“Visto che negli ultimi anni mi hanno ridotto sempre di più la scorta, chiedo allo Stato, al di là di chi governa, di tutelare in modo adeguato la mia sicurezza per consentirmi di andare avanti nella missione di dire la verità in libertà. Siamo tutti sulla stessa barca. Se dovessero uccidere la mia libertà, morirà la libertà di tutti noi”. È un estratto della lettera che il giornalista e scrittore Magdi Cristiano Allam ha scritto al ministro dell’Interno Marco Minniti e che ha pubblicato online, mentre aspetta una risposta che tarda ad arrivare.
Le minacce a Magdi Allam, che non ha bisogno di presentazioni, sono vere, c’è una fatwa che invita i musulmani di tutto il mondo a ucciderlo e questo è avvenuto ben prima che fosse battezzato, la notte di Pasqua del 2008, da Papa Ratzinger, Benedetto XVI. Allam ha il coraggio delle proprie idee, è un uomo in prima linea, di grande spessore e dignità e sotto scorta da anni, anche se la scorta è sempre più ridotta. Un libro appena pubblicato, “Maometto e il suo Allah”, lo espone ancora di più al pericolo di ritorsioni. È importante che, in accordo con le sue idee oppure no, istituzioni, cittadini e colleghi non lo lascino solo.
Con la pubblicazione del nuovo libro, Maometto e il suo Allah, sono aumentate le minacce?
Le minacce ci sono sempre. Nei vari social, che sia facebook o twitter, c’è sempre qualcuno che mi dice “devi morire”, “verrai fatto fuori”, etc. Qualche volta li ho anche denunciati, altre volte non lo faccio, perché tanto non succede nulla. Però mi preoccupa di più il silenzio di quelli che dovrebbero parlare, piuttosto che le urla di anonimi che probabilmente hanno false identità.
Gli anonimi, in genere, sono dei vigliacchi che si nascondono dietro la tastiera di un computer…
Mentre il silenzio di chi, so per certo, disapprova totalmente, questo mi preoccupa.
Così come ho ben presente che toccare il tema di Maometto per i musulmani è un tabù. Tieni presente che persino raffigurare Maometto è considerato blasfemo e un’azione che porta alla morte. Quando il 7 gennaio 2015 furono massacrati i vignettisti di Charlie Hebdo, per avere rappresentato in modo irriverente Maometto, in realtà quell’azione terroristica fu fatta in un clima dove tutti i musulmani erano d’accordo sul fatto il giornale dovessero essere sanzionato. Nel 2011 i cosiddetti moderati (quelli della grande moschea di Parigi dell’Uoif, unione delle organizzazioni islamiche di Francia, che in Italia ha il corrispettivo nell’Ucoii, unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia, entrambi ideologicamente legati ai Fratelli musulmani), avevano portato in tribunale i vignettisti del giornale satirico. Avevano intentato una causa legale per denunciare la pubblicazione delle vignette raffiguranti Maometto.
C’è anche il fatto che ai funerali a Parigi, con la presenza dei capi di Stato, una grande marcia con un milione di persone, i musulmani che presero parte a questa manifestazione non innalzarono il cartello “je suis Charlie”, ma “je suis Ahmed” e Ahmed era uno dei due poliziotti uccisi di guardia alla sede di Charlie Hebdo, di origine maghrebina con nazionalità francese, musulmano, che fu identificato dai suoi correligionari come loro eroe. Nessuno di loro ha condannato il massacro dei vignettisti di Charlie Hebdo perché tutti i musulmani erano convinti che non si può irridere Maometto.
Ma il libro non è un’operazione satirica…
Allora, il fatto che io abbia scritto il libro, dal titolo “Maometto e il suo Allah”, pur nella più assoluta attendibilità delle fonti perché io rispetto le fonti ufficiali musulmane, fa emergere un quadro di Maometto fortemente inquietante. Emerge la realtà di un guerriero o meglio, di un predone del deserto, che ha ucciso, che ha combattuto, che ha personalmente sgozzato e decapitato soprattutto gli ebrei. Questo non può che sollevare la rabbia dei musulmani nei miei confronti. E quindi io ho voluto dire allo Stato: “guardate, questo libro, per quelli che ottemperano letteralmente e integralmente a ciò che Allah prescrive nel Corano e a quel che ha detto e ha fatto Maometto, per loro è una sorta di dichiarazione di guerra”.
Quanti sono gli uomini della scorta adesso?
Attualmente ho tre carabinieri di scorta, ma io avevo, inizialmente, il primo livello, quello eccezionale dove non c’è un limite né al numero degli operatori della sicurezza, che nel mio caso sono carabinieri, né alle macchine messe a disposizione. Io sono arrivato ad avere nove uomini di scorta e quattro macchine, nei momenti in cui lo Stato ha ritenuto che la minaccia fosse crescente.
Il ministro dell’Interno Minniti ha risposto all’appello?
Lo scorso 25 luglio, ho chiamato la segreteria del ministro, ho chiesto di mandargli una mail, l’ho fatto immediatamente, nella stessa mattinata. Fino ad oggi, 7 agosto, non ho avuto risposta. È preoccupante, perché solitamente un ministro, anche se non direttamente ma tramite la sua segreteria, risponde sempre. Ogni volta che, in passato, ho chiesto un incontro con il ministro dell’Interno o con il capo della Polizia o con il comandante generale dell’Arma dei carabinieri, sono stato sempre ricevuto, subito. Stavolta ho chiesto un incontro solo al ministro dell’Interno, per correttezza, perché la sicurezza, in Italia, dipende da lui. E speravo in una risposta positiva e veloce, mentre sono passate già due settimane. Minniti, che non posso dire di conoscere nel senso di frequentazioni, anche se l’ho incontrato più volte in trasmissioni televisive, l’ho sempre visto come una persona pacata, per bene. Mi aspetto comunque che lui mi chiami e che ci sia un modo adeguato a fronteggiare questa emergenza.
Alla luce di quando appena detto, anche adesso la minaccia è crescente. E il silenzio preoccupante di chi dovrebbe parlare… Chi è che invece tace? Le comunità islamiche?
Esatto. È del tutto ovvio che tra loro mi abbiano già condannato, questo è scontato. Come è del tutto ovvio che, tra loro, stiano meditando delle contromisure da prendere e sono in imbarazzo. Probabilmente il libro non hanno ancora avuto modo di leggerlo perché al momento, per averlo, bisogna passare attraverso il mio sito web, si può acquistare solo online sia in edizione cartacea che in e-book. Questo per un accordo con Piemme, che lo distribuirà in libreria da settembre mentre l’edizione attuale è pubblicata con la mia casa editrice, la Mca Comunicazione. Ma chiunque può averlo.
Io ho voluto fare un’azione di prevenzione perché purtroppo, quando accadono queste tragedie, non c’è più il diritto di replica. Allora ho voluto giocare d’anticipo, dicendo “fate attenzione, perché questo libro, per i musulmani, sicuramente rappresenta una dichiarazione di guerra e la scorta me l’avete ridotta sempre di più negli ultimi anni. Sappiate, da un lato, che in qualche modo reagiranno e, dall’altro, che nei miei confronti la condanna non decade mai, la fatwa non si allenta mai”. Quando loro, pubblicamente, mi hanno definito un nemico dell’Islam, non è una cosa che poi si dimentica.
Perché Magdi Cristiano Allam è l’apostata che deve essere punito?
Questo non da ora. Loro il passato non lo dimenticano, per loro resto sempre un apostata, un nemico dell’Islam. E quella minaccia di morte non decade mai, non mi considerano diversamente per il fatto che sono diventato cristiano. Nel Corano si dice che tutti nasciamo musulmani e poi, per “disgrazia”, per alcuni, il fatto di nascere in un Paese piuttosto che un altro li rende cristiani, o ebrei o buddhisti o hinduisti. Però per Allah tutti sono, in origine, musulmani. Tanto è vero che quando ci si converte all’Islam, non si dice “si è convertito”, ma “è ritornato all’Islam”. Quindi, nei miei confronti, resterà sempre il marchio dell’apostata, di chi ha abbandonato, di chi ha tradito.
Se è per questo, la chiamano apostata anche alcune persone legate a una politica che, per sintetizzare, potremmo definire di destra “estrema”. È un humus culturale ed ideologico legato a una certa simpatia per l’Islam in chiave antiebraica e anche anticristiana... Possiamo chiamarlo “fuoco amico”?
C’è sicuramente una destra che, partendo da posizioni ferocemente antiebraiche e individuando in Israele il male supremo e nella finanza ebraica il manipolatore delle sorti dell’umanità, di conseguenza ha una valutazione negativa nei miei confronti. Perché, da un lato, io invece sostengo lo Stato di Israele perché è giusto sostenere il diritto all’esistenza e, dall’altro, per essermi pronunciato in modo netto contro l’Islam. Dal loro punto di vista l’Islam è un loro alleato nella guerra contro l’Ebraismo e, paradossalmente, una guerra contro il Cristianesimo.
