Settembre 1943: "Resa incondizionata"

(di Andrea Cucco)
26/09/23

Sono nato nel 1970: un quarto di secolo dopo la fine della seconda Guerra Mondiale. Di tracce del conflitto, durante la mia infanzia, non ho alcuna memoria.
Ho ascoltato da ragazzo i racconti di mio nonno, della sua tremenda esperienza (ben due anni) da soldato in Russia, della ritirata... ma sembravano ricordi davvero remoti e riguardavano un uomo e la sua generazione.

Per decenni ho poi creduto che essere italiani equivalesse ad essere francesi, inglesi o addirittura statunitensi. Parallelamente mi sono sempre chiesto il perché dell'inettitudine della nostra politica; quella estera in particolare.

Ho appena letto un libro sul Trattato di Pace di Parigi del 1947, esito della nostra "resa incondizionata" del 1943: una sostanziale condanna morale e materiale dell'Italia con rinunce territoriali, drastico ridimensionamento delle forze armate ed assegni politici, economici e finanziari firmati in bianco.

Celebriamo baldanzosamente ogni anno la "Guerra di Liberazione": una fase ufficialmente di "cobelligeranza", il cui principale prezzo fu - come al solito - pagato dalla popolazione civile. Non si sottolinea tuttavia mai abbastanza un vero e proprio "bagno di sangue", l'altissimo dazio sofferto dagli Alleati sul suolo italiano nel relativo biennio (fra i 300.000 ed i 400.000 tra morti, dispersi e feriti).

E della resa del 1943? Non si fiata...

Per riportare alla luce un evento pressocché sepolto nell'inconscio collettivo italiano, abbiamo intervistato un diplomatico e saggista che ha affrontato in numerose opere quel periodo storico: l'ambasciatore Domenico Vecchioni*.

L'aver firmato una "resa incondizionata" è stato effettivamente "rimosso" dalla nostra coscienza collettiva?

Non credo sia stato rimosso perché in fondo…  non c’è mai stata piena consapevolezza della "resa incondizionata", principio stabilito dagli alleati nella conferenza di Casablanca del gennaio 1943 (foto). Con le potenze nemiche ci sarebbe stata una sola possibilità di accordo: "unconditional surrender"!

L’8 settembre, in effetti, ci è stato sempre presentato come "l’armistizio". Ma l’armistizio è concluso tra parti belligeranti quando esse scelgono di prendersi una "pausa", una sospensione delle attività belliche per stabilire cosa fare in seguito, se continuare la guerra o negoziare la pace. Ora mi pare che all’Italia furono semplicemente imposte tutte le condizioni previste dagli alleati. Non solo. La resa fu firmata in due tempi.

Il 3 settembre, a Cassibile, fu definito l’armistizio breve (foto apertura), che conteneva le clausole essenziali per la cessazione delle ostilità e diramato solo l’8 settembre.

Il 29 settembre fu poi firmato l’armistizio lungo a bordo della corazzata Nelson (nella rada di Malta) che conteneva clausole più dettagliate, di carattere politico, economico e finanziario. che, tra l’altro, facevano perdere all’Italia ogni autonomia in campo internazionale.

Lo verificò amaramente il nostro ambasciatore a Madrid, Giacomo Paulucci de’ Calboli, quando ricevette da Badoglio l’ordine di consegnare al collega tedesco la dichiarazione di guerra alla Germania, che da "alleato germanico" passava allo status di nemico numero uno. L’ambasciatore tedesco, tuttavia, gli oppose un deciso "fin de non-recevoir"!. Quel documento per lui era irricevibile perché l’Italia, con le clausole armistiziali, aveva perso ogni capacità decisionale in politica estera.

L’8 settembre dovrebbe essere ricordato non come la data dell’armistizio, quanto piuttosto come il giorno della resa. Storicamente sarebbe più giusto. Se poi sia stato un bene o un male per il paese arrendersi, è questione che riguarda un altro e più vasto dibattito storico.

Sono d'accordo e non biasimo di certo gli Alleati: abbiamo perso. La tanto celebrata "Liberazione", di fatto, ha inciso poco se non addirittura nulla (!) sul Trattato di Pace del 1947. Perché distogliere l'attenzione, per quasi 80 anni, da un documento fondamentale?! 
Che considerazione ha di Badoglio?

Un vero gattopardo! Servì diversi regimi, obbedì a più capi, sempre cercando di abbinare gli interessi nazionali ai suoi tornaconti personali.

Badoglio tradì Mussolini per motivazioni politiche e militari. Per risparmiare, cioè, agli italiani nuovi lutti e devastazioni. Ma lo fece male, senza una precisa visione, in assenza peraltro di coraggio fisico e morale e predisposizione ad assumersi le proprie responsabilità.

Agì in maniera così disordinata da guadagnarsi il disprezzo dei tedeschi, senza acquisire la stima degli alleati, che mai lo tennero in grande considerazione. Il suo maggior tradimento tuttavia non fu quello di aver fatto arrestare l’uomo che lo aveva portato in trionfo dopo la conquista dell’Etiopia, o di non aver fatto abbastanza per evitare la caduta del re che lo aveva riesumato dal letargo in funzione anti-mussoliniana. Il suo maggior tradimento fu quello del popolo italiano, lasciato in balia di se stesso per 45 giorni; fu quello di essere fuggito da Roma senza nemmeno tentare di difenderla, abbandonando i romani al loro destino; fu quello di aver accettato una resa "incondizionata" senza aver cercato di attenuarne le durissime clausole che cancellavano ogni sovranità italiana.

