James George Frazer: Il ramo d'oro

FrazerEd. Newton Comptonpagg. 822 James George Frazer (1854-1941), è stato un antropologo e studioso scozzese. La sua opera principale, in 13 volumi, dal titolo originale "The Golden Bough" ovvero "Il ramo d'oro", pubblicata tra il 1911 e il 1936, è una grande raccolta di credenze e tradizioni popolari sulla magia e la religione dei popoli di tutto il mondo.

Io ho letto la versione ridotta ad un unico volume, pubblicata da Newton Compton nel 2009 (terza edizione), ma la prima edizione ridotta è del 1925.

Il libro è veramente interessante e merita di essere letto con attenzione e approfondito per diversi motivi che cercherò di esporre nelle poche righe che seguono.

In primo luogo, ogni studioso di tradizioni popolari non può fare a meno di conoscere questo antropologo e la sua opera, questa infatti è scritta con chiarezza e evidenzia similitudini e differenze tra credenze di popoli spesso lontanissimi tra loro. Gli argomenti principali sono la religione e la magia come fattori alla base delle credenze dei popoli.

In secondo luogo, il libro parla anche dell'Italia, in particolare di Nemi, nel Lazio. Frazer infatti cerca di capire l'origine dei riti legati al bosco di Diana e al "re del bosco".

Il re del bosco non era altro che il sacerdote di Diana, la cui carica veniva tramandata in modo particolarmente cruento. Il pretendente doveva tagliare un ramo di un particolare albero sacro presente nel bosco e poi uccidere il sacerdote in carica. In questo modo ne avrebbe potuto prendere il posto sino a che qualcun altro non avrebbe avuto la forza di tentare la sorte.

Frazer avanza l'ipotesi che l'usanza di mettere a morte i sovrani sia cosa abbastanza comune in antichità e che abbia dato vita a questa terribile usanza della successione del sacerdote di Diana. Dice infatti: "riguardo al problema cruciale della consuetudine di mettere a morte i sovrani allo scadere di un determinato lasso di tempo oppure ogniqualvolta la loro forza o la loro salute dessero segni di declino, sono nel frattempo aumentate le prove che confermano come questa usanza fosse largamente diffusa."

Ma vediamo in cosa consiste questo sacerdozio e cerchiamo di conoscere meglio Diana e il suo mito.

"Si narra che il culto di Diana a Nemi fosse stato istituito da Oreste il quale, dopo aver ucciso Toante, re del Chersoneso Taurico (la Crimea), si rifugiò in Italia con sua sorella, portando con sé il simulacro della Diana Taurica nascosta in una fascina di legna."

Oreste non portò però con sé il rituale attribuito alla Diana Taurica, noto a chiunque legga i classici.

"Si dice che ogni straniero che approdasse a quelle sponde venisse immolato sull'altare della dea. Ma trasportato in Italia quel rito assunse una forma meno sanguinaria. All'interno del santuario di Nemi cresceva un albero di cui era proibito spezzare i rami. Solo a uno schiavo fuggitivo era concesso di cogliere una delle sue fronde. Se riusciva nell'impresa acquistava il diritto di battersi con il sacerdote e, se lo uccideva, di regnare in sua vece col titolo di re del bosco (Rex Nemorensis)."

Ecco dunque che un rito cruento di massa, tutti gli stranieri che approdavano venivano sacrificati, si trasforma in un simbolo, uno scontro tra due per onorare la dea sanguinaria.

"Stando a quanto dicevano gli antichi, la fronda era quel ramo d'oro che, per ordine della sibilla, Enea colse prima di affrontare il periglioso viaggio nel mondo dei morti."

Lo schiavo fuggitivo rappresentava la fuga di Oreste dal Chersoneso, il combattimento con il sacerdote rappresentava i sacrifici alla dea.

Sembra che questo cruento modo di succedere nel sacerdozio fosse ancora il vigore in età imperiale.

Diana era venerata essenzialmente come cacciatrice e come divinità che concedeva la prole e un facile parto. Il fuoco era uno degli elementi preponderanti del rito. Ma vediamo in cosa consisteva il rito:

"durante la festa annuale che si celebrava il 13 agosto, nel periodo più caldo dell'anno il boschetto era illuminato da una miriade di torce il cui bagliore si rifletteva nelle acque del lago; e in tutto il territorio italico ogni famiglia celebrava quel sacro rito. Statuette bronzee ritrovate nel recinto, raffigurano la dea che regge una torcia nella mano destra alzata; e le donne le cui preghiere erano state esaudite, si recavano inghirlandate e con una torcia accesa al santuario per sciogliere il voto [..] durante la festa annuale della dea i cani da caccia venivano inghirlandati e non si molestavano gli animali selvatici [..] i giovani celebravano una cerimonia purificatrice, si recava il vino e il banchetto consisteva in carne di capretto, dolciumi bollenti serviti su foglie di vite e mele ancora attaccate in grappoli al loro ramo."

Il santuario di Diana dava spazio anche ad altre due divinità minori, la prima, Egeria, "la ninfa della limpida acqua", le cui acque si gettavano nel lago di Nemi in località Le mole. Anch'essa aiutava le donne nel parto.

"Narra la tradizione che la ninfa era stata la sposa, o l'amante, del saggio re Numa e che egli si congiungesse a lei nel segreto del bosco sacro [..] I ruderi di terme scoperti all'interno del recinto sacro e le numerose terracotte riproducenti varie parti del corpo umano suggeriscono che l'acqua Egeria servisse a guarire gli infermi",

che ringraziavano la divinità lasciando nel tempio un oggetto in terracotta della forma delle membra un tempo malate e poi guarite.

La seconda divinità minore si chiamava Virbio. Vediamo chi era:

"Narra la leggenda che Virbio era Ippolito, il giovane eroe greco, casto e bello, il quale aveva appreso l'arte venatoria dal centauro Chirone e trascorreva la vita nei boschi a caccia di belve, avendo come unica compagna la vergine cacciatrice Artemide (la Diana greca)."

Il mito racconta che Ippolito disdegnava tutte le donne, adorava solo Artemide, la sua compagna. Per questo motivo incorse nelle ire di Afrodite che indispettita fece in modo che Fedra, la matrigna di Ippolito, si innamorasse di lui e quando fu respinta, lo accusasse ingiustamente di fronte al padre Teseo. Teseo chiese a suo padre Poseidone di punire Ippolito. Poseidone gli mandò contro un toro feroce nato dalle acque mentre Ippolito si trovava sul suo carro. I cavalli imbizzarriti lo trascinarono nella loro corsa e Ippolito morì. Artemide non si arrese e chiese ad Esculapio di riportarlo in vita grazie alle sue doti di guaritore. Giove, infuriato per l'atto compiuto da Esculapio, confina il medico nell'Ade. Artemide/Diana riesce a nascondere Ippolito dall'ira degli dei facendo scendere la nebbia e mascherandolo da vecchio e poi lo porta nella valle di Nemi, nel lontano Lazio, affinché vi vivesse nascosto con il nome di Virbio.

"Non vi è dubbio che il S. Ippolito del calendario romano, trascinato a morte dai cavalli il 13 agosto, giorno dedicato a Diana, altri non sia che l'eroe greco suo omonimo che, morto due volte come pagano, fu felicemente resuscitato come santo cristiano"

In questa recensione ho raccontato solo uno dei miti raccolti da Frazer nella sua opera, il Ramo d'oro.

Un libro interessante che non può mancare nella biblioteca personale.

 

Alessandro Rugolo