“Parliamo di legalità… l’importante non è tanto parlarne, perché in realtà si tratta di cambiare il verbo, da parlare a fare legalità, costruire legalità. Come? La risposta è sempre una: costruire comunità”. Come dare torto a Ultimo, il colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, che in nome della legalità e di quel che significa vive da tempo sotto scorta e nel mirino dei criminali?
Esattamente 25 anni fa, era il 15 gennaio 1993, l’allora capitano Ultimo mise le manette ai polsi del boss di Cosa Nostra Salvatore Riina, dopo averlo scovato con i suoi ragazzi della Crimor, l’unità militare combattente da lui fondata. Il resto è storia nota.
E che costruire comunità sia possibile, lo dimostra la casa famiglia Capitano Ultimo alla Tenuta della Mistica, nella periferia romana, dove ragazzi difficili, ex detenuti, immigrati e carabinieri, sacerdoti straordinari come padre Rovo e volontari lavorano insieme a un progetto che è, allo stesso tempo, etico ed estetico. Un luogo dove il tricolore che sormonta il monumento al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa è il cuore e dove il messaggio di fratellanza è quello di Gesù di Nazareth ma anche quello del carabiniere, che serve quel popolo di cui è figlio. Qui capisci che la legalità è bellezza, è elevazione spirituale, è partecipazione, è libertà.
Lo sa bene il comandante Ultimo, lo sanno i suoi uomini e tutti coloro che per la legalità danno tutto e qualcuno ha dato la vita, una lunga lista che annovera il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, padre Pino Puglisi e tanti altri, nomi conosciuti oppure no, ma tutti con la schiena dritta di fronte all'ingiustizia.
Nelle parole di Ultimo c'è un grande cuore, una grande sensibilità, un inno d'amore a quel che significa essere carabiniere: una scelta che oggi, lo vediamo ogni giorno, non è semplice e la fai solo se credi davvero nel bene supremo. Ogni tanto dovremmo ringraziarli, se fossimo in un paese normale.
Domenica 14 gennaio, alla casa famiglia, si ricorderà l’arresto di Totò Riina insieme a Ultimo, insieme ai suoi uomini, insieme a chiunque abbia scelto di stare da questa parte e voglia partecipare (info su www.volontaricapitanoultimo.it) . Perché la serata, dalle 19.30, sarà un’occasione per ribadire che la legalità fa coppia indissolubile con la dignità, con la cultura, con l’educazione che si riceve - o si dovrebbe ricevere - fin da piccoli. E per riflettere anche su quel che voglia dire essere carabinieri, il lavoro sul territorio svolto in silenzio, per la gente, con sacrificio ma anche gioia della scelta fatta. Ricordare non è solo giusto, è doveroso, almeno per chi si ritiene parte di una società civile. Ed è altrettanto importante agire. Il resto, sono chiacchiere.
Comandante Ultimo, perché è così importante ribadire sempre l’importanza della legalità?
Non esiste nessuna legalità se non c’è una comunità, con valori propri, interiorizzati, che si trasformano in azione sociale, legale. Le leggi, le regole, non possono esistere se non esprimono valori, se non lo fanno sono confini, sono fili spinati, sono recinti, sono oppressione. E allora noi dobbiamo parlare dei nostri valori, che non vengono dall’alto. Sono valori che vengono dalla strada, dalle famiglie, dagli amori tra le persone. E questi amori costruiscono una fratellanza. E questa fratellanza è un popolo. Pensa al nostro inno nazionale, “Fratelli d’Italia”: è questo, è essere fratelli, non è essere amici, non è essere simpatizzanti, non è essere associati, non è essere iscritti. Si tratta di essere fratelli.
È azione?
È comunità. È popolo. È nazione. È una preghiera. Sono cose belle, non sono cose lontane da noi. Sono lacrime e sorrisi che incontriamo sulla strada ma che poi ci rimangono nel nostro cuore, che ci fanno essere un popolo, non un’associazione di persone, ma una comunità. Condividere, comunione, comunicare: questa strada non va perduta, è la strada dei nostri nonni, è la strada degli emigranti italiani, è la strada della poesia, della pittura, della musica. È la strada del carabiniere, della bandiera. E noi non possiamo perdere questa strada, perché è nostra e perché è l’unica che abbiamo. E l’abbiamo costruita noi, con i sorrisi e con le lacrime, cadendo e rialzandoci tante volte. E questa è la nostra legalità. Ed è la nostra unica legalità possibile, dove non ci sono maestri e allievi, ma tutti costruiscono insieme, camminano insieme tenendosi per mano. A volte uno insegna all'altro, in base a quello che accade e in base al dono che ognuno ha.
