magari non mi sono state riconosciute per il servizio prestato e che invece tutti gli interventi che ho dovuto subire nel tempo mi hanno inciso sulla pelle. Ma le medaglie più belle sono quelle che ti arrivano ogni giorno dalle persone che non ti devono nulla e che ti riconoscono dei meriti per quello che fai, per l’incitamento e la voglia di vivere che dai anche agli altri. È uno scambio.
Come è scritto, Carlo Calcagni è un soldato, non fa il soldato…
C’è una bella differenza. Mi fa piacere che l’hai notata. Si, io sono un soldato. Ma sai, vestire ancora l'uniforme è per me una gratificazione in più che ha la sua parte nel mio essere, nel mio modo di vivere perché, come dico anche nel film, per me la divisa è tutto. E sono felice di dare comunque il mio contributo alla società, oltre che alla Forza Armata. Perché nonostante io sia stato riformato nel 2007 con il 100% di invalidità, sono rientrato grazie al Ruolo d’Onore, la possibilità che il nostro ministero della Difesa ci dà e siamo tra i pochi al mondo ad avere questa opportunità, a domanda rientrare in servizio e continuare a rendersi utili.
Come si fa, con tutti i problemi e la sofferenza, a mantenere un equilibrio?
Il mio è un equilibrio che basta un niente per farlo saltare, però in tutti questi anni ho sempre lottato. Il merito è tutto del mio passato, dall’educazione familiare compreso il lavoro in campagna con mio padre. E l’arte marziale, quindi la disciplina inculcata già a cinque anni con il judo, che non ho più lasciato e che ha contribuito a formare in parte il mio carattere. Poi otto anni, dalle medie al liceo classico, dai padri Scolopi a Campi Salentina. E, la ciliegina sulla torta che ha formato definitivamente quello che sono oggi, la vita militare. Soprattutto, sottolineo e rivendico di averlo voluto dopo aver vinto il concorso da allievo ufficiale, è stato l’andare per tre anni a Pisa, tra i paracadutisti, a mille chilometri da casa. È chiaro che dovevo essere molto motivato.
Nel film lo dico: non dimenticate che io sono un uomo della Folgore, e questo in molti casi fa la differenza. Poi, per professione e perché si vuole sempre migliorare e per me ogni traguardo è sempre stato non un punto d’arrivo ma di partenza, ho vinto il concorso per pilota di elicottero. Così ho iniziato a coltivare un’altra passione straordinaria che è stata quella del volo. Con tutte le specializzazioni a Viterbo, dove poi sono diventato pilota tattico operativo, il pilota osservatore dell’Esercito che, una volta qualificato, va ai reparti operativi ed è pronto a fare tutto il necessario, dal soccorso alle ricognizioni, sia in ambito militare che in campo civile.
Per quel che riguarda i civili, è una cosa che molti non sanno…
Quando io vado in giro, nelle scuole come altrove, a raccontare la mia esperienza, sottolineo sempre, perché tutti devono saperlo, che i militari non sono, come spesso veniamo definiti, guerrafondai. Chi li critica, invece, dovrebbe ringraziare tutti i giorni, per il fatto di avere dei militari che, 24 ore su 24, sono pronti per aiutare in qualsiasi modo la popolazione, dal soccorso urgente e magari di notte, come mi è capitato spesso quand’ero a Pontecagnano, vicino Salerno, alle calamità naturali come terremoti o alluvioni, all’ordine pubblico. Quando ci fu l’agguato a Giovanni Falcone, io il giorno dopo sono andato in Sicilia e ci sono rimasto per due anni, a lavorare con i magistrati e accompagnarli ai processi nell’aula bunker a Marsala, rischiando tutti la pelle ogni giorno. Quando Paolo Borsellino è saltato in aria, io ero sulla sua testa con l’elicottero, ho visto l’esplosione. Noi militari siamo sempre dalla parte del cittadino e siamo sempre pronti a salvare una vita. È gratificante ma, al tempo stesso, è brutto ascoltare chi ti critica pensando che i militari non servano e senza conoscere le cose.
Molti militari seguono Carlo Calcagni, da tempo…
È molto bello quando tra coloro che mi scrivono trovo dei colleghi (molti sono stati dei miei sottoposti) e quel che mi dicono mi emoziona. È una di quelle medaglie di cui ti parlavo che ti arrivano dal popolo, da chi non ti deve assolutamente nulla. Perché la medaglia che ti riconosce lo Stato, il ministero della Difesa, le istituzioni in genere, ti viene conferita per un tuo merito e quindi è giusto che ti venga data. Nel mio caso, per varie vicissitudini, io non ho avuto neanche una medaglia di cartone riciclato. Ma poi, quando capisci come funzionano queste cose, è ovvio che se nessuno ti propone, nessuno mai ti potrà dare quello che comunque ti spetterebbe di diritto.
