Ambiguità anche nella politica tedesca di fronte all’opzione militare

28/03/22

La politica e le opzioni tedesche sono state ovviamente al centro delle analisi al momento dello scoppio del conflitto russo ucraino, analisi in gran parte compiacenti e di parte in quanto poco si è visto e discusso in merito al tema: cosa potevano fare Germania e Stati Uniti, attori principali e battitori liberi per frenare Putin, e con quali inevitabili concessioni, visto che mancava la solidità e la volontà del contrasto?

Tralasciando, per un secondo momento, l’analisi sugli Stati Uniti, ed in particolare l’assurdità, l’improvvisazione e gli interessi non certo collettivi dell’amministrazione Biden, ci si limita a inquadrare l’azione militare alla luce dello scenario economico/egemonico/strategico sopra delineato.

L’azione militare è prevalsa, per mancanza di trattative e freni economico/diplomatici, da parte dei due battitori liberi, USA e Germania, nonché di una Russia che si riteneva messa alle corde.

Gli Stati Uniti, per eterna prevalenza della politica interna quando una amministrazione è debole, hanno se non fomentato certamente lasciato prevalere l’opzione militare, forse ipotizzando che avrebbe avuto effetti geograficamente limitati e certamente date le distanze in gioco da una parte non li avrebbe toccati e dall’altro li avrebbe favoriti, sia come immagine sia come rapporti transatlantici.

Non era stato messa in conto, né da una parte né d’altra, la reazione NATO, e la rivitalizzazione della stessa (che a posteriori tutti rivendicano come propria).

La più spiazzata è stata ed è la Germania, colta tra l’altro in un momento di difficile transizione.

Qual è il suo ruolo, quali sono i suoi interessi, a partire dai rapporti con la Russia?

Una domanda difficile la cui risposta ha come presupposto la fine dell’era Merkel, un’era che è parte delle ragioni delle crisi e del conflitto in corso.

Con coraggio (o forse per tempestività politica ancor prima che pragmatismo) Olaf Scholz, sull’onda della guerra di aggressione di Vladimir Putin, ha gettato alle ortiche anni di cautele, riluttanze e comode ambiguità in politica estera, proprio quando improvvisamente un dubbio attanaglia il Paese.

Forse non era tutto oro quello sembrava luccicare nei sedici anni dell’eterna cancelliera e delle sue decisioni a senso unico?

Anche i più conformisti, in casa tedesca, si cominciano a chiedere se le responsabilità di un cambio, in negativo, del corso della Storia europea siano tutte da addebitare solo a Putin, una chiamata in correo che riguarda anche la Merkel, il suo operato e il suo lascito (e certamente non lascia indenne Biden, per quanto materia di un'altra trattazione).

Prima riguardava (e si era) uno sparuto gruppo di scettici in controtendenza (proprio quelli che erano e sono profondamente europeisti e non euroscettici), ma oggi anche i tedeschi si guardano intorno, chiedendosi se forse qualcosa non funzionasse nell’imbonimento di Angela Merkel, quale inarrestabile tutore della “germanità”.

La crisi ucraina è stata per la Germania un duro risveglio, ma anche un tagliente spartiacque dall’alto del quale si cominciano a intravedere i lati oscuri di tutto quello che ha rappresentato l’eccesiva durata di un’era di potere incontrollabile: la dipendenza energetica, l’uscita affrettata dall’energia atomica, lo scarno bilancio per la difesa, la sovranità europea, perfino la pandemia.

Scelte e giudizi che non hanno resistito nemmeno al primo soffio di vento, figuriamoci al tempo.

Si potrebbe dire che un fantasma si aggira per la Germania, mettendo in imbarazzo l’attuale governo, e forse obbligandolo a scelte più (e veramente) europeiste se vuole mantenere le tradizionali distanze e distinguo dall’abbraccio a stelle e strisce.

Certamente bisogna risalire ai precedenti, alle condizionanti, cominciando da una costituzione tedesca ideata in forma penalizzante per esorcizzare l’espansionismo tedesco e gli errori/orrori di una dittatura, con dettami che formalmente limitano l’impiego delle FFAA ed impongono il divieto di inviare armi a nessun titolo verso Paesi coinvolti in un conflitto.

In questo contesto formalmente limitante va collocata la doppia mossa di Olaf Scholz, cercando di capirne il significato.

Per la prima mossa, la conferma dello stanziamento straordinario e del mantenimento della quota del 2% del bilancio federale è davvero un rivolgimento così importante? Sarebbe il sintomo di una nuova presa di coscienza?

La prima mossa è un impegno, vecchio, che il Governo tedesco (al pari di altri, compreso quello italiano) non ha mai onorato, ed è probabilmente anche il riconoscimento del cattivo uso degli ultimi dello scarso bilancio per la difesa e del decadimento quantitativo e qualitativo delle FFAA tedesche, con la Bundeswher al minimo.

Un risveglio, un brusco richiamo della politica dal lungo sonno nei confronti della difesa nel quale tutti sono stati cullati così a lungo, con deleghe inappropriate e tacitazione degli esperti.

