Luigi Chiapperini
Ed. Francesco d’Amato Editore, 2022
pagg. 140
Il 24 febbraio 2022 fissa lo spartiacque tra due epoche: dopo la seconda G.M. l’Europa ha goduto 77 anni di pace e la fine della Guerra fredda aveva fatto credere che la guerra come strumento di pressione politica non fosse più una scelta praticabile.
Introdotto dal gen. Farina, già capo di SME, il libro inizia in un modo insolito: una scena teatrale con due possibili finali, protagonisti Putin e i suoi generali, i quali d’iniziativa non avrebbero tentato l’azzardo di invadere un paese due volte grande l’Italia premendo su un fronte di 1500 km con 100.000 soldati e un rapporto di forze 1:1 di fronte a un esercito moderno, addestrato e motivato. Puntano in realtà su Kiev per far cadere il governo Zelensky e imporne uno loro, ma sottovalutano la resistenza e disperdono le forze in cinque aree diverse, ognuna con un proprio comandante.
È vero che storicamente i sovietici puntavano sempre sulla capitale per imporre un loro uomo (Budapest, Praga, Varsavia, Kabul), ma stavolta la reazione locale logora un’offensiva peraltro ben dissimulata: nessuno si aspettava un’operazione speciale in profondità e i pochi che l’avevano predetta non erano stati creduti. D’altro canto, la NATO e l’allora Patto di Varsavia svolgevano da sempre grandi esercitazioni lungo confini come mezzo di pressione e per mantenere addestrati i soldati. Ora, dopo quattro mesi anziché quattro giorni si può fare il punto e trarne alcune conclusioni, cosa che l’autore fa in base alla sua lunga esperienza sul campo.
Si comincia dai prodromi: l’Ucraina, estesa nazione slava che per secoli ha gravitato fra Est e Ovest per poi essere assorbita nell’orbita russa almeno fino al 2014, quando l’Ucraina decide di puntare sull’Occidente. Si tende a giustificare l’aggressiva politica russa come reazione all’espansione della NATO a Est, ma è bene ricordare che l’adesione era libera, come libere erano le nazioni che volevano entrare in un’alleanza difensiva. Stranamente, un processo negoziale così importante ha lasciato pochi documenti ufficiali, né provocava una decisa reazione diplomatica da parte russa, nonostante Putin fosse già al potere e potesse esercitare pressioni sulla NATO, con la quale si manteneva anche un rapporto di collaborazione. Quindi è verosimile pensare che la saturazione risalga al 2014, quando l’Ucraina ha cambiato governo e la Russia si è ripresa la Crimea, peraltro assegnata nel 1954 all’Ucraina da Krus’ev in un contesto diverso, interno all’URSS.
A seguire, il problema del Donbass, vasta e popolata regione ucraina ricca di risorse, ma abitata anche da una forte componente russa, alla quale non è stata riconosciuta un’autonomia simile a quella da noi concessa ai sud-tirolesi. Risultato: 4000 morti in 8 anni e una guerra civile strisciante, con l’uso spregiudicato di milizie irregolari. La c.d. dottrina Gerasimov prevede in effetti la guerra ibrida, misto di ordinamenti e tattiche diverse da sviluppare secondo la situazione sul campo.
Nell’operazione speciale in realtà di fantasia se ne è vista poca: i russi si sono mossi in modo tradizionale e persino scoordinato, con disfunzioni logistiche e tattiche ben sfruttate dalle fanterie leggere ucraine nel contrasto dinamico. L’ossatura tattica dei russi si basa sui BTG (pag.30-31), battaglioni meccanizzati con mezzi, armi e autonomia ben più articolati dei reparti del “partito arancione” di militare memoria. Non sono in realtà un’invenzione russa, ispirati piuttosto ai Kampfgruppe tedeschi. Nei primi tre mesi ne sono stati impiegati 90 sui 180 teoricamente disponibili, il che significa una forza di manovra 90.000 uomini, più 150.000 tra regolari e miliziani per tenere le retrovie, presidiare le conquiste territoriali e rimpiazzare le perdite. Le forze ucraine – 250.000 uomini – hanno dovuto dislocare almeno 150.000 soldati lungo il fronte, anche se solo in parte addestrati ed equipaggiati per un conflitto ad alta intensità. Dunque il rapporto attaccante/attaccato è 1:1, quando dovrebbe essere 3:1 per riuscire efficace, a meno di non avere Rommel o von Manstein alla guida del gruppo tattico. Qui invece nessuno individua il Treffpunkt per aprire un varco e penetrare in profondità. Si sono disarticolati i centri di comando e le vie di comunicazione, si sono occupati alcuni aeroporti, ma la pressione era uniforme su tutto il fronte, peraltro alimentato da una seconda linea molto scarsa. In più le forze ucraine – più agili – si sono valse di armi moderne ed efficaci: droni Bayraktar TB2, missili controcarro Javelin, Le operazioni sono comunque ben illustrate nelle pagine 39-48, con tanto di cartine. In alcune zone sono stati conquistati 200 km in 6 giorni, altrove dai 10 ai 100 km., salvo poi dover affrontare i grossi centri abitati. L’Ucraina è piana, ma la gente non vive solo in campagna e rastrellare blocchi di 20 piani o industrie grandi quanto l’Ilva di Taranto ha trasformato l’avanzata in una guerra di assedio, dove i civili pagano il conto in quanto parte del conflitto. I russi non fanno sconti e procedono alla russificazione immediata delle zone conquistate, secondo l’archetipo della seconda GM.