Per lui gli alleati crearono un neologismo che la dice lunga sul prestigio goduto dal Maresciallo d’Italia presso gli alleati: "to badogliate". Tradire cioè in maniera pasticciata, confusa, maldestra, furba…alla Badoglio, appunto.

Alla luce di quanto stiamo discutendo, non risultano finalmente comprensibili i limiti della politica (estera in particolare) degli ultimi 80 anni? Ricordiamo che fu anche imposto l'azzeramento dei possedimenti coloniali italiani...

Certo, i germi del trattamento che sarà riservato all’Italia dopo la guerra hanno avuto la loro prima coltura nelle durissime clausole dell’armistizio. La formula ambigua della "cobelligeranza" non ci fece guadagnare molti crediti nei confronti degli alleati. Si rivelò solo uno strumento di propaganda politica alleata (soprattutto inglese).

Basti pensare che l’Italia, sempre condizionata da pesanti vicoli diplomatici imposti dalle super potenze, fu ammessa all’ONU solo nel 1955 (foto), dieci anni dopo la sua fondazione.

Nella sua carriera da diplomatico la sottoscrizione della resa del 1943 è sempre stata, al contrario, sempre ben presente? È stata mai "rammentata" da qualcuno?

No, devo dire di no. Non ho mai avuto occasione di parlare con i colleghi di argomenti così scottanti della storia nazionale. E d’altra parte, si sa, la regola d’oro dei diplomatici quando partecipano a eventi sociali è di evitare per quanto possibile di discutere di due argomenti: la politica e la religione. Su tali sentieri la discussione può facilmente scivolare, prendere imprevedibili direzioni e sfuggire al controllo…

Per superare un trauma profondo bisogna - prima o poi - affrontarlo. Riscoprire ed accettare finalmente la sconfitta e soprattutto quella resa incondizionata, potrebbe aiutare la "liberazione" dell'Italia da una retorica incompleta? 

A 80 anni dagli eventi, il tempo trascorso ci dovrebbe consentire di guardare alla nostra storia con maggiore distacco e realismo, evitando approcci condizionati dalla politica, se non dalla ideologia. Un approccio storico per avvicinarci, per quanto possibile, alla verità. Almeno per determinati fatti ed eventi, la cui interpreazione potrà sempre variare, ma non mettere in dubbio l’evento stesso.

Voglio dire che una sconfitta è una sconfitta. Le cause, le conseguenze, ecc possono sempre essere discusse. Ma si deve partire dal riconoscimento obiettivo della sconfitta, altrimenti la discussione si fa confusa. Così una resa è una resa, non un "armistizio".

Quella dell’8 settembre dunque fu una resa incondizionata. Partiamo da questo assunto per capire meglio cosa successe dopo…

Foto: web

* Dopo la laurea in Scienze Politiche, ha vinto il concorso di ingresso nella carriera diplomatica. Ha prestato servizio a Le Havre (consolato), a Buenos Aires (ambasciata), a Bruxelles (NATO) e a Strasburgo (Consiglio d'Europa). Alla Farnesina ha ricoperto gli incarichi di capo segreteria della direzione generale delle relazioni culturali, capo segreteria della direzione generale del personale, capo ufficio "Ricerca, Studi e Programmazione", ispettore delle ambasciate e dei consolati italiani all'estero. È stato quindi console generale d'Italia a Nizza e a Madrid.Vice rapperentante permanente presso il Consiglio d'Europa, dal 2005 al 2009 ha ricoperto l'incarico di ambasciatore d'Italia a Cuba. Ha ricevuto diverse onorificenze, tra le quali quella di "Chevalier des Palmes  académiques" e di commendatore al merito della Repubblica Italiana. Storico e saggista, ha collaborato a riviste di politica internazionale (Rivista di studi politici internazionali), di storia (Storia illustrata, Cronos, Rivista Marittima, Conoscere la Storia, Civiltà romana), di intelligence (Gnosis, Intelligence e Storia top secret). Collabora abitualmente con BBC History/Italia ed è autore di una trentina di saggi storico-politici. Si è inoltre interessato alle biografie di personaggi celebri, con particolare riferimento ai protagonisti dello spionaggio mondiale. Presso la Greco e Greco ha tra l'altro pubblicato: Richard Sorge, Kim Philby, Ana Belén Montes, Garbo, Storia degli agenti segreti dallo spionaggio all'Intelligence, XX destini straordinari del XX secolo, Cicero, la più intigrante spy-story della 2a guerra mondiale. Presso Edizioni del Capricorno ha pubblicao "Le dieci operazioni che hanno cambiato la Seconda guerra mondiale" (2018) e "Le dieci spie donna che hanno fatto la storia" (2019).È iscritto all'albo nazionale analisti d'Intelligence (ANAI). Direttore editoriale delle collane, "Ingrandimenti"  e "Affari Esteri", presso gli editori "Greco e Greco" di Milano. La sua bibliografia completa (libri, ebook, articoli) puo essere cosultata sul suo website: www.domenicovecchioni.it