È da molti anni che sosteniamo che la soluzione in Libia passa per figure differenti da quelle che regolarmente i nostri governi assecondano. Non abbiamo mai avuto una "sfera di cristallo", siamo giornalisti: ascoltiamo. Nel farlo, preferibilmente, non prestiamo orecchio ai troppi sedicenti esperti di Nordafrica che probabilmente l'unica traversata l'han fatta in Sardegna un'estate. Per la Libia, abbiamo sentito libici e tanti (tanti) italiani che hanno vissuto e/o lavorato laggiù a lungo. Alcuni, anziani con esperienze ventennali, oggi non sono più tra noi.
Anni addietro, sulla Libia, l'indicazione comune che arrivava era che fosse Haftar l'unico in grado riunificare il Paese.
“Cosa cavolo ne sanno di Libia i libici”, avranno pensato i nostri leader minimi quando quattro anni fa assecondarono la scelta di un personaggio impopolare ed odiato alla guida del Paese: al Sarraj. Dicevano anche che il generale “non è una persona affidabile”. Il bue che dice "cornuto" all'asino?
Oggi, a distanza di 4 governi ufficialmente “di rottura” (evidentemente non sinonimo di “discontinuità”), la politica italiana persevera nell'errore: da anni finanziamo criminali che mantiengono in uno stato di corruzione e anarchia la Libia. Gente che, quando le cose si mettono male, si permette di minacciare di farci invadere da 800.000 immigrati (v.articolo).
Mercoledì è venuto nel nostro Paese, per intervenire ad un convegno, Abdulahdi Ibrahim Lahweej, il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale del governo di Tobruk, quello su cui l'Italia (quella del Superenalotto) scelleratamente non ha puntato.
Lo abbiamo intervistato mentre si trovava in aeroporto, poco prima della ripartenza. L'impressione è che, alla luce delle scelte passate e presenti, non meriteremmo tanta indulgenza.
Ministro, perché è venuto in Italia? Il Governo in carica conosce già perfettamente la (reale) situazione sul terreno in Libia…
L’Italia, il suo governo, il suo parlamento ed il suo popolo sono molto importanti. La relazione tra i nostri Paesi non è solo economica, politica e sociale ma anche storica e culturale. Il principale partner economico della Libia è l’Italia. Siamo parte di una grande famiglia del Mediterraneo: quel che accade in Libia influenza l’Italia e quel che accade in Italia influenza la Libia.
La questione che più preoccupa è l’immigrazione.
In Libia ci sono due governi: uno legittimamente eletto (da noi rappresentato) ed un secondo “riconosciuto dalla comunità internazionale” che non gode della legalità o del consenso della popolazione.
Il primo è un governo responsabile che rispetta i diritti umani e controlla il 90% del territorio. Dalle nostre spiagge non si registra nemmeno una partenza di immigrati verso l’Europa.
Dall’altra parte, da ciò che viene chiamato “governo” (quello che viene definito “di Sarraj”), quotidianamente si imbarcano 100 esseri umani: alcuni annegano e alcuni giungono a destinazione.
L’immigrazione sarà un problema per l’Italia, non certo il principale per la Libia dopo 8 anni di disordini!
La questione non si può separare. È un problema per entrambi i Paesi. Gli immigrati non cadono dal cielo: partono dalle spiagge libiche e non bisogna intervenire nei paesi d’arrivo ma in quelli di partenza.
Un altro tema cruciale è quello del terrorismo. La comunità internazionale vuole combatterlo e in passato ha ammassato truppe fino a Tora Bora in Afghanistan per affrontarlo. Oggi terroristi si trovano a mezz’ora dalle coste italiane!
In Siria, ad Idlib, questi criminali sono arrivati attraverso la Turchia con i soldi del Qatar. Lo stesso avviene oggi in Libia.
Le statistiche raccontano della presenza di 21 milioni di armi illegali presenti in Libia.
Una terza questione è quella dell’economia e delle partnership. Non si può cercare stabilità economica in assenza di sicurezza.
Oggi il nostro Governo, assieme all’Esercito Nazionale Libico (LNA, ndr) cerca di riportare una presenza statuale sull’intero territorio, in particolare sui confini per non renderli ponti per immigrati clandestini e terroristi. La Libia deve liberarsi dal caos dovuto alla presenza di miliziani e armamenti.
Come sarà possibile?
Non vogliamo la guerra, desideriamo la pace e la convivenza. Stiamo combattendo ora per la liberazione della capitale libica da tutti i terroristi.
E poi?
Andremo verso una conciliazione ed un dialogo nazionale. Nessuno verrà escluso o denigrato politicamente.
Stiamo costruendo una Libia nuova: democratica, libera, rispettosa dei diritti umani, senza i miliziani, le carceri e che crede nella collaborazione con il mondo.
L’Italia farà la parte del leone su tutti i versanti.
Ministro, come si fa a riconciliarsi con governi che hanno finanziato il terrorismo per anni?!
Per quanto ci riguarda i governi che hanno appoggiato i miliziani sono quello turco e quello del Qatar. Hanno finanziato ed armato tutti i gruppi terroristi in Libia.
Qatar e Turchia non avranno la possibilità di effettuare alcun investimento in Libia né quella di partecipare alla ricostruzione del Paese.
Una volta pacificata la Libia intraprenderemo iniziative giudiziarie presso i tribunali internazionali.
La nostra mano sarà sempre tesa a tutti gli altri Paesi.
Visto che gli ultimi governi italiani hanno bene o male proseguito la stessa politica fallimentare in Libia, vuole fare un appello all'opposizione?
Non possiamo accusare il governo italiano di non aver assolto il SUO compito. Ogni governo fa le sue scelte e se ne assume le responsabilità...
Il nostro dovere è però raccontare la verità di quel che accade in Libia. La diciamo al governo, all'opposizione ma soprattutto ai cittadini italiani: chi è stato causa dell'immigrazione clandestina non può presentarsi come promotore o partner nella ricerca di una soluzione. I miliziani – dei fuorilegge – non possono rappresentare alcun governo legittimo in nessuna parte del mondo.
Il problema della Libia non è di tipo politico, è di sicurezza.
È ora per il nostro Paese di autodeterminarsi democraticamente e tornare ad essere uno Stato pacifico, laico e pluralista nel Mediterraneo.
È ora che i nostri ragazzi smettano di sentire il sibilo delle pallottole e cantino inni di gioia, pace e convivenza.
È ora che le donne libiche riacquisiscano i loro diritti, senza essere "oggetti" di secondo piano.
Bisogna smettere di armare clandestinamente milizie e permettere ad uno Stato di diritto di riprendere il completo controllo del Paese.
Immagine: Radio Radicale