Vincenzo Sinapi
Ed. Mursia
pagg. 250
“Mi è toccato di assistere a scene capaci di farti perdere la ragione. Certo erano soldati ragazzini, 18-20 anni, ma alla fine erano capaci di metterti al muro. Che ci potevamo fare, la situazione era questa”.
La strage di Domenikon, in Grecia, venne compiuta il 16 febbraio 1943 dai militari delle forze italiane di occupazione: almeno 140 civili furono uccisi come reazione1 a un’imboscata partigiana in cui morirono nove Camicie nere. Tutti gli “uomini validi” di questo piccolo villaggio delle Tessaglia (vale a dire ogni maschio di età compresa tra i 14 e gli 80 anni) vennero sterminati. Fu una delle peggiori stragi compiute dai militari italiani nei Balcani. Il primo di una serie di eccidi che caratterizzarono la primavera del ’43. Ebbene, per tutte le stragi commesse dagli italiani – e per i morti di Domenikon – nessuno ha mai pagato. È un caso clamoroso di giustizia negata che si è trascinato fino ai nostri giorni e che, come si ricostruisce nel libro “Domenikon 1943. Quando ad ammazzare sono gli italiani” del giornalista Vincenzo Sinapi, è inconfessabilmente legato a quello dell’impunità assicurata ai criminali di guerra nazisti responsabili delle stragi commesse in Italia. La mancata celebrazione dei processi a questi ultimi, con i relativi fascicoli insabbiati nell’Armadio della vergogna, è stato il prezzo pagato per risparmiare i criminali di guerra italiani, salvaguardare l’onore dell’Esercito e il mito del “bravo soldato” alla Capitano Corelli.
Le “carte” riguardanti i crimini commessi dai militari italiani in Grecia e nella ex Jugoslavia non stavano dentro un armadio con le ante rivolte verso il muro, ma in diversi archivi. Quegli atti avrebbero consentito di svolgere proficuamente degli accertamenti giudiziari, e forse qualcuno sarebbe potuto finire alla sbarra. Ma questo non è avvenuto. Ci sono volute delle inchieste giornalistiche e perfino un esposto dall'interno della stessa magistratura militare per far aprire un procedimento, ma ormai il tempo era scaduto: non sono stati trovati potenziali imputati sopravvissuti e il procedimento è stato una prima volta archiviato. Nonostante ciò, un magistrato militare, sollecitato dal nipote di una delle vittime, ha riesumato tempo dopo il fascicolo, svolgendo nuove e più circoscritte indagini, mirate questa volta a far luce esclusivamente sulla strage di Domenikon. Gli accertamenti sono durati anni – e nel libro si dà conto di ogni sviluppo - ma il risultato non è stato diverso. Nessun colpevole per Domenikon.
La vicenda giudiziaria si è definitivamente chiusa nel 2018. Il gip militare ha accolto la richiesta di archiviazione del pm perché i responsabili sono tutti morti, ormai, o rimasti 'ignoti'. Un proscioglimento di cui il procuratore militare Marco De Paolis ha chiesto irritualmente scusa ai familiari delle vittime, con una lettera riportata nel libro. "Abbiamo percorso tutte le strade possibili, lo sforzo investigativo è stato grande, ogni indizio è stato sfruttato. Ma ci siamo scontrati con ostacoli insuperabili a causa del lungo tempo trascorso. Un tempo troppo lungo", ha scritto De Paolis. "Provo amarezza per non aver potuto dare a Voi, alla Vostra comunità, la risposta positiva di giustizia che vi è dovuta. E di questo mi scuso".
Come scrivono nella prefazione del libro gli storici Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer, a differenza di quanto avvenuto in Germania, e anche in Francia, in Italia “un pubblico esame di coscienza sulle proprie responsabilità per i crimini commessi nelle colonie e nei territori europei occupati durante la seconda guerra mondiale è stato finora frenato da vari fattori, fra cui (…) interessi politici e istituzionali restii a riconoscere le malefatte del Paese, non ultimo per scongiurare eventuali richieste di indennizzi da parte dei familiari delle vittime dei crimini italiani”. Ma se da un punto di vista storico “ormai è troppo tardi – scrivono Focardi e Klinkhammer - per portare in tribunale i responsabili dei crimini di guerra, non è tardi tuttavia per far conoscere al grande pubblico italiano questa pagina rimossa della storia del nostro Paese, una pagina con cui l’opinione pubblica dovrebbe finalmente confrontarsi”.
1 Il diritto di rappresaglia di un esercito occupante era sancito dalla Convenzione dell'Aia del 1899