Negli ultimi mesi le cronache delle principali testate giornalistiche italiane hanno concentrato la loro attenzione su accadimenti nostrani: il problema della Diciotti, l’immigrazione e il crollo del ponte Morandi a Genova hanno giustamente assorbito gran parte dell’attenzione mediatica nazionale. I giornali sfornano notizie a ritmi sostenuti, dimenticandosi però di avvenimenti passati che potrebbero improvvisamente tornare alla ribalta facendo un sacco di rumore.
È il caso del terrorismo che da diversi mesi non occupa più lo spazio che merita: nessun attentato (ringraziando Dio), nessun morto, ergo gli islamisti sono in ritirata. Lo Stato Islamico – proclami fantasma di al-Baghdadi a parte – ha perso terreno ovunque e lo sforzo militare occidentale e Russo hanno sortito l’effetto desiderato. Analisti, commentatori e cacciatori di notizie di cronaca nera sembrano al momento disorientati se non fosse che il terrorismo è ben lungi dall’essere sconfitto. Esso prosegue con le sue mille diramazioni in angoli del mondo ben noti (Iraq-Afghanistan) dove per altro sono anni che lavorano i nostri soldati in difficili missioni di Security Assistance Force.
Quando lo Stato Islamico, all’apogeo del suo nero “splendore” di morte, atterriva mezzo mondo, tutti davano per scontata la prossima dipartita di al-Qaeda e de i suoi affiliati i quali, per puro opportunismo e denaro, confluivano nelle file di al-Baghdadi. In Europa ogni camion bomba, attentatore suicida o squilibrato mentale capaci di estrarre un coltello tra la folla veniva etichettato come militante dell’ISIS che – mostrando un’abilità propagandistica notevole – sponsorizzava tutte le imprese di sangue comprovando alle democrazie occidentali la loro inettitudine. Dal 2014 in poi l’ISIS si trasformò in una macchina del terrore, soprattutto per il suo modus operandi che trovò antagonisti finanche tra il direttivo di al-Qaeda, al-Zawahiri in primis. L’opposizione del dottore egiziano per alcuni analisti celava però una difficoltà collettiva da parte di una dirigenza che, dopo la morte di bin-Laden, necessitava di un cambio generazionale. Al-Qaeda aveva perso il suo smalto e non era più quel marchio vincente che aveva contraddistinto tutti gli attentati post 2001. L’amministrazione Obama, barcollante di fronte al problema siriano, sembrava non avere gli strumenti necessari per fiaccare gli entusiasti del Califfato e gli alleati occidentali tentennavano sul da farsi. Gli indugi furono rotti dall’onnipresente Putin che, in cerca di affermazione internazionale, appoggiò Assad con armi e forze speciali. Schiacciato tra due fronti (Iraq e Siria) la Bandiera Nera del Califfato iniziò ad essere ammainata dalle sue principali roccaforti con esiti che trovarono una violenta rivalsa nelle strade delle principali capitali europee. In tutta questa baraonda al-Qaeda continuava a tacere tenendosi a debita distanza da superflui clamori.
Il disegno di al-Zawahiri era già iniziato con l’esplosione della “Primavera araba” e quella che Bruce Hoffman definì al-Qaeda 2.0, ovvero decentrarsi per sopravvivere. La frammentazione (già iniziata immediatamente dopo la sconfitta dei talebani) seguiva comunque una strategia comune che era quella di non colpire i correligionari, evitare attentati eclatanti, ma soprattutto sottrarsi dall’attenzione dell’intelligence internazionale. Gli sgozzamenti dell’ISIS, i video di bambini assassini e piloti bruciati vivi giocavano, infatti, a favore del dottore egiziano il quale non aspettava altro che l’intero globo sfogasse la sua rabbia contro gli adepti del Califfato.
In questi ultimi anni Al-Qaeda è rimasta volontariamente ai margini, spettatrice del progressivo disfacimento di quello che è sempre stato giudicato come l’unico rivale nell’affermazione della visione jihadista globale nata dai teorici di bin-Laden. Bruce Hoffman parla di “resurrezione” di al-Qaeda da quelle che furono le ceneri dello Stato Islamico con nuove e importanti propaggini che si estendono nel Corno d’Africa, Yemen, Indonesia e stanno riconquistando terreno in Siria, Afghanistan e Iraq.
La strategia silente di al-Qaeda è difficilmente contrastabile poiché è mutevole, ha saputo usare lo Stato Islamico e la sua teatralità facendosi scudo; rispetto la tracotanza del Califfato, l’organizzazione di bin-Laden è stata sovente definita “paranoica”, ma proprio grazie a quell’atteggiamento essa sopravvive, cambia pelle, sfugge adattandosi e s’insinua nella società come un cancro incurabile.