Varese, 17 novembre. Serata incontro sulla Grande Guerra a Varese, nella prestigiosa Villa Panza, in occasione dell’85° Anniversario della fondazione della Sezione di Varese dell’Associazione Nazionale Alpini. Sono intervenuti il generale di divisione Massimo Panizzi, vice comandante delle Truppe Alpine per il Territorio e il dottor Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Temi trattati: il ruolo dell’Esercito Italiano e il racconto della guerra attraverso il Cinema.
Al termine della conferenza, abbiamo rivolto alcune domande al generale.
Generale Panizzi, perché parlare ancora della Grande Guerra?
Perché è stato un evento epocale, tragico e globale. Costitutivo della nostra storia e della nostra identità di Italiani. Che riguarda tutti noi e che ci impegna moralmente a comprendere i fatti che hanno contribuito a realizzare l’Italia in cui oggi viviamo. C’è, in più, il fortissimo debito di riconoscenza nei confronti dei tanti che, sacrificandosi, ci hanno permesso di vivere in un mondo migliore. Con la mostra itinerante chiamata “La Grande Guerra. Fede e Valore” lo stato maggiore dell’Esercito ha voluto commemorare quegli eventi, rendendo omaggio a chi ha servito la Patria fino all’estremo sacrificio.
Cento anni fa Caporetto. Se ne continua a parlare...
Sì, cento anni fa gli Italiani vivevano uno dei periodi più tragici della nostra storia.
Il momento più difficile del conflitto, drammatico, che nell’immediato parve l’inizio della fine, dopo tre anni di guerra logorante.
È corretto, secondo lei, parlare di disfatta?
Caporetto è stata spesso definita, in modo un pò semplicistico, come una disfatta “tout court”. Se per “disfatta” si intende un crollo totale, ove tutto è perduto, no, non lo è stato. Al contrario, come ha spiegato anche il generale Graziano in una recente intervista, pur trattandosi di una sconfitta gravissima, fu il preludio della vittoria finale. In altre parole costituì la svolta decisiva, quella della rinascita. I diari dell’epoca, i numerosissimi studi condotti sull’argomento, danno sì un quadro di giornate drammatiche e, per certi versi, apocalittiche, ma riportano anche il racconto d’innumerevoli esempi di coraggio, di puro eroismo e incredibile valore per arginare l’invasione nemica. Episodi che stupirono il nostro nemico, che pensava di avere in pugno la vittoria finale, ma che dovette profondamente e dolorosamente ricredersi. Episodi che non possono essere taciuti.
Per esempio?
Ce ne sono tantissimi, basterebbe leggere e studiare. Oggi la documentazione su questo evento è vastissima e le fonti sono accessibili a tutti. Mi vengono in mente l’eroica resistenza dei reggimenti “Genova Cavalleria” e “Lancieri di Novara” della brigata di cavalleria del generale Capodilista e di reparti della brigata “Bergamo” che, a Pozzuolo del Friuli, si immolarono per proteggere il ripiegamento della 3^ armata. Oppure la straordinaria resistenza dei Granatieri di Sardegna a Lestizza e la lotta furibonda della brigata “Bologna” sul Monte di Ragogna per difendere il Ponte di Pinzano. Ne parlavo prima con il mio amico Alberto Barbera: bisognerebbe farci un film…
Perché non se ne parla allora?
Domanda difficile, la cui risposta richiederebbe un esame accurato che esula dalle mie competenze e che probabilmente incontrerebbe motivazioni di carattere culturale. Posso soltanto dire che quando si affrontano argomenti così complessi, articolati e tragici, servono onestà intellettuale e la voglia di studiare e di informarsi. Non si può semplificare. Parlando di eventi tanto drammatici, di una guerra che ha coinvolto tutti gli aspetti della società italiana in circostanze dolorose ed estreme, ci vuole rispetto. Molto rispetto.
Come si possono interessare i ragazzi a questi eventi?
È un’altra domanda difficile. E non credo di avere sufficiente competenza per rispondervi compiutamente. La mia opinione personale è che si dovrebbe principalmente coltivare nei ragazzi la “curiosità” di conoscere la nostra storia. Io ritengo che l’argomento “Grande Guerra” coinvolga tanti e tali aspetti, da poter suscitare interesse in tutti: vi si trovano la diplomazia, l’arte militare, le innovazioni, il ruolo delle donne, la trasformazione dell’industria, le nuove sfide incontrate dalla medicina, la “sociologia della trincea”, il ruolo della propaganda, l’arte, la musica, la letteratura e molti altri. Per noi militari è di grande interesse scoprire come l’Esercito divenne veramente l’Esercito degli Italiani.
Generale, cosa suggerirebbe a un giovane che abbia voglia di accostarsi a questi temi?
Quello che già consigliamo e stimoliamo i nostri militari a fare: visitare i Sacrari e i Musei Militari sparsi sul nostro territorio. Esiste una vera e propria “geografia della Grande Guerra”, sono stati creati itinerari guidati di grande interesse storico e anche turistico che incrociano quei luoghi “sacri”. Vede, nel mio attuale incarico ho la responsabilità di tre Musei Militari dell’Esercito e mi capita sovente di presenziare a cerimonie presso Sacrari e Cimiteri di guerra. Visitarli ti cambia profondamente. Nessuno esce indifferente da una visita ai Sacrari di Redipuglia, Cima Grappa o Oslavia. Nessuno. Ma ci si deve andare preparati. A Redipuglia è scritto: “la maestà solenne del luogo non è veduta per gli occhi se prima non è sentita nel cuore”. Quelle parole mi hanno sempre colpito. L’amore per la Patria si impara. E i luoghi sacri della nostra storia costituiscono uno straordinario viatico all’apprendimento e sono fonte inestinguibile di energia morale.
Ma è giusto insistere sulle commemorazioni dei caduti?
Non è soltanto giusto, è doveroso! Non c’è progresso, né futuro, senza la memoria del passato e senza la gratitudine nei confronti di chi ha dovuto combattere per garantirci le condizioni di pace e stabilità che talvolta sembrano scontate.
Quale immagine resta, per lei, del soldato italiano nella Grande Guerra?
Mi viene in mente una parola: DIGNITÀ. Una grande dignità. Soprattutto nelle difficoltà e nei momenti tragici, alla vigilia di azioni belliche dove gli uomini avevano la consapevolezza di poter trovare la morte. La dignità che emerge nei diari e nelle lettere dal fronte: pagine di letteratura straordinaria, imperdibile.
In cento anni l’Esercito ha cambiato pelle molte volte. Lei è un comandante di uomini: cos’ha in comune il soldato di oggi con quello di allora?
Con tutti i distinguo del caso ed esprimendo un’opinione personale, credo vi siano alcuni tratti distintivi del soldato italiano sempre presenti, oggi come un tempo: il coraggio, la determinazione, la dignità e la grandezza d’animo, la capacità di superare sempre le circostanze difficili, la straordinaria adattabilità ad ogni situazione. Parafrasando il titolo di un celebre film, si potrebbe dire che il soldato italiano è “un soldato per tutte le stagioni”. C’è anche il motto di un reggimento alpino, che credo si attagli bene all’essenza del militare italiano: “nec videar dum sim” ovvero “non per apparire, ma per essere”.
Il dottor Barbera ha parlato dei film più famosi sulla Grande Guerra. Qual è il suo preferito?
Mi è difficile decidere quale. Sono tanti e diversi. Fra i film italiani mi viene subito in mente “La Grande Guerra” di Monicelli. Lo guardai per la prima volta da ragazzo. Ne rimasi affascinato. L’immagine finale del duo Sordi/Gassman, soldati opportunisti che, feriti nell’orgoglio, si ribellano e ritrovano l’onore di sentirsi Italiani, è straordinaria. Ti trasmette il senso della Patria.
Se dovesse proporre ad Alberto Barbera di realizzare un film su un personaggio militare, di chi gli parlerebbe?
Lui non realizza film, ma conosce bene chi li fa… Beh, cercherei di convincerlo a proporre dei film che ci aiutino a riscoprire alcuni fra i grandi Italiani in uniforme: ad esempio Federigo Caprilli, Amedeo Guillet, Paolo Caccia Dominioni.
Ne scelga uno
Allora scelgo Paolo Caccia Dominioni: ha combattuto in prima linea nelle due guerre mondiali. Ufficiale, ingegnere, scrittore, disegnatore inimitabile, memorialista d’eccezione. Ma, soprattutto, un uomo che ha fatto del culto della memoria la sua ragion di vita. La realizzazione del Sacrario di El Alamein è un inno alla pietas. Lui davvero ha celebrato il valore del soldato italiano.
(foto: Matteo Mezzalira)