Il bisogno di sicurezza, in generale, oggi è particolarmente sentito in Italia…
Aldilà del mio caso specifico, sono anche preoccupato per la situazione della sicurezza in Italia. Ogni giorno accadono vicende che ci fanno toccare con mano che questo Stato ormai non è più in grado di tutelare la sicurezza dei cittadini, ci sono aggressioni alle Forze dell’ordine e anche ai militari. C’è la necessità vitale di investire e in modo cospicuo nella sicurezza, in modo da consolidare le Forze dell’ordine, le Forze armate e farlo anche sul piano anagrafico, visto che l’età media di poliziotti e carabinieri è tra i 45 e i 48 anni. E devono essere rafforzati anche sul piano contributivo, perché guadagnano poco, così come vanno ben equipaggiati con le armi, ormai arretrate. E formati con l’addestramento, che non è adeguato a fronteggiare il terrorismo islamico, soprattutto per le Forze dell’ordine che operano sul territorio.
Il bisogno di sicurezza, che io percepisco in prima persona, mi rendo conto che è un discorso più ampio, che riguarda tutti quanti noi, dove c’è la necessità di emendare le leggi, politicamente di prendere atto che siamo in guerra e che in guerra ci vuole una legge di emergenza, leggi speciali. Sul piano strettamente giuridico bisogna prendere atto che una concezione del terrorismo islamico non è una variante della criminalità organizzata, dove gli arresti sono consentiti soltanto in flagranza di reato e solo se vengono trovate armi o solo se il terrorista è in procinto di compiere un attentato. Non hanno compreso, i nostri politici e la nostra magistratura, che l’arma vera del terrorismo islamico non sono le bombe o i kalashnikov, ma è il lavaggio di cervello, che trasforma le persone in robot della morte. Noi dobbiamo avere l’onestà intellettuale e il coraggio di scardinare la fase del lavaggio del cervello. Diversamente, saremo irrimediabilmente persi in questa guerra.
Dietro il termine “guerra di religione”, però, si muovono tanti soldi, tanti affari, dalla vendita delle armi e del petrolio alla conquista dei territori, alle varie nazioni che hanno un comportamento quanto meno ambiguo nei confronti del terrorismo e sempre per affari…
Ci sono due livelli di comprensione del fenomeno. Il primo è quello dei burattinai, di cui sicuramente la sostanza è il denaro, gli intessi, il potere, il controllo del territorio. A livello, invece, di burattini, la dimensione religiosa è quella prevalente, perché il burattino tu lo assoggetti e lo manipoli con la religione, gli imponi determinati comportamenti dicendo che lo prescrive Allah, che l’ha ordinato Maometto. Ma i burattinai operano in un contesto di scaltrezza.
Vengono in mente le primavere arabe, che tutti abbiamo applaudito come ventata di democrazia e invece, alle elezioni, hanno poi prevalso i gruppi più integralisti…
Le primavere arabe sono state ingenuamente scambiate come rivoluzioni popolari. In realtà sono state un grande complotto ordito dai Fratelli musulmani ma soprattutto dagli Stati Uniti che hanno sostenuto l’iniziativa, dalla Turchia di Erdogan, dall’Arabia Saudita, dal Qatar e anche dall’Unione Europea.
Un commento, da osservatore privilegiato, su quello che sta accadendo ora tra Italia e Libia?
Dobbiamo essere molto seri: se l’Italia volesse veramente bloccare l’arrivo di queste centinaia di migliaia di persone, potrebbe farlo in cinque minuti, bloccando i propri porti, come anche predisponendo le navi non al largo delle coste libiche ma al limite delle proprie acque territoriali cominciando a dire, a queste imbarcazioni delle Ong, che non sono più gradite. Si potrebbe fare, se l’Italia lo volesse. Ma il fatto di mercanteggiare, di dire “questa nave sì, quest’altra no, se ci comporta così, etc”, non serve. Andare a incontrare in Libia i sedicenti sindaci? In Libia non esiste uno Stato e non capisco con quali sindaci abbia parlato l’Italia. L’Europa e le Nazioni unite hanno scelto un fantoccio che hanno indicato come presidente di un governo nazionale, ma Sarraj non rappresenta assolutamente nessuno. Senza la protezione internazionale non sopravvivrebbe cinque minuti. In Libia si continua a sbagliare. E non si è ancora compresa la lezione di fondo, cioè che bisogna sostenere i laici, non gli integralisti islamici. Sarraj ha dietro i Fratelli musulmani, la Turchia di Erdogan, il Qatar. Non si può fare la voce grossa con il Qatar o la Turchia e poi sostenere, in Libia, chi rappresenta i Fratelli musulmani. Sarraj, a dire il vero, non è diretta espressione dei Fratelli musulmani ma è lì perché questi ultimi lo lasciano fare. Noi dobbiamo schierarci con i laici, rappresentati dal generale Haftar. Bisogna sostenerlo, armarlo, rafforzarlo. Con i pochi mezzi a disposizione è riuscito a conquistare Bengasi, oltre che a controllare Tobruk. E dobbiamo fare in modo che il terrorismo islamico venga definitivamente sconfitto. E se venisse sconfitto in Libia, sarebbe più facile farlo anche in Europa.