Vi sono libri di storia che cercano di rendere al meglio un'epoca, un periodo dell'umanità, non sempre riuscendo nell'intento. Vi sono altri libri che, avendo come intento dichiarato quello di raccontare un uomo, riescono a fare di più, descrivendo magnificamente un'epoca! A questa seconda categoria appartiene la biografia di Solimano, scritta da Fairfax.
Solimano il Magnifico, figlio di Selim il Crudele, decimo della dinastia degli Osmanli o Ottomani, sale al trono nel 1520 come "Sultano degli Ottomani, Rappresentante di Allah sulla terra, Signore dei Signori di questo mondo, Arbitro e Padrone dei destini umani, Re dei Credenti e degli Infedeli, Sovrano dei Sovrani, Imperatore dell'oriente e dell'Occidente, Capo degli Alti Dignitari, Principe della Felicissima Costellazione, Sublime Cesare, Suggello della Vittoria, Rifugio di tutte le genti, Ombra dell'Onnipotente che dispensa la pace e la tranquillità sul globo."
Lo accolsero festanti i Giannizzeri, agli ordini dell'Agha che li precedeva.
Accompagnato da questo poderoso corpo di guerrieri Solimano fa il suo ingresso a Costantinopoli, sede dell'Impero Romano d'Oriente e poi dei Sultani Osmanli da quando, il 29 maggio 1453, Mohammed II il Conquistatore se ne impadronì.
La città risplendeva di colori. Una legge aveva decretato che le case dovevano essere tinte secondo la religione di chi vi abitava: giallo e rosso per i turchi, grigio chiaro per gli armeni, grigio scuro per i greci, porpora per gli ebrei, bianco per gli edifici pubblici e sacri.
Il padre Selim gli aveva lasciato il compito di utilizzare le sue armate per conquistare la Cristianità. Come spesso accade, il passaggio di potere da una generazione all'altra non è indolore. Una rivolta scoppiò in Siria. Ghasali Bey chiamò a se mammalucchi e arabi e conquistò Damasco e Beirut pensando di poter sfidare impunemente il giovane sultano.
Solimano però non si fece sorprendere, inviò immediatamente il suo esercito sotto la guida di Ferhad Pascià. Questi affrontò e sconfisse i ribelli sotto le mura di Damasco. Ghasali Bey fu ucciso e la rivolta sedata nel sangue.
Ora, avendo chiarito a tutti chi comandava, era tempo di dichiarare guerra alla Cristianità: l'Ungheria divenne il suo obiettivo. Il pretesto per l'attacco lo ebbe quando il Re Luigi II d'Ungheria fece torturare e uccidere un suo ambasciatore colpevole di aver chiesto il pagamento di un tributo per il suo Re. In vece del tributo richiesto Luigi II ricevette indietro orecchie e naso del suo ambasciatore come chiaro messaggio che preannunciava l'imminenza della guerra.
L'esercito fu approntato. Gli Akinji (cavalleria leggera turca) si spingevano in avanti devastando i territori ungheresi. Seguiva la fanteria, gli Azab, i Giannizzeri e in coda i Deli o Teste Matte, per i loro capelli svolazzanti sotto berretti di pelle di leopardo, leone o orso; e poi vi erano i soldati della Rumelia e Anatolia, la cavalleria regolare (i Sipahi).
I Dervisci, seminudi, correvano tra le truppe incitando alla guerra urlano brani tratti dal Corano.
L'esercito di Solimano era armato di pistole, pugnali, scimitarre, scuri, mazze, archi e frecce, artiglieria e polvere da sparo.
Per Solimano la logistica era forse la parte più importante dell'esercito. Sapeva bene che da essa dipendevano gli esiti di una campagna militare.
I Giannizzeri custodivano una bandiera bianca con una scritta tratta dal Corano e una spada fiammeggiante, lo stendardo a tre code di cavallo dell'Agha e i paioli, simbolo del loro diritto a ricevere gli alimenti da parte del Sultano.
I Giannizzeri erano le truppe scelte del Sultano sin da quando, nel lontano 1328, il fratello del sultano Orkhan aveva pensato di formare un corpo scelto costituito da cristiani, per combattere i cristiani. Catturati, ricevuti come tributo o comperati da ragazzi, venivano circoncisi e istruiti alla pratica della guerra e a servire il loro signore. Furono chiamati Yeni Tcheri, cioè "Nuovi Soldati", da cui il nome col quale vennero conosciuti in Europa: Giannizzeri.