La seconda mossa, facendola pesare come una indigesta e sofferta violazione della costituzione, è un messaggio accattivante non alla NATO ed agli europei ma agli statunitensi, di allineamento alla politica militare USA per mantenere a favore della Germania una sorta di primato e di previlegio sugli altri alleati; nella sostanza è gioco delle tre tavolette, un furbo escamotage: le armi verranno inviate non direttamente, ma, vigente la costituzione attuale, ad un Paese terzo (Paesi Bassi o Polonia o forse Estonia, se questa accettasse di esporsi) e da qui in Ucraina.

Lavoro pulito, lavoro sporco e rischi agli “intermediari” di passaggio

Nessun cambio, sino a questo punto, anzi addirittura una conferma negativa su una politica tedesca incapace di voler e poter scegliere in misura adeguata al ruolo che pretende mantenere.

Come già nel caso della finanza di tratta di massimizzare i pochi fatti, non pagare i costi, raccogliere possibilmente i frutti della ricostruzione e dei riposizionamenti nel momento di una pace.

Un gioco che conviene, ed è assecondato nell’ immediatezza (condivisione del vuoto, delle debolezze e delle responsabilità) dall’attuale amministrazione americana, che ha bisogno di dimostrare al proprio elettorato credibilità ed un ruolo egemone: un gioco tra due compari, ma reggerà solo fino ad un certo punto.

A ulteriore conferma che la Germania non vuole stravolgere la propria inazione (al limite dell’opportunismo) è lo stesso discorso con cui si annuncia l'invio di armi, ovvero la risposta inevitabile ed indispensabile alla “minaccia del nostro intero ordine del dopoguerra”.

Un invio di armi che si inscrive, perlomeno ufficialmente (ma con ulteriori significati che vedremo più sotto), nell'ambito di una conservazione dell'esistente e dei relativi rapporti di potere.

La sottolineatura dell’ordine esistente è un messaggio che i tedeschi inviano a Washington, essendo l’ordine in questione quello di un dominio americano dell’Europa, sancito dalla vittoria nel 1945 e inteso ad annichilire qualunque risorgere della potenza tedesca nel continente (oltre che ad allontanare Mosca all’insorgere della guerra fredda).

Un gioco sottile, che sfugge all’opinione pubblica ed al giornalismo di attualità, fatto anche di messaggi trasversali, uno dei quali è la motivazione e la continuità dell’asse franco tedesco (utile anche per la leadership di fatto e di veto della UE).

Quando è stato opportuno, e conveniente per la politica del momento, la Germania non ha esitato a partecipare a missioni militari (non ultima nel Sahel) ma è comodo presentare ed insistere che qualunque atto o apporto che sia richiesto alla Germania è in contraddizione alla sua costituzione, dando sempre al governo tedesco margine di manovra e discrezionalità nei rapporti con alleati e partner: tutto viene fatto segnalandone non solo la sua natura innocua, ma anzi presentandolo addirittura come difesa dello statu quo, addirittura della sottomissione a regole inique che gravano ancora sulla Germania, paese che pertanto agisce solo “per il mantenimento dell’ ordine” costituito... una comoda interpretazione superata persino dal Giappone, che dal trattato di pace era stato persino più penalizzato della Germania.

Un gioco sottile che la Germania conduce coerentemente sin dalla nascita dell’Unione Europea: espressione di questo è il cosiddetto asse franco-tedesco.

Come opportunamente hanno notare altri analisti, di tratta solamente di uno scambio, quasi di bassa politica, con vantaggi ed ampio risalto geopolitico per la Francia, paese “vincitore”, membro permanente nei consessi sorti dopo la 2^GM e con regole leonine: la Francia, sempre alla ricerca della grandeur ed del relativo riconoscimento ha ottenuto grazie alla Germania il peso ed il potere contrattuale che non avrebbe; la Germania, per contro, impossibilitata dal contesto postbellico ad assumere una leadership riconosciuta, timorosa delle reazioni se dovesse muoversi da sola, ottiene da quest’asse riconoscimenti di azioni ed interessi europei, non esclusivamente tedeschi, posizione che spesso ricorda quella del pescecane e del pesce pilota, e strumento abusato, soprattutto in passato, per legittimare qualunque propria mossa.

L’ennesimo richiamo all’asse franco tedesco, con la contemporaneità degli annunci in occasione della crisi ucraina, è un messaggio ambiguo agli Sati Uniti, ed alle stringenti e per questo permissive esigenze di Biden, ma proprio la sua ambiguità è il riconoscimento nei confronti di Washington della mancanza di una vera autonomia, e soprattutto di non avere velleità al riguardo.

Aprendo una parentesi, peraltro necessaria, in termini di ambiguità, neppure la Francia, nel quadro appena tracciato è esente né da forme né da interessi

La Francia è tra i paesi che hanno meno possibilità di azione in questo conflitto ucraino, e quindi ha tutto l’interesse a far diventare ufficialmente europeo l'aiuto tedesco, impedendo allo stesso tempo alla Germania di intestarsi anche il sostegno dato da altri Paesi collegati al sistema tedesco.

Un passaggio ed una disponibilità comodi per gli USA, per limitare il peso tedesco, che ricambiano l’aiuto ricevuto, dalla Francia, con una solidarietà che serve a dimostrare non fattibile se non impossibile un risorgere della potenza tedesca raccordata a quