Non c’è giorno che non ci siano notizie negative dall’Afghanistan.
Gli USA continuano a parlare di come riportare la vittoria in quel paese e il presidente Trump ha parlato, all’inizio del mandato, di innalzare il livello militare di ulteriori 6000 unità, oltre i 9000 indicati da Obama, con meno restrizioni sulle operazioni militari allo scopo di portare a casa la vittoria. I militari chiedevano molte più forze, ma la parte politica ha dettato i limiti.
Non è chiaro fino ad oggi se il Pentagono abbia un piano, con queste minimali risorse umane, per terminare con una vittoria il confronto afghano oppure se vogliano ritirarsi dopo aver raggiunto un minimo obiettivo dopo diciassette anni di guerra.
Nello stesso tempo, i Talebani continuano la loro avanzata in tutto l’Afghanistan, la città di Ghazni è stata persa dagli afghani e poi riconquistata con perdite elevatissime e sono restii ad accettare tregue o sedersi al tavolo delle trattative.
C’è un punto irrinunciabile per gli USA: l’Afghanistan non può essere la base, in futuro, da dove pianificare ulteriori attacchi agli USA.
Dopo 17 anni di guerra, la “Global War On Terrorism”, iniziata con l’invasione dell’Afghanistan, non ha sortito gli effetti desiderati; al Qaeda è ancora in buona salute e il posto di Osama bin Laden è stato preso dal figlio Hamza che ha sposato la figlia di Atta, uno dei terroristi delle torri gemelle e l’Isis, oggi, consta di almeno 30.000 appartenenti, nonostante le perdite subite in Siria e Iraq, disposti al martirio in tutto il mondo.
Le due organizzazioni ora pensano di unirsi per rafforzare i due movimenti.
La strategia americana per battere il terrorismo deve essere ripensata: non si può battere un avversario che opera nel campo del così detto “ibrido” con strumenti studiati per fare difesa, non vi sono approcci olistici o COMPREHENSIVE che possano essere efficaci, i risultati raggiunti ne sono la testimonianza.
L’ibrido va combattuto con il contro-terrorismo.
Il terrorismo, che è invisibile, secondo le strategie classiche di contrasto ha bisogno di: intelligence, controllo del territorio, supporto della popolazione.
Nell’era della globalizzazione è necessario aggiungere il controllo della rete e la contro informazione.
In Afghanistan, il controllo del territorio e il supporto della popolazione è stato minimale, il risultato non è stato, di conseguenza raggiunto.
Né potevano i 6000 militari aggiuntivi rappresentare l’elemento di svolta.
È tempo di cambiare passo prima che sia troppo tardi.
Nei 17 anni di guerra, gli afghani e i talebani sono rimasti costanti e stanziali attori e spettatori degli eventi sul terreno.
Le forze della coalizione, che hanno combattuto in quel territorio invece, si sono alternate con cadenze semestrali, annuali, forse biennali.
Pochi individui hanno raggiunto i due /tre anni di presenza totale, scaglionata nei 17 anni.
La discontinuità della presenza dei soggetti, nell’ipotesi che abbiano avuto contatti con la popolazione, ha impedito la “governance” del territorio assegnato.
Le forze regolari, attraverso tutti gli adattamenti possibili hanno fatto il massimo consentito, ora è necessario chiudere la partita.
Non è possibile abbandonare l’Afghanistan sic e simpliciter, sarà necessario invece, accompagnarla nel lungo cammino per il raggiungimento di una minimale stabilità, con supporti interni ed esterni.
Quasi nessuno sa che il numero dei contractors in Afghanistan è il doppio del personale militare schierato.
Abbiamo dimenticato che già in Colombia, furono i contractors, ad aiutare il governo a combattere gli insorgenti per molti anni con una bassa visibilità mediatica.
Utilizzare strategie già messe in atto in passato, probabilmente ci potrebbe aiutare a uscire dal vicolo cieco in cui ci siamo cacciati.
(foto: U.S. Air Force / U.S. Marine Corps)