Consuelo Mastelloni
FreeMind editore
pagg. 176
Patrocinato da Assoarma e finanziato dalla presidenza del consiglio dei ministri, il libro dell’architetto Consuelo Mastelloni illustra l’iconografia per tanti anni familiare – anche se ora in disuso – dell’Italia rappresentata simbolicamente come una giovane donna mediterranea in abito lungo, in origine un peplum, con il capo cinto da una corona turrita e una stella.
Ora mette mano alla spada, spesso tiene in mano il tricolore. Il modello è neoclassico ed è un simbolo complesso: unisce la corona turrita della dea Cibele – un culto orientale diffuso anche nell’antica Roma – alla figura di Minerva, più la stella (Stella Maris, Venere, Stella del mattino), che forse non a caso è anche emblema delle Forze Armate.
È un simbolo colto, di origine accademica, ma perfettamente assorbito anche dalla cultura popolare e adottato persino dalla pubblicità commerciale. Spesso si vede la mano di un buon artista, altrimenti abbaiamo immagini di maniera ancorché interessanti,
È in fondo un simbolo identitario familiare nel senso più comune del termine: non la dura walkiria che simboleggia la Germania, ma neanche la passionale Marianna dei francesi. Piuttosto è una rassicurante fidanzata o giovane sposa italiana di sobria bellezza mediterranea, la quale ha assunto su di sé la responsabilità di guidare una giovane nazione verso nuovi lidi.
È un simbolo pensato come immanente, ma si adatta ai tempi, allo Zeitgeist: l’acconciatura è influenzata dalle mode, il peplum può diventare un lungo abito borghese, in tempo di guerra appaiono elmo e corazza e durante il fascismo i tratti somatici della giovane donna diventano duri e squadrati. Piange per Trento e Trieste austriache, nelle cartoline è la madrina del reggimento, marcia in testa alle truppe, allevia il dolore dei mutilati di guerra, saluta i congedanti dell’Esercito, indica con il braccio teso i nuovi confini dell’Italia, inaugura il Vittoriano e una serie di opere pubbliche, ma fa anche la réclame delle marche di liquori o di lamette da barba, partecipa con tutto il cuore alla ricostruzione dell’Italia nel dopoguerra e finisce spesso nei francobolli o nelle vignette del Candido.
La sua icona è retorica ma in fondo conserva sempre quell’aria di famiglia che la rende accettabile a tutti noi italiani di ogni classe sociale e cultura. Ora i giovani hanno altre icone e ben altri mezzi di comunicazione, ma l’immagine della Patria per tutti noi rimane quella fissata da un’ideologia e iconografia risorgimentale che sopravvive per più di un secolo all’idea primigenia.
Il pregio del libro è quello di aver raccolto una gran mole di immagini, molte delle quali proprietà di collezionisti e di musei, anche se manca una serrata analisi semiologica del materiale iconografico, che forse uno storico dell’arte avrebbe saputo meglio sceverare, il che nulla toglie alla paziente e sistematica opera della Mastelloni. E molto probabilmente a partire dalle immagini raccolte sarà allestita una serie di mostre, magari cominciando dal Vittoriano.
Marco Pasquali