Francesco Rubino: Trame di distruzione - Storia e analisi della guerra civile in ex-Jugoslavia (1991-1995)

Francesco Rubino
Ed. Il Cerchio, San Marino 2015
pagg.103

L’autore, ricercatore storico indipendente, descrive, in questo saggio, la turbolenta vita della ex Jugoslavia fino al suo dissolvimento, avvenuto nel 1995. Creatura artificiale, nata con il Trattato di Versailles del 1919 all’indomani della fine della Grande Guerra, fin da subito la Jugoslavia appare caratterizzata da un clima rovente dovuto alle differenze linguistiche, culturali e confessionali dei popoli che la costituiscono.

”L’esplosione del secondo conflitto mondiale e l’irruzione dei drammatici eventi bellici che sconvolgono l’Europa schiacciata dalla potenza tedesca, non possono non toccare i Balcani, dove la Jugoslavia viene a trovarsi praticamente circondata da Paesi satelliti dell’Asse (Albania, Romania, Ungheria, Bulgaria).[…] Il 6 aprile 1941 la Jugoslavia viene invasa da un micidiale attacco sferrato contemporaneamente da tedeschi, italiani, bulgari e ungheresi che annichilisce le truppe jugoslave, totalmente incapaci di difendersi, male organizzate, divise da odi etnici mai sopiti. Le difese jugoslave vengono letteralmente spazzate via: gli unici soldati ad opporre una certa resistenza sono i serbi e i montenegrini, mentre in alcuni casi, come in Slovenia e Croazia, gli invasori vengono addirittura sostenuti apertamente dalla popolazione. Gli attaccanti si dividono la preda smembrando il Paese.”

La Serbia, con la sua totale frammentazione, pagherà il prezzo più alto della disfatta. La Croazia di Ante Pavelic (a capo degli ustacia, gruppo paramilitare ultranazionalisa croato) sarà l’unico stato a mantenere un livello maggiore di autonomia. Di fronte alla minaccia degli ustascia e delle SS, i serbi creeranno una resistenza formata da bande di combattenti, i cetnici (comandati da un ex ufficiale dell’esercito Jugoslavo, il generale Dragoljub Mihailovic), che sarà in contrasto con l’altro movimento resistenziale comunista, nato con l’invasione della Jugoslavia e comandato dal Maresciallo croato Josip Broz, detto Tito.

”Le due resistenze, quella cetnica e quella comunista, proseguiranno indipendentemente il loro cammino su binari paralleli che non solo non si incontreranno mai, ma spesso finiranno per divergere.” E se nella prima fase del conflitto è il movimento resistenziale cetnico ad essere riconosciuto dagli Alleati, nella seconda fase gli Alleati, su suggerimento di Churchill, appoggeranno, al fine di dare l’ultima spallata ai tedeschi, il Maresciallo Tito.

“La Jugoslavia che risorge dalle ceneri e si rinnova dopo l’ultimo conflitto mondiale ha l’originalità di rappresentare il primo vero tentativo di applicazione del modello politico, culturale, economico di matrice sovietica, almeno fino alla rottura con Mosca, nel 1948. […] La nuova Jugoslavia nasce federale e popolare, composta da sei repubbliche federate (Slovenia, Croazia, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Serbia, Macedonia) e due regioni autonome (Kosovo e Vojvodina).” La costituzione prevederà, per le minoranze nazionali, il diritto di sviluppare le loro culture e le loro lingue. Il regime, inoltre, dovrà affrontare il problema del rapporto da instaurare con le religioni dei popoli jugoslavi: se con la Chiesa cattolica i rapporti saranno molto complicati,con quella ortodossa e con l’islam, per motivi di convenienza politica, lo Stato sarà meno oppressivo.

Il 4 maggio 1980, con la morte di Tito, cioè di colui che - nonostante i lati oscuri del regime, le campagne pianificate di pulizia etnica, i campi di prigionia, le polizia segreta, le delazioni, le repressioni, le censure, le epurazioni - aveva garantito 35 anni di pace, stabilità e sicurezza, esplodono i problemi interetnici che, insieme ad una grave crisi economica, porteranno alla disgregazione della Federazione.

Il 25 giugno 1991 Slovenia e Croazia proclamano la loro indipendenza. Si inaspriscono intanto gli scontri etnici, ben pubblicizzati dai media, tant’è che “da quel momento in avanti, per i media serbi, i croati diventeranno tutti indistintamente ustascia, mentre per converso per i media croati non ci saranno più serbi ma cetnici.” Dopo aver assediato Dubrovnik, il 18 novembre 1991 i serbi di Slobodan Miloševic, presidente dei comunisti serbi, strappano la città di Vukovar alla Croazia, permettendo a Miloševic di raggiungere il suo obiettivo:“le province autonome serbe si sono unite in un vero e proprio stato, sia pure non riconosciuto. Nasce la Republika Srpska Krajina, uno stato serbo che si è ritagliato il suo spazio vitale all’interno della Croazia. L’Europa, l’Onu, la Nato improvvisamente scoprono la gravità della situazione: dopo Dubrovnik e Vukovar anche l’opinione pubblica si sveglia dal torpore grazie alle immagini di morte e distruzione che provengono da quelle che fu una splendida città barocca sul Danubio. Qui i serbi, che stanno vincendo la guerra della armi, stanno cominciando a perdere la guerra mediatica.” Guerra mediatica che perderanno anche a Sarajevo, in Bosnia-Erzegovina, dove, con la loro spavalderia nel mostrare le armi puntate sulla città, non si rendono conto che l’opinione pubblica mondiale finirà per individuare in loro i carnefici, i responsabili.

“Il 1994 vede l’irrompere prepotente degli Stati Uniti, ora guidati dal neo eletto Presidente Bill Clinton. I tempi sembrano infatti maturi per un’ingerenza sempre più profonda e penetrante negli affari europei, attraverso un rafforzamento dei rapporti diplomatici fra Washington, Zagabria e Sarajevo in funzione antiserba. Gli Stati Uniti hanno in parte già ottenuto quello che desiderano, con lo smembramento della Jugoslavia e il riconoscimento internazionale di quegli Stati che hanno avuto il coraggio di staccarsi dalla Federazione socialista ed affacciarsi con fiducia al mondo dei Paesi occidentali e al libero mercato. Clinton si rende conto che l’Europa si è rivelata un gigante di cartone, assolutamente sprovvisto di una linea politica univoca sul caso balcanico.”

Alla fine dell’agosto 1995, un’offensiva senza precedenti della Nato annienta i serbi nelle zone di Sarajevo, Tuzle e Mostar. Si arriva così alla conferenza di pace di Dayton, del 31 ottobre, dove gli accordi raggiunti verranno suggellati dalla firma, a Parigi, il 14 dicembre: accordi che“più che consegnare la pace alla ex Jugoslavia hanno significato l’imposizione americana della fine della guerra.”Gli accordi di Dayton hanno creato l’unico stato al mondo, la Bosnia Erzegovina, “composto da due entità, una Federazione croato musulmana ed una Repubblica serba che condividono lo stesso tetto della stessa angusta casa.” Ma, purtroppo, “non sono bastati venti anni di presenze ed ingerenze politico/militari in Bosnia Erzegovina per pacificare veramente questa terra martoriata, come non sono bastati alla Croazia, nel frattempo entrata al pari della Slovenia nell’Unione Europea, per normalizzare i rapporti fra serbi e croati.” Questo perché quella ci fu tra il 1991 e il 1995 “fu guerra civile, come fu guerra etnica, religiosa, economica. […] Fu soprattutto una guerra terminata senza pace e senza giustizia, […] una guerra di gente che non voleva e non vuole vivere assieme.”

Gianlorenzo Capano