Pietro Spirito
Ed. Laterza, Bari 2023
Pagg.198
L’autore che, oltre a essere giornalista presso il quotidiano “Il Piccolo” di Trieste, è anche un sub - come si può evincere dalle pagine iniziali di questo suo saggio – come tale, ci rende partecipi del suo incontro con lo squalo Pinnamozza nelle acque del Sudafrica e, nella grotta Foran des Aganis, in Friuli, con le fate agane; su di loro “la mitologia locale ha alimentato una serie di storie e leggende”. Ma è soprattutto la vita di coloro che furono dei pionieri nell’affrontare il mondo sommerso che, in questo libro, ci viene raccontata, a partire da Narciso Monturiol nato, il 28 settembre 1819, in Catalogna e “considerato l’inventore del primo autentico sottomarino civile della storia, l’Ictineo, un battello […] dotato di propulsione autonoma a motore e di un sistema per il riciclo dell’aria”. Risolto il problema della pressione idrostatica, utilizzando il sistema del doppio scafo e, impiegando, per la sua costruzione, il legno d’olivo, l’Ictineo, lungo sette metri e con un dislocamento di dieci tonnellate, venne varato il 23 settembre del 1859, riuscendo “a navigare sott’acqua per due ore e venti minuti a una profondità di venti metri. Nessuno, prima di allora, ha mai compiuto una simile impresa”. Poi, a corto di finanziamenti, per attrarre l’interesse del governo, Monturiol progettò un Ictineo da guerra (progetto che rimarrà sulla carta) e, successivamente, l’Ictineo II - lungo diciassette metri e con un dislocamento di settantadue tonnellate – che venne varato il 2 ottobre 1864 e sul quale fu installato un cannone da dieci centimetri di diametro. Ma questa aggiunta non fu sufficiente per ottenere finanziamenti statali. “I tempi non sono ancora maturi per accogliere l’invenzione di Monturiol: le autorità militari sono molto restie ad accettare la nuova arma insidiosa” mentre, per il mondo civile, si tratta “di una bella invenzione, sì, però non in grado di portare guadagni immediati. […] Alla fine, l’Ictineo II viene sequestrato dai debitori e demolito”.
La narrazione continua con Raffaele Rossetti, ufficiale del Genio Navale della Regia Marina, colui che “la notte fra il 31 ottobre e il 1° novembre 1918, assieme a Raffaele Paaolucci, affondò nel porto di Pola la Viribus Unitis, ammiraglia della Marina austroungarica”. La sua invenzione, realizzata su suggerimento del sottufficiale macchinista Luigi Martignon, la “chiamerà mignatta: un siluro lungo otto metri modificato, […] con un diametro di appena sessanta centimetri, che si muove ad aria compressa, guidato da due incursori”, che, inizialmente, Rossetti, non avendo incontrato l’interesse delle superiori autorità, sperimentò abusivamente, di notte, nel mare di La Spezia fino a quando, nella primavera del 1918, ottenne il via libera agli esperimenti. L’operazione che lo rese famoso iniziò, assieme all’ufficiale medico Raffaele Paolucci, il 29 ottobre, con la partenza, da Venezia, della torpediniera PN 65 avente a bordo la mignatta, seguita dal Mas 95, comandato da Costanzo Ciano, che ebbe il compito di trainare la mignatta fino all’imbocco del porto di Pola. Minata la nave, i due vennero scoperti e portati a bordo della Viribus Unitis che, nel frattempo, era stata ceduta dalla marina austroungarica a quella del neocostituito governo degli Slavi del Sud. “Dunque quella nave appena minata non è più nemica”. Ma questo loro non potevano saperlo. Pertanto, appena se ne resero conto avvisarono il comandante, Janko Vucović de Podkapelski, dell’imminente pericolo che la sua nave e il suo equipaggio stavano per correre. I due ebbero l’autorizzazione a lasciare la nave anche, se subito dopo, vennero recuperati e riportati a bordo. Alle 06.30 vi fu l’esplosione. Il comandante “ordina personalmente a un’imbarcazione a remi in avvicinamento a poppa di mettere in salvo i due incursori che gli hanno appena distrutto la nave”. Egli “affonderà assieme alla sua nave e il suo corpo non verrà mai ritrovato”. Rossetti a lui dedicò il suo libro, Contro la Viribus Unitis, con queste parole: “avversario di guerra che mi lasciò, morendo, esempio indimenticabile di generosa umanità”. Alla vedova e al figlio del comandante scomparso, Rossetti devolvè centinaia di migliaia di lire del suo premio per l’affondamento della nave.