Recentemente sono stato ricevuto dal capo di stato maggiore della Difesa, generale Claudio Graziano. Mi ha fatto chiamare il giorno prima. Prontamente ho preso il primo aereo e sono andato, perché per me era come se fosse un ordine, perché ho sempre avuto massimo rispetto nei confronti dei miei superiori, sempre e comunque e ho un fortissimo attaccamento alla Forza Armata e un senso del dovere che per me è naturale.
Possiamo dire meglio tardi che mai?
Come io ho detto al generale Graziano - che si preoccupava, vista anche la mia condizione poiché io devo organizzare ogni viaggio con i miei farmaci e le mie terapie e mi ha detto che sperava di non avermi creato disagio facendomi chiamare - aspettavo da una vita questo momento e non me lo sono fatto scappare. Quindi, in quel paio d’ore con lui – l’incontro era previsto di pochi minuti, ma poi ha voluto conoscere bene la mia vicenda – ho potuto capire che le cose raramente vengono riferite a chi dovrebbe conoscerle. É questo, a volte, il motivo per cui ti puoi sentire abbandonato, perché chi deve sapere non sa e quindi non ha modo di fare quel che andrebbe fatto. E poi, come ti dicevo, ci sono i riconoscimenti da parte di persone che ti hanno incontrato e per i quali sei stato di esempio, come molti militari in servizio di leva sotto di me: alla Smipar li terrorizzavo, oggi sono per loro da esempio.
Questa è la differenza tra l’essere un Capo e solo comandare, tra l’essere autorevoli oppure autoritari…
Anche i miei comandanti, quelli di una volta, mi hanno insegnato che va bene la formalità, ma prima di tutto bisogna avere cura del proprio personale, che non si può trattare come numeri, come semplici soldatini. Molti fanno valere il grado: io non l’ho mai fatto. Tanti mi rimproveravano la confidenza con i sottufficiali, addirittura con i militari di leva. A Salerno i soldati semplici mangiavano con noi ufficiali. E spesso la sera eravamo insieme in palestra. Ma non è che se dai loro confidenza non sei più l’ufficiale e perdi il comando. Tu devi essere rispettato per quello che sei, non per il grado che rivesti. É ovvio che il grado sia importante, per il ruolo che poi vai a ricoprire, per le responsabilità che ti vengono affidate. Ma non è con quello che ti fai rispettare, altrimenti ne stai solo abusando. Mentre, quando questo ruolo ti viene riconosciuto a prescindere, sarai sempre rispettato e quando chiederai tutti saranno disposti a darti il massimo. E la cosa bella è che quel rispetto, che durante il servizio di leva comunque era dovuto, lo vedo oggi, a distanza di 30 anni, quando potrebbero dirmene di tutti i colori.
L’incontro con il generale Graziano, è una sorta di “pacificazione” con la Difesa?
Quella stretta di mano, il Crest che mi ha regalato, le foto insieme a lui, custodisco tutto in modo geloso. Quella stretta di mano mi riconosce quell’identità che in tutti questi anni ho cercato. È ovvio, come ho raccontato anche a lui, io capisco che molti mi hanno usato, hanno usato la mia storia, la mia condizione, per strumentalizzare e usarla contro la Forza Armata e quindi, quasi, mettendomi contro quella che è la mia famiglia e questo, in tutti questi anni, mi ha fatto male. Questo gli ho detto. Questa è la mia famiglia ma non è possibile aspettare dodici anni, da una richiesta di risarcimento fatta in via bonaria per non andare davanti a un giudice di un tribunale, mentre poi chi ha trattato la pratica mi ha risposto solo dopo questo tempo. Ho avuto un’attesa e una pazienza infinita che, credo, nessuno avrebbe avuto, con una risposta dalla direzione della Sanità Militare, avuta solo pochi mesi fa e con soltanto tre righe nelle quali è scritto che la mia domanda non può trovare accoglimento.
Una lunga lotta…
La Forza Armata non ha avuto lo stesso rispetto nei miei confronti, non mi è stata fatta neanche una proposta “oscena”, poi stava a me se accettare oppure no e magari io, per il quieto vivere, avrei accettato anche l’euro simbolico. Perché sarebbe stato il giusto riconoscermi dell’aver sacrificato alla Forza Armata la mia vita e anche la salute. Anche questo ho detto al generale Graziano, gli ho detto che se riteneva l’avrei messo anche per iscritto, che fino a ieri non la pensavo in questo modo, ma dal momento in cui ero lì con lui e ho avuto modo di parlare, se mi facessero anche una proposta assurda, pur di chiudere tutto e in armonia, io l’accetterei.
