Luciano e Simonetta Garibaldi
Ed. Archivio Storia, Fidenza (PR) 2018
pagg. 201
Gli autori, padre e figlia, l’uno di numerosi libri divulgativi di storia, soprattutto sulle guerre del Novecento, l’altra giornalista e ricercatrice storica, hanno scritto questo saggio con l’intento di dare “del fascismo un ritratto in controluce, né tutto male, né tutto bene.”
Come riportato nella prefazione da Luciano Garibaldi “il Ventennio fascista fu, in effetti, un periodo di sperimentazione di concetti, regole e istituti affatto nuovi, non pochi dei quali sono rimasti per sempre nel nostro costume (e basterebbe citare la previdenza sociale obbligatoria), di grandi realizzazioni territoriali (autostrade, ammodernamento dei centri storici, bonifica delle paludi), di successi per l’economia nazionale (industrializzazione, fine dell’inflazione e della svalutazione della lira).”
Lo stesso Paolo Mieli, storico e giornalista, convinto antifascista, ha sostenuto durante il Festival della Letteratura di Mantova del 1999, che qualcosa, nel modo di raccontare il Ventennio, non gli tornasse. “Tutto il bene da una parte, tutto il male dall’altra. Anzi, tutta l’Italia contro una cricca di malvagi. Ma le bugie a me non stanno bene, anche se vengono dalla mia parte politica. Se un Paese ha bisogno di ricostruire il proprio passato mentendo, qualcosa non va.” L’Italia, insomma, sempre secondo Mieli, per quanto riguarda il Ventennio, deve fare ancora i conti con il proprio passato, “che non è difficile: basta chiedersi se i buoni siano stati anche un pochino cattivi, e i cattivi un pochino buoni.” E questo è lo scopo, dichiarato dal Garibaldi, di questo libro che è suddiviso in due parti: nella prima viene descritto il Ventennio, dalla nascita del fascismo, il 23 marzo 1919, in piazza San Sepolcro, a Milano – dove Mussolini, allora direttore del giornale da lui fondato “Il Popolo d’Italia”, decise di convocare un’adunata dei vari “Fasci di combattimento”, in vista della fondazione di un partito politico – alla fine, determinata dall’uccisione di Mussolini il 28 aprile 1945; nella seconda vengono riportate le biografie di numerosi protagonisti del Ventennio, favorevoli e contrari al Fascismo.
Tralasciando di parlare della seconda parte, dalla quale il lettore potrà trarre spunto per approfondire la vita dei personaggi in essa citati, nella prima parte viene trattato il Ventennio in tutte le sue componenti: politica, arte, scienza, letteratura, sport, cinema, musica, architettura. Di quest’ultima abbiamo ancora esempi tangibili a Roma, con il quartiere dell’Eur; con la piazza della Vittoria a Genova e a Brescia: tutte opere dell’architetto Marcello Piacentini. Altro esempio tangibile è costituito dalle “piccole città rurali nate sulla bonifica delle paludi, da Littoria (oggi Latina) a Sabaudia, a Pontinia.”
Ci furono, purtroppo, anche le guerre. La guerra d’Africa, del 1935, che ebbe come protagonisti i generali Graziani e Badoglio. Quest’ultimo fece il suo ingresso vittorioso, il 5 maggio 1936, ad Addis Abeba, divenuta capitale dell’Abissinia che prese il nome di Africa Orientale Italiana. Ci fu la guerra di Spagna, del 1936, dove Mussolini decise di intervenire a fianco del “generalissimo” Franco. Poi venne la presa dell’Albania che fu “la risposta italiana all’occupazione della Boemia da parte di Hitler nel 1939.”
Fino ad arrivare, il 10 giugno 1940, all’intervento nella Seconda Guerra mondiale, con la campagna di Russia che, con la perdita di centomila soldati italiani, “fu il più irreparabile dei tanti errori strategici del regime fascista e fu al tempo stesso la più tragica epopea, intrisa di episodi di incredibile eroismo, di tutta la storia degli eserciti italiani.”
Poi si arrivò al 25 luglio 1943, con la votazione dell’ordine del giorno che depose il Duce. “Gli storici non hanno mai potuto spiegare la strana inerzia di Mussolini di fronte alla violenta filippica del presidente della Camera” Dino Grandi.
Ci fu poi l’arresto di Mussolini, il 26 luglio, per ordine del Re, per arrivare al tragico 8 settembre, con la firma dell’armistizio. “Tutte le unità militari italiana, dal più piccolo reparto fino al comando di corpo d’armata, appresero la notizia dalla radio.”
Con la liberazione del Duce, il 12 settembre, da parte di tedeschi, ebbe inizio la Repubblica Sociale Italiana. Sull’uccisione di Benito Mussolini, avvenuta il 28 aprile 1945, assieme a Claretta Petacci, sono state scritte infinite pagine. Luciano Garibaldi sviluppa una sua tesi, cioè “la pista inglese”, in quanto, secondo lui, i mandanti di questa uccisione furono i servizi britannici.
“Quale fu il movente che spinse gli uomini di Churchill a neutralizzare Mussolini e la sua amante? Il timore che i due, interrogati dai giornalisti americani, rivelassero i contatti esistiti fino all’ultimo tra Mussolini e Churchill e aventi lo scopo di spingere Hitler a cessare la resistenza in occidente per volgersi unicamente contro l’Armata Rossa.[…] Un progetto disonorevole nei confronti di una potenza alleata i cui soldati erano morti (e continuavano a morire) a milioni, e che, se reso pubblico al mondo, avrebbe causato un vulnus irreparabile al prestigio della Gran Bretagna. Per questo nessuno doveva venirne a conoscenza.”
E il cosiddetto “oro di Dongo” rinvenuto dai partigiani nella “colonna Mussolini? Sempre secondo Garibaldi “non era il tesoro di Stato della RSI, ma era composto dai valori confiscati alle famiglie degli ebrei arrestati e rinchiusi nei campi a seguito delle leggi razziali. Valori che Mussolini intendeva consegnare ai vincitori, dopo la resa in Valtellina, affinché fossero restituiti ai superstiti, a dimostrazione del fatto che quelle confische non erano state fatte per arricchire la RSI a danno dei perseguitati, ma erano state un pesante obbligo derivante dall’alleanza con il Terzo Reich.” L’oro di Dongo, però, è scomparso, insieme ai documenti che Mussolini portava con sè il giorno della cattura da parte dei partigiani.
Gianlorenzo Capano