Da loro dipendevano le fortune dei sultani Ottomani così come le sfortune.
L'esercito si presentò sotto le mura di Belgrado dove i cannoni turchi aprirono delle brecce. La Porta dell'Ungheria veniva conquistata e i suoi ultimi difensori, arresisi dietro la promessa di aver salva la vita, furono invece massacrati.
Nel corso della sua lunga vita Solimano più volte si trovò di fronte un nemico instancabile: i Cavalieri di San Giovanni, allora insediati a Rodi erano una spina nel fianco per il suo Impero.
Il loro Gran Maestro era Filippo Villiers de l'isle Adam.
Era il 6 giugno 1522 quando l'esercito di Solimano si presentò al largo dell'isola di Rodi.
Poco tempo prima Solimano aveva scritto una lettera al Gran Maestro in cui, neanche tanto velatamente, lo invitava a rallegrarsi per le sue vittorie contro l'Ungheria: "Sono lieto della tua elezione e della sovranità a cui sei stato innalzato e desidero che tu possa goderne a lungo e felicemente. E per questo spero che tu sappia superare in onore e lealtà tutti coloro che prima di te hanno esercitato il loro dominio a Rodi. E come i miei antenati si sono sempre astenuti dal toccarli, così io, seguendo il loro esempio, intendo mantenere con te rapporti di buon accordo e di perfetta amicizia. Rallegrati dunque, amico mio, e godi anche della mia vittoria e del mio trionfo: poichè l'estate scorsa, attraversando il Danubio, a insegne spiegate, vi aspettai il Re d'Ungheria, convinto che volesse darmi battaglia. Espugnai e strappai dalle sue mani Belgrado, la più forte città del suo regno, con altre località potentemente munite; e dopo aver annientato col ferro e col fuoco grandi masse di combattenti e trascinata molta gente in schiavitù nel mio ritorno di conquistatore in trionfo, ho sciolto il mio esercito, ritirandomi nella mia sede imperiale di Costantinopoli. E da questa città ti saluto."
Il Gran Maestro prese la lettera come un avvertimento dell'approssimarsi della guerra e cominciò i preparativi rafforzando le difese dell'isola.
Seicento cavalieri e undicimila tra fanti, arcieri, cittadini e contadini dovettero affrontare l'assedio di circa centoquindici mila turchi! A capodanno Rodi era di Solimano.
I cavalieri resistettero per mesi e alla fine, per il coraggio e l'ostinazione dimostrata, Solimano concesse ai cavalieri superstiti la facoltà di lasciare l'isola con le armi, coi propri averi e con tutti i cittadini che volessero seguirli. Coloro tra gli isolani che invece gradivano restare potevano farlo, mantenendo i loro averi, la qualità di uomo libero e la propria religione.
Conquistata Rodi era tornato il momento di riprendere i conti con l'Ungheria. La vita di Solimano era votata alla conquista del mondo, come i suoi predecessori.
In più di una occasione dimostrò il suo sangue freddo affrontando in prima persona la furia dei suoi stessi soldati. La sua sola presenza era sufficiente a ristabilire l'ordine come a spingerli all'estremo sacrificio.
Eppure, quando la sua stella tramontò, il 29 agosto 1566, quasi cinquant'anni dopo la sua ascesa al potere, l'impero turco si avviava verso la dissoluzione anche a causa dei suoi errori.
A Solimano il Magnifico seguì suo figlio Selim, non all'altezza del suo ruolo. Solimano lasciò al suo successore un impero la cui prosperità non aveva paragoni, ma minato alla base da alcuni errori: la sua assenza alle sedute del Divano (l'equivalente del Consiglio dei Ministri), l'assegnazione di alte cariche a persone che non avevano percorso tutta la scala gerarchica, la corruzione generalizzata e la mal riposta fiducia nei suoi parenti più prossimi, la schiava-moglie Rosselana e i suoi figli.
Un bellissimo libro, da leggere e conservare nella propria biblioteca per approfondire personaggi e avvenimenti di quell'epoca.
Alessandro Rugolo