Nel frattempo si è chiarita la strategia russa: non solo conquistare tutto il Donbass, ma saldarlo alla Crimea conquistando uno dopo l’altro i porti del Mar Nero – Cherson e Mariupol - e chiudendo il Mar d’Azov. L’assedio dell’acciaieria Azovstal ha avuto effetti mediatici, ma più logico sarebbe stato esfiltrare le forze per tempo e riorganizzarle altrove. Odessa a tutt’oggi (luglio 2022) non è ancora stata conquistata, ma l’Ucraina non vuole perdere l’accesso al mare e quindi affonda le navi russe e difende l’Isola dei Serpenti. Le forze da sbarco russe (pag. 50-51 e 94-96: non per niente l’autore ha comandato i Lagunari) in realtà non hanno la capacità offensiva e la forza di penetrazione in profondità richiesta da un’operazione del genere. Ma nel frattempo le operazioni sul terreno sono cambiate: sguarnito il fronte di Kiev (ma con la spada di Damocle dell’alleato/vassallo bielorusso) le forze russe sono state concentrate nel Donbass e lungo la costa del Mar Nero. Per risparmiare gli uomini i russi ora combattono come 50 anni fa, facendo uso massiccio dell’artiglieria – quasi 5000 colpi al giorno più i missili – per spianare tutto quello che c’è davanti, città comprese, per poi far avanzare i carri e infine la fanteria. Concettualmente i russi sono rimasti alla battaglia di Kursk, e infatti… stanno a Kursk.
Dall’altra trincea si chiede agli alleati europei e americani artiglieria a lunga gittata, mentre i mezzi corazzati arrivano dai depositi degli ex membri del Patto di Varsavia. Non esistono per ora fonti ufficiali sicure, ma finora i due contendenti hanno verosimilmente perso ognuno 1000 corazzati e almeno 6000 soldati. Un conflitto ad alta intensità fra forze convenzionali simmetriche logora le forze in modo rapido: è la classica Materialschlacht, guerra di logoramento che dura finché è possibile alimentare il fronte. Solo in caso di esaurimento delle risorse uno dei due nemici è disposto a negoziare. In realtà gli ucraini non vincono: resistono.
Segue (pag.63-70) una domanda: è possibile l’uso di ordigni nucleari? No, perché non converrebbe a nessuno e la scena di Putin che preme il bottone è irrealistica (la procedura è più complessa, per fortuna). Diverso è il discorso sui missili balistici intercontinentali (ICBM): il Sarmat (Satan-2 per la NATO) ha una gittata di 24.000 km e può portare sia testate nucleari che veicoli ipersonici. A Kaliningrad (sul Baltico) possono essere schierati (se già non ci stanno) i missili 9K720 Iskander (per noi: SS-26 Stone), 500 km di gittata e assetti anche nucleari.
Nel capitolo successivo (p.71) l’autore analizza invece la questione del comando. La morte al fronte di tanti generali e ufficiali è in realtà nella media di altri conflitti, ma ci si chiede se il coordinamento e l’autonomia dei comandi inferiori non risentano ancora di retaggi del centralismo sovietico, e del resto i generali ucraini conoscono bene il nemico, avendo studiato nelle stesse scuole militari. Inizialmente è comunque mancato un comando unitario e questo è contrario alla strategia. Dopo poche settimane tanti generali sono stati mandati a casa, ma la decisione di attaccare su 1500 km di fronte con 90 BTG non era solo militare: la guerra è una funzione della politica.
Ma esistono anche i soldati. I russi credevano di partecipare a un’esercitazione e si sono trovati al fronte, gli ucraini sono motivati perché difendono le loro case, saccheggiate ora dai soldati russi predatori, dai miliziani loro alleati e da quella sorta di legione straniera russa chiamata Wagner. Mercenari e milizie volontarie non sono sempre gestibili, ma nessuno deve avvertire le famiglie e quindi se ne fa uso. Diverso è il discorso sui consiglieri e i contractors: addestrare i soldati all’uso di armi nuove, per motivi politici non può essere sempre svolto da istruttori in servizio o al fronte.
Il capitolo successivo (p.89-99) è un’analisi dei rispettivi armamenti (mezzi e organici) e mostra un certo squilibrio quantitativo a favore dei russi, compensato da una migliore tecnologia occidentale, tangibile p.es. nel controllo del campo di battaglia, nella direzione di tiro e nelle armi controcarro. Ma l’evoluzione del campo di battaglia può oggi portare solo a un consolidamento delle conquiste sul terreno. Quanto? Dipende dalle forze in campo, dalla resilienza della società civile e dalla capacità industriale; questo vale per tutti. Una guerra lunga non fa comodo a nessuno e il Gas ne è il paradigma. Il problema è che chi scatena una guerra punta sempre sulla sua brevità, e in questo la storia militare è piena di exempla.
L’ultima domanda: le forze armate italiane e/o europee sono preparate a un conflitto ad alta intensità? La risposta è per ora negativa: va bene per Aeronautica e Marina, ma finita la Guerra Fredda si è investito molto sulle agili Expeditionary Forces (chiamatele missioni di pace o come credete) e poco sulle pesanti forze di terra. Italia, Olanda e Germania hanno una componente MBT ormai ridotta all’osso; ci vorranno anni per ricostruirne una credibile e i carri di nuova generazione KF51 Panther sono ancora prototipi.
Si parla da anni di Difesa Europea, ma finora restano i problemi di sempre, mentre la NATO si è invece rivitalizzata proprio perché c’è la guerra in casa. Purtroppo lo spostamento del fulcro al centro dell’Europa penalizza il Mediterraneo, anche se il ruolo strategico della Turchia e la gestione delle rotte del grano dovrebbero aprire gli occhi a chi ragiona come se esistesse solo il Sacro Romano Impero. Quanto poi al ruolo della Cina, è ancora ambiguo, ma, come diceva Marcello Marchesi, la religione dei Cinesi è il cinismo.
Marco Pasquali