E, tra le cose dette e quelle che mi hanno fatto, il non farmi partecipare a molti eventi, il tenermi sempre nascosto, qualcuno si è permesso anche di dire che io non ho rispetto della Forza Armata, che non dimostro attaccamento. E questo, gli ho detto, non lo posso accettare, nessuno deve permettersi di mettere in dubbio il rispetto che io ho per la Forza Armata e l’attaccamento che ho per l’uniforme che indosso. L’ho dimostrato con i fatti.
Sicuramente il generale Graziano tutto questo l’ha capito, una volta che l’ha saputo…
Credo sia stato il punto in cui ha voluto sapere di più e io gli ho spiegato un bel po’ di cose, non ultimo quella del grado di generale, visto che mi hanno negato la promozione che mi spettava d’ufficio dal 1 gennaio 2013. Il ruolo d’onore ammette quattro promozioni, ne avevo fatte solo due, da tenente colonnello a colonnello. Nel ruolo d’onore non vai in valutazione, quando arriva il giorno scatta la promozione, che non comporta alcun costo per l’amministrazione perché la pensione non cambia. Ma la dottoressa che tratta queste pratiche mi scrisse che non potevo essere promosso in quanto nel mio ruolo di provenienza, ruolo speciale perché non ero da Accademia ma avevo iniziato dal complemento, non è previsto il grado di generale.
Risulta difficile da credere…
Lo è. Però la dirigente comanda e quello che dice lei è legge. Mi ha invitato a fare ricorso. Come ti ho spiegato prima, a me il grado in sé non interessa, ma se una cosa mi spetta di diritto mi andrebbe concessa e sarebbe anche un riconoscimento morale importante. E quindi ho fatto subito ricorso straordinario al presidente della Repubblica, sono passati più di cinque anni, nel 2013 sarei stato uno dei generali più giovani d’Italia e invece sto ancora aspettando una risposta, non so che fine abbia fatto il ricorso. Tieni conto che, tra terapie, interventi chirurgici, etc, ho talmente tanti impegni e altre priorità che figurati se posso stare dietro alla promozione da generale, così come è stato per i 12 anni di attesa per il risarcimento, anni passati a vuoto. Però chi sta trattando la pratica e mi deve rispondere che non può essere accolta, ha bisogno di 12 anni per dirmelo? O devo pensare che stiano aspettando che uno si tolga dalle scatole? Non si può tenere una richiesta buttata chissà dove per 12 anni perché è quella di Calcagni, non puoi rispondermi che a me non spetta quando poi gli altri li promuovi. Però volevo chiudere la questione pacificamente. Cosi il generale Graziano, saputa la vicenda, ha voluto conoscere Carlo Calcagni di persona. Perché sulla carta mi hanno sempre descritto in un modo, ma ripeto, è normale, perché mi hanno sempre messo contro il sistema.
C’è un riferimento a qualcuno in particolare?
Mi riferisco a tanti tuoi colleghi giornalisti. Quanta agitazione ho avuto per articoli pieni di inesattezze e bugie... Senza neanche porsi il problema di chiederti qualcosa, di interpellarmi. A cominciare dalla prima cosa che fa sensazione, ad esempio che Calcagni è malato da uranio impoverito. Ma chi sta parlando di uranio? Qui di tutto parliamo, tranne che di uranio. La mia causa di servizio è per “contaminazione da metalli pesanti”, ormai documentata ufficialmente. Molti hanno scritto su di me solo quando avevano interesse a creare polemica contro il ministero della Difesa. E ne ho pagato sempre io le conseguenze. Ho lasciato correre, ma ora basta.
Nel film si evidenzia l’uomo, i valori, l’essere di esempio per gli altri, perché deve arrivare un messaggio, come è giusto che sia.
Un film che è la storia di una vita...
È la mia storia. È ovvio che nella mia storia ci sia anche il soldato e, scusa se è poco, c’è tutto quello che ho fatto ed è tantissimo e c’è anche la malattia, per la quale non parliamo del perché, ma di come, oggi quest’uomo affronta una problematica così difficile e nonostante tutto continua a sorridere alla vita, a fare sport, a puntare a obiettivi importanti, a quei traguardi che ti permettono di affrontare terapie, interventi, dialisi e dolori lancinanti tutti i giorni. Ma se tutto questo mi permette di gioire ancora del sorriso dei miei figli o di andare agli Invictus in Australia dal 17 al 29 ottobre 2018, allora facciamolo. Sai quante volte ho avuto la voglia di mollare tutto e lasciarmi andare? Invece, anche per quello che rappresento per tante persone, per i giovani in cui vedo i miei figli e la cui risposta è splendida, trovo la forza e vado avanti.