Questo è anche parte dell’etica del carabiniere, che porta la divisa ma che poi fa parte della comunità, magari partecipando a una festa, seppure defilato per il ruolo che ricopre…
Io dico la comunità, dico l’etica del carabiniere, dico che il carabiniere deve essere il custode della comunità. E deve stare anche al margine di questa comunità. Ma per stare al margine, per stare riservato, la comunità deve averla così grande nel cuore che la deve amare più di tutti gli altri che ne fanno parte, la deve portare nel cuore con più amore. Perché deve essere felice nel vedere gli altri che stanno bene nella sua comunità mentre lui sta al margine della festa. E questa è una cosa che richiede una grande maturità, richiede grande sacrificio. Deve essere riconosciuto questo grande sacrificio, altrimenti stiamo facendo folklore. E questo non è bello, stiamo parlando delle favole. Il carabiniere è un essere umano che vive valori che non si improvvisano, si devono praticare, si devono interiorizzare nel corso degli anni, opera sapendo che non avrà niente in cambio: è una sua scelta e questa è la sua grandezza. Noi cittadini dobbiamo tutelare queste persone, dobbiamo dar loro un qualcosa che li faccia sentire orgogliosi di quello che fanno, aldilà dell’amore che dà loro il popolo. Esigiamo moltissimo da queste figure, ma il riconoscimento dei meriti è mancato e manca. Ed è grave.
Molti, di fronte all'illegalità, fingono di non vedere e non sentire in nome del “tengo famiglia”. Ma non dovrebbe essere il contrario? Non si dovrebbe denunciare un abuso proprio perché "si tiene famiglia" e si vuole assicurare un futuro degno ai propri figli? Perché è così difficile la legalità?
È difficile perché parlare di famiglia è parlare di comunità. Parlare di comunità significa accettare la natura della comunità stessa, che è dinamica. Non è che puoi imporre le cose alla comunità, piuttosto è lei che impone a te quel che sono i suoi valori e i suoi obiettivi. Esistono meccanismi che vogliono dominare e gestire le comunità, plagiarle, indirizzarle, fondamentalmente opprimerle. Questo è un problema. Ed è un business! È un’impostazione a cui si deve contrapporre la consapevolezza di essere comunità, la consapevolezza di essere una famiglia. E la consapevolezza va costruita con la cultura del fare.
Il 14 gennaio a Roma, alla casa famiglia Capitano Ultimo, si ricorda la cattura di Totò Riina, un evento importante nella lotta contro la mafia…
Noi ricordiamo l’arresto di Riina, lo facciamo per ricordare a noi stessi chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare. La risposta è sempre la stessa: noi siamo gente di strada, abbiamo combattuto nella strada con la gente della strada e vogliamo andare nella strada, per combattere ancora una volta e sempre insieme alla gente della strada. Lo faremo e lo facciamo con le armi che abbiamo di volta in volta. Quando ci tolgono le armi lo faremo con gli occhi, lo faremo con le parole, lo faremo con il silenzio, lo faremo con le lacrime. Ma questa è la nostra vita, di combattenti del popolo, di combattenti della strada. E quelle persone che hanno combattuto, che sai che sono qua, sono accanto a ragazzi giovani che, all'epoca dei fatti, forse non erano neanche nati. Ma la strada c’era allora e c’è anche adesso ed è sempre una strada povera, fatta di umiltà, di semplicità, di amore e anche di cattiveria. Noi dobbiamo stare lì. Questa è l’importanza di ricordare un arresto che è avvenuto sulla strada, alla luce del sole e che ci dà il coraggio per fare altre attività, per far capire e per capire che la legalità non è semplicemente arrestare una persona, ma è contrapporre una cultura a un’altra, non nelle manifestazioni ma ogni giorno, nelle piccole cose che sono le grandi cose. Tutto questo ha un senso se è gestito dalle famiglie, dalla comunità, dal popolo, non da schieramenti di lobbies o di partiti che la usano per i propri fini, per fare leggi che seguono i fini di alcuni. Abbiamo i dieci Comandamenti e non riusciamo a seguirli, bastano e avanzano. Strutturiamoci nel fare, non nei comma 1, 2, o 3. E facciamolo insieme ai giovani. Vecchie e nuove generazioni devono stare assieme.
La cultura, del resto, è anche una trasmissione di valori…
La cultura è un amore grande tra le persone. Al di fuori di questo, è razzismo.
(foto dell'autore)