Nel libro compare poi Eugenio Wolk che, nato in Ucraina, dopo aver presa la cittadinanza italiana, nel 1933 entrò nell’ Accademia navale, per poi partecipare, durante il secondo conflitto mondiale, alla battaglia di Punta Stilo e, nel 1941, essere destinato alla Decima Flottiglia Mas, entrando nella Scuola Sommozzatori dell’Accademia Navale diretta da Angelo Belloni, che ebbe l’idea dei “soldati in marcia sul fondo del mare”. Nella realtà, però, questa risultò, dopo le esercitazioni effettuate, assolutamente impraticabile e superata poi, dal principio, adottato da Wolk e da Junio Valerio Borghese, futuro comandante della Decima Mas, che “gli uomini in acqua non devono camminare, ma nuotare. Gli incursori non devono assomigliare a guerrieri medioevali pesantemente in marcia dentro le loro armature, ma piuttosto si devono confondere con i pesci, e come questi muoversi”. Con l’adozione, da parte di Wolk, di un nuovo accessorio, le pinne, nacquero gli Uomini Gamma, un gruppo di sommozzatori, appartenente alla Decima Flottiglia Mas che, imbarcato su un sommergibile, una volta raggiunto il luogo previsto, usciva e nuotava verso gli obiettivi stabiliti. La base segreta della Decima si trovava alla foce del fiume Serchio, tra Viareggio e Marina di Pisa. L’8 settembre, con la scissione della Decima, una parte andò sotto il comando di Junio Valerio Borghese e seguì Mussolini, l’altra, rimasta fedele al re, si riorganizzò assumendo il nome di Mariassalto. Wolk, invece, “decide di continuare una sua guerra privata sotto i mari per affondare il naviglio nemico”. E, nel 1995, poco prima di morire, in un’intervista rilasciata alla rivista “Storia del XX Secolo” affermò che “non erano stati loro, gli ex incursori della Decima Mas, ad affondare nel Mar Nero quarant’anni prima la corazzata italiana Giulio Cesare, finita in mani sovietiche come risarcimento di Guerra”.
La storia di Wolk, a un certo punto, si intrecciò con quello di Lionel Crabb, in quanto i due si conobbero a Venezia. Crabb, nato a Londra nel 1909, scoprì che l’azione subacquea gli era congeniale e, in piena Seconda Guerra mondiale, entrò a far parte dei sommozzatori dell’Underwater Working Party, un corpo creato dagli inglesi per scoprire da dove arrivavano e quali mezzi usavano, per colpire le loro navi alla fonda, gli Uomini Gamma. Questi, per le loro operazioni, utilizzavano l’Olterra, un vecchio cargo dismesso, ancorato nel porto neutrale di Algeciras, di fronte a Gibilterra, e trasformato, grazie a un’idea del tenente di vascello Licio Visintini, comandante della squadriglia dell’Orsa Maggiore della Decima Flottiglia Mas, in una base segreta operativa galleggiante da dove partivano i siluri a lenta corsa, i famigerati “maiali”, con a bordo gli Uomini Gamma. La notte del 7 dicembre 1942 Visintini, durante un’operazione contro la corazzata britannica Nelson, perse la vita a causa di un attacco con bombe di profondità, lanciate da terra con appositi mortai, dei quali si occupava Lionel Crabb che, successivamente, procuratasi una bandiera tricolore, gli rese omaggio organizzando il suo funerale. Arrivato in Italia, Maria Visintini lo volle conoscere e divenne sua collaboratrice, come interprete. Lionel Crabb scomparve il 19 aprile del 1956, a Portsmouth, dove si era recato per un’operazione, non ufficiale, di esplorazione subacquea della chiglia di un incrociatore sovietico, operazione dalla quale non fece ritorno, alimentando le ipotesi più disparate sulla sua sparizione, mistero non ancora risolto.
Ci fu poi chi, come Luciano Mecarozzi, con l’Operazione Atlantide, nel lago di Cavazzo, in Friuli - Venezia Giulia, provò a “realizzare il primo villaggio subacqueo del mondo, composto cioè da moduli abitativi occupati, per almeno un mese, da più gruppi di acquanauti contemporaneamente”, che dovettero superare una fase di addestramento teorico – pratico di sessanta giorni, al termine del quale, dei quaranta aspiranti batinauti ne rimasero ventiquattro, tra cui Silvana Polese, una ragazza di sedici anni che fu la prima batinauta della storia. Era l’estate del 1969.
Nove anni prima, esattamente il 23 gennaio 1960, quattrocento miglia a sud-ovest dell’isola di Guam, appartenente all’arcipelago della Marianne nell’Oceano Pacifico, il batiscafo Trieste, con a bordo Jacques Piccard e Don Walsh, ufficiale della Marina statunitense, raggiunse Challenger Deep, il punto più profondo del pianeta, meno 10.916 metri.
Dopo la conquista dell’Everest, nel 1953 e “alla vigilia del primo volo nello spazio compiuto da Jurij Gagarin nell’aprile del 1961 a bordo della navicella spaziale Sojuz” era giunto “il tempo di andare a vedere cosa c’era nel punto più oscuro della Terra”.
Gianlorenzo Capano