Nicola Montenz
Ed. Archinto Milano 2013
pagg. 329
L’autore, analizza, in questo suo saggio, la complessità dei rapporti tra musica e politica, nella Germania nazista negli anni compresi tra il 1933 e il 1945. La lotta all’ebreo, infatti, non si manifestò solo con la forza bruta, ma assunse anche “le forme più subdole, e non meno efficaci, della squalifica intellettuale e del boicottaggio delle attività degli stessi ebrei, in particolare di quelle culturali. Tra queste, occupava un ruolo centrale la musica, la cui pratica attiva svolgeva in Germania un compito essenziale nella formazione dell’individuo, tanto da configurarsi come un fenomeno largamente istituzionalizzato, e oggetto di accurata organizzazione.”
Il 15 novembre 1933, da una proposta di Goebbels, ministro per l’Educazione popolare e la Propaganda, entrò in funzione la RKK (Reichskulturkammer), con cui il governo nazionalsocialista ottenne il controllo assoluto sugli artisti e sulla vita intellettuale del Reich. Le epurazioni che sconvolsero la vita musicale tedesca, però, iniziarono ben prima che si conoscessero gli esiti delle elezioni del marzo 1933. Arnold Schönberg, il padre della dodecafonia, già emblema della decadenza e del male in musica, dopo che i nazionalsocialisti ne misero al bando la persona e le opere, lasciò la Germania nella primavera del 1933. L’epurazione più clamorosa, però, in considerazione della fama internazionale della vittima, fu quella del direttore d’orchestra Bruno Walter, oggetto, già da molti anni, dell’odio personale di Hitler “che vedeva in lui un musicante ebreo del tutto indegno di dirigere la vera musica tedesca (in particolare le opere di Wagner).”
Una posizione controversa è stata quella di Richard Strauss che, ufficialmente, fu accomodante con il regime; fin dall’inizio “guardò con inquietudine al vortice di epurazioni che,decimando gli organici tedeschi, privava dei migliori interpreti anche le sue opere.” Nonostante egli non tollerasse che il regime osasse mettere il naso nelle sue scelte artistiche, egli, però, tacque, colpevolmente. “Troppo importante, almeno nei primi anni, gli apparve la necessità di rendere vigore a una fama che l’età stava spegnendo.” Così, la sua posizione apparve, pubblicamente, di completa condiscendenza nei confronti del regime.
Wilhelm Furtwängler, ebreo, il più celebre e pagato direttore d’orchestra tedesco dell’epoca, invece, consapevole sia del fatto che il nuovo governo avesse bisogno della sua collaborazione, sia della venerazione che Hitler nutriva nei suoi confronti, “guardò con sospetto alle pretese di allineamento avanzate dal regime, e rifiutò con decisione di arianizzare l’organico dei Berliner Philarmoniker,” anche se le sue posizioni verso l’antisemitismo erano dettate soprattutto da valutazioni artistiche.
Comunque la legge del 7 aprile, non di rado fu disattesa, anche da qualche ministro, quando si trattava di prendere le difese dei propri beniamini non ariani. Ci furono, quindi, delle eccezioni attraverso cui la Germania del 1933-34 “cercò di mostrare agli osservatori stranieri, nonostante tutto, il proprio miglior profilo.” Ma l’approccio prevalente del regime era quello di eliminare l’elemento ebraico dalla musica tedesca che “non significava semplicemente far piazza pulita di tutti i possibili non ariani operanti in Germania,” ma comportava anche l’arianizzazione del repertorio vocale dei teatri tedeschi. Furono così rivisti i libretti di opere di Mozart, Händel, Verdi, Rossini.
La musica di cui il Führer si infatuò fu quella di Richard Wagner. E fu con Winifred, la moglie del figlio di Wagner, che cominciò la connivenza tra il nazismo e la famiglia Wagner, in quanto Hitler iniziò a frequentare la villa che Wagner aveva fatto costruire a Bayreuth, già nel 1923. “Bayreuth e l’aura leggendaria da cui era circondata svolsero un ruolo fondamentale nella costruzione del mito hitleriano e nella metamorfosi dell’artista fallito in superuomo, modello di ogni tedesco.”
L’iscrizione al partito Nazionalsocialista favorì la carriera di molti musicisti, e tra questi ci fu il miracolo musicale del Terzo Reich, Herbert von Karajan, anche se non è documentata alcuna sua dichiarazione ufficiale a favore del regime, della pura musica germanica, dell’antisemitismo di Stato. Mal sopportato dal Führer che, tramite Goebbels, gli fece arrivare il messaggio di non azzardarsi mai più a dirigere a memoria, fu rivale di Furtwängler, di cui, a trent’anni, ne prese il posto sul podio.
L’iscrizione al partito “da parte di artisti desiderosi di imprimere una svolta decisiva alla propria esistenza professionale fu tutt’altro che infrequente durate i dodici anni del Rech millenario; tuttavia non mancarono esempi di musicisti letteralmente soggiogati dalla personalità di Hitler, al punto da considerare la partecipazione attiva alla vita del partito come una necessità insopprimibile.” Nessuno però poteva considerarsi al sicuro da rovesci di fortuna, che riguardarono anche Strauss e Furtwängler. E così, “alle liste di persone da eliminare si affiancarono quelle di musica da proibire.”
Anche nei campi di concentramento fu presente la musica, con orchestre e gruppi musicali, spontanei o coatti, formati dagli internati. La musica, nei campi di concentramento, accompagnava anche le sessioni di tortura o serviva a coprire gli spari delle fucilazioni. E se da una parte la musica ha costituito, a volte, una semplice opportunità per i membri di un’orchestra per evitare, o almeno ritardare quanto più possibile l’invio alle camere a gas, dall’altra “fu l’unico antidoto possibile all’annullamento della coscienza.”
Gianlorenzo Capano