Duccio Vanni: Geppino Micheletti (1905-1961) - Vita, opere e riconoscimenti del medico eroe della strage di Vergarolla

Duccio Vanni
Ed.Apice, Sesto Fiorentino (FI) 2022
pagg.128

Questo breve ma intenso saggio, in versione bilingue (italiano e inglese), che ha come autore Duccio Vanni, professore aggregato di Storia della Medicina presso l’Università di Firenze, ripercorre la vita di Geppino Micheletti, figura eroica, ma, purtroppo, poco nota in Italia, come poco nota è la vicenda drammatica che lo ha visto protagonista: la strage di Vergarolla, a Pola, in Istria, la prima strage dell’Italia repubblicana, avvenuta il 18 agosto 1946, che, a mio avviso, dovrebbe essere ricordata alla stessa stregua di altre stragi italiane. Ma questo, purtroppo, non avviene.

Chi era, dunque, il protagonista di questo libro?

Nato a Trieste il 18 luglio 1905, poco dopo si trasferì a Pola con la famiglia. Al cognome iniziale, Michelstaedter, di origine ebraica, grazie a un decreto del prefetto di Pola del gennaio 1933 venne ridata la forma italiana di Micheletti. Laureatosi, nel 1929 in Medicina e Chirurgia, presso l’università di Torino, Geppino entrò a lavorare nell’ospedale civile Santorio Santorio di Pola. Nel 1935 si sposò con Jolanda Nardin da cui ebbe due figli: Carlo e Renzo. Allo scoppio della guerra, assegnato, con il grado di capitano, al 41° nucleo chirurgico militare, prese parte alle operazioni militari in Balcania. Tornò a lavorare a Pola, probabilmente, nel 1943 “e col resto della città fu quindi testimone degli avvenimenti drammatici dell’epilogo della seconda guerra mondiale in Venezia Giulia”. L’ospedale Santorio Santorio, anche se danneggiato dai bombardamenti aerei alleati, pur non potendo funzionare a pieno regime, fu, in quel periodo, comunque, “l’unico punto di riferimento ospedaliero di Pola e dintorni, in quanto l’altra struttura ospedaliera cittadina, ossia l’Ospedale Militare Marittimo, venne spogliata di ogni attrezzatura da parte dei titini il 12 giugno 1945, prima di lasciare alle truppe britanniche il controllo di Pola”. E qui, il dott. Micheletti, si fece apprezzare per la sua generosità e per la sua professionalità, venendo chiamato a sostituire, quando necessario, il primario di chirurgia.

“Domenica 18 agosto 1946, la spiaggia di Vergarolla era alquanto affollata poichè vi si svolgevano una serie di gare natatorie. […] Il bel tempo di quel giorno, oltre agli atleti iscritti alle gare, aveva quindi attirato un gran numero di famiglie polesane con prole. […] Sulla medesima spiaggia, vicino alla battigia erano altresì accatastati 15-20 ordigni antisommergibile di fattura italiana e tedesca, 3 testate di siluro, 4 cariche di demolizione al tritolo e 5 generatori fumogeni, residuati di guerra, ufficialmente considerati innocui dal GMA (Governo Militare Alleato) in quanto privi di detonatori, ma non vuotati dell’esplosivo interno. Poco dopo le due di pomeriggio, gli ordigni esplosero dando luogo a una immane carneficina”.

Geppino Micheletti che, al momento dell’esplosione, si trovava a casa, appena udita la deflagrazione, corse in ospedale, pronto ad accogliere e operare i numerosi feriti che stavano arrivando. Ancora oggi non è noto il numero esatto delle vittime, perché alcune persone furono fatte letteralmente a pezzettini dall’esplosione e non più ritrovate. Comunque, tale numero potrebbe aggirarsi tra 70 e 110. Geppino Micheletti era in sala operatoria quando venne a sapere che tra le vittime della strage c’erano anche i suoi due figli, il fratello e la cognata. E, nonostante qualcuno, visti i gravi lutti familiari, gli avesse suggerito di interrompere la sua attività in ospedale egli, opponendo un deciso diniego, rispose: “Adesso bisogna pensare ai vivi!” Questo suo comportamento eroico fu sottolineato sia dal vescovo, mons. Radossi, il quale dichiarò che “di fronte a questo dottore che affranto dal dolore in questa maniera, fa tacere il suo cuore per assolvere il suo dovere, noi ci dobbiamo inchinare”, sia dal comune di Pola, che lo propose per una medaglia al valor civile (concessagli nell’ottobre del 1947), oltre a conferirgli, come riconoscimento locale, una medaglia e una pergamena di benemerenza.

Intanto, dopo che, con il trattato di Parigi del 10 febbraio 1947, anche Pola venne ufficialmente ceduta alla Jugoslavia, si incrementò l’esodo degli italiani e Geppino Micheletti si trasferì a Narni, dove prese servizio presso l’Ospedale degli Infermi. Qui, dalla sua casa nel centro storico, poteva vedere le finestre del piano superiore dell’ospedale. “Se durante la notte, Geppino vedeva accendersi una luce in una delle tante finestre di questo piano si rivestiva velocemente e con l’auto si precipitava in ospedale”. E, nella tasca del suo camice, teneva sempre un calzino di uno dei suoi figli morti a Vergarolla, la cui paternità della strage, dopo il crollo del muro di Berlino, da parte di fonti diversificate, è stata attribuita “a elementi della polizia politica di Tito, OZNA, infiltrati a Pola […] Del resto, lo stesso Micheletti era della medesima opinione quando imputava alla ferocia slava la morte orribile dei suoi congiunti a Vergarolla come la sua decisione finale, dopo la strage, di abbandonare Pola, non per timore dei titoisti ma perché non avrebbe voluto un giorno trovarsi a curare gli assassini dei suoi figli”. Ancora oggi, come sostiene Paolo Radivo, in un suo saggio a questa strage dedicato, “a Pola chi sa qualcosa non vuole o ha paura di parlare”.

Geppino, a causa di una menomazione alle mani, si sottopose a un intervento che comportò l’amputazione di alcune dita ma che gli permise di tenere ancora in mano il bisturi con sufficiente sicurezza.

Morì a Narni l’8 dicembre 1961.

Molti furono i riconoscimenti postumi, quale la medaglia d’oro conferitagli, nel 1973, dall’Ospedale degli Infermi di Narni; il monumento, a lui dedicato, inaugurato nel 2008 nel Parco di Piazzale Rosmini a Trieste: l’intitolazione di un’aula dell’ospedale Cattinara di Trieste; una targa, alla sua memoria, posta, nel 2022, nei “giardini del pescetto” sotto l’ospedale di Narni; l’annuncio, nel 2017, da parte dell’allora ministro della Salute Beatrice Lorenzin, del conferimento di una medaglia d’oro quale benemerito della Salute Pubblica, rimasto, però, ad oggi, solo un annuncio!!!

Gianlorenzo Capano