Gianmarco Veruggio: Il Mare della Robotica

Gianmarco Veruggio
Di Renzo Editore, Roma 1999
pagg.109

Gianmarco Veruggio attualmente è dirigente di ricerca del CNR e responsabile della sede di Genova dell’ Istituto di Elettronica e di Ingegneria dell’Informazione e delle Telecomunicazioni. Avvicinatosi alla robotica nel 1989, è stato direttore, fino a 2002, del RobotLab di Genova.

In questo sua saggio, scritto una ventina di anni fa, l’autore racconta la sua esperienza nel mondo della robotica, partendo da Leonardo da Vinci, che fu il primo a pensare a un robot, e passando per Isaac Asimov, che enunciò le tre leggi della robotica nel 1942. Da allora fu un susseguirsi di film e romanzi di fantascienza che ebbero nel robot (vocabolo che deriva dallo slavo "robota" cioè servo, aiutante nel lavoro e che fu utilizzato per la prima volta, nel 1921, in una opera teatrale cecoslovacca di Karel Capek) il protagonista principale nei più disparati ambienti, dallo spazio, alla terra fino alla profondità degli abissi marini. Ma chiaramente non è questa tipologia di macchine l’oggetto di questo libro.

Si parte dai concetti fondamentali, con la descrizione delle caratteristiche principali costituenti lo schema della macchina (percezione, modello del mondo, valutazione, azione), per entrare nello specifico dell’ambiente marino, riferendosi per la progettazione “non ad un sommozzatore ma ad un animale marino,proprio perché il quadro di riferimento che occorreva era quello di un organismo che si è sviluppato per milioni di anni in mare, non dell’essere umano che da poche decine di anni prova a riadattarsi a un ambiente che non è più il suo.”

Gli ostacoli da superare sono di vario tipo, dalla protezione del sistema con un contenitore assolutamente stagno, al dover sopportare pressioni molto elevate, alla galleggiabilità”Per un progettista robotico che voglia cercarsi dei guai,il modo migliore è collocare le sue macchine in ambienti pieni di circostanze difficilmente prevedibili e gestibili.” E, inoltrandoci nel racconto della esperienza di Verruggio, capiamo che egli di “guai”se ne è cercati non pochi. Ma i suoi guai hanno sicuramente risolto i problemi di molti altri.

”Il mare rimane un ambiente ostile e pericoloso per la vita umana […]. Non rimane quindi che operare per procura, inviando a esplorare il fondo del mare robot progettati per sopravvivere e lavorare dove troppo alto sarebbe il rischio per la vita umana:questo è lo scopo della Robotica Marina.” Filippo 17, Roby, Roby 2, Romeo, questi i nomi della famiglia di robot nata, fin dal 1990, dall’ingegno dell’autore di questo saggio e dei suoi collaboratori. Si tratta di ROV (cioè comandati tramite un cordone ombelicale) e non di AUV (cioè privi del cordone ed adatti ad esplorazioni a lungo raggio).

Nel 1993 Roby 2 fu battezzato nelle acque dell’Antartide. Nel 1997 toccò a Romeo immergersi nelle gelide acque di Baia Terra Nova. Se Roby 2 effettuò quindici immersioni in cento giorni, Romeo arrivò a settantacinque missioni in centotrentaquattro giorni. Un vero e proprio successo viste le condizioni estreme e l’impossibilità di conoscerne, a priori, gli effetti sulle parti meccaniche ed elettroniche. L’ottima riuscita di questo disegno, come traspare dalle pagine del libro, è dovuto soprattutto all’entusiasmo ed all’affiatamento di un team. Inoltre,come sostiene Verruggio, è importante che vi sia sempre il massimo coordinamento tra i ricercatori robotici e gli utenti della macchina.

”Il progettista deve cioè studiare le macchine che risolvano problemi veri e non giocattoli utili solo al proprio diletto o a scrivere pubblicazioni specialistiche. L’utente deve collaborare,compiendo qualche sforzo di adattamento a nuovi e più potenti modi di lavorare o di pensare. Una bicicletta può servire a compiere meno fatica oppure ad andare più lontano, però occorre innanzitutto imparare a starvi in equilibrio.”

A conclusione del racconto di questa esperienza, non poteva mancare un’esortazione ai giovani a dedicarsi ad una disciplina, la Robotica appunto, per la quale “occorre impiegare strumenti di diverse discipline, in una forma rigorosa, coerente, creativa, ma soprattutto essere mossi da una grande voglia di superare l’esistente per andare alla ricerca dei propri limiti.”

Roby 2 attualmente è esposto presso il Museo Nazionale dell’Antartide di Genova.

Gianlorenzo Capano