Louis-Ferdinand Céline
Ed. Adelphi, Milano, 2023
pp. 156
Questo lavoro di Louis-Ferdinand Céline emerge decisamente dal passato: a distanza di sessanta anni dalla scomparsa dello scrittore, per merito di un ritrovamento, insieme ad altri appunti, fogli e manoscritti inediti (che furono rubati dal suo appartamento durante la liberazione di Parigi nel 1944), ecco comparire questo romanzo, in prima stesura, abbozzato, ma già molto ben delineato in tutte le sue articolazioni.
Céline, il cui vero nome era Louis Ferdinand Auguste Destouches (nato a Courbevoie il 27 maggio 1894 e morto a Meudon, il primo di luglio 1961) ha legato il suo nome a numerose e importanti opere letterarie, tra cui Voyage au bout de la nuit, Viaggio al termine della notte (1932), il suo esordio, al quale Guerra si collega. Scrittore tormentato, saggista e medico, si arruolò nel 1912, a soli diciotto anni, come volontario nell’esercito francese al momento dello scoppio della Prima Guerra Mondiale – un’esperienza che lo segnerà per tutta la vita e sulla quale tornerà in diversi suoi scritti.
Agli ordini del generale Philippe Pétain, inquadrato in un reggimento di fanteria, prestò servizio al fronte tra il 1914 e il 1915 ottenendo due importanti decorazioni e prendendo parte ai combattimenti sul fiume Lys e presso la cittadina belga di Ypres nelle Fiandre Occidentali, rimanendo ferito al braccio destro e alla testa, evento che gli varrà il congedo nel 1915 – oltre agli interventi chirurgici che dovette subire ed ai percorsi di terapia, le ferite esitarono in diverse difficoltà permanenti che peggiorarono nel corso degli anni.
Molti di coloro che hanno commentato Guerra hanno riportato la seguente frase che Céline fa pronunciare a Ferdinand, il protagonista della vicenda, in qualche modo il suo alter-ego: “Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa” (p. 26), una frase che ben rappresenta, simbolicamente ma non solo, i danni permanenti, fisici e psicologici, che Céline riportò partecipando ad una missione il 27 ottobre del 1914 a Poelkapelle.
L’interesse che suscita questo scritto, parzialmente autobiografico, è massimo nella sua prima parte (ritenuta molto vicina alla vera esperienza di guerra vissuta dallo scrittore) che, infatti, inizia con la scena in cui il protagonista della storia riprende conoscenza in mezzo ad un mare di cadaveri dopo essere stato coinvolto in un’esplosione. In queste pagine vediamo i prodromi di ciò che sarebbe stato rubricato, tempo dopo, come stress post-traumatico (Post Traumatic Stress Disorder - PTSD). Nei momenti successivi alla ripresa di conoscenza Céline descrive le difficoltà di recuperare il contatto con il mondo, e la quasi impossibilità di formulare un pensiero logico, mentre Ferdinand si alza e va faticosamente alla ricerca di pezzi e scarti di cibo, frugando tra fango e sangue, e nei pastrani dei morti.
Un secondo quadro, per così dire, rappresenta l’incontro del protagonista con un militare britannico: un uomo incontrato per caso e che presta aiuto a Ferdinand, il quale infine è condotto in un lungo giro di ospedali ove, all’inizio, emerge la grande preoccupazione di non farsi vedere moribondo per la paura di essere direttamente portato nelle stanze dove giacciono i cadaveri o i militari per i quali non vi sono più speranze.
L’incontro con il soldato britannico può essere visto come una sorta di ponte, un passaggio dalla condizione di persona disgraziata sul limite tra vita e morte, a persona speranzosa nel raggiungere un luogo in cui – ma nulla è certo – si potrà essere accolti e curati. E, infatti, anche nelle stanze degli ospedali accadono eventi che possono essere definiti almeno inquietanti, e non ci si può automaticamente fidare (né affidarsi) a infermiere e medici, ma si deve rimanere vigili: in qualche modo, direi, si deve vigilare sul proprio corpo e monitorare ciò che altri vorrebbero fare del corpo…
Dall’esperienza di guerra – e dalle tracce che questa esperienza ha lasciato nell’animo dello scrittore e in diverse sue opere – Céline svilupperà la sua visione politico-sociale assai critica, composta da cenni di pacifismo ma anche di antisemitismo, fino a compromettersi con il regime di Vicky e ad essere esiliato dalla Francia per collaborazionismo e antisemitismo.
Rientrato in Francia agli inizi degli Anni Cinquanta, si dedicherà alla cura degli ammalati come medico, e continuerà a scrivere forse anche nel tentativo di rielaborare e in qualche modo digerire ciò che aveva descritto-narrato con parole così dure, secche, violente: parole che non lasciano scampo.
Chi volesse approfondire l’opera di Céline troverà in traduzione italiana non solo racconti e saggi ma anche epistolari.
Andrea Castiello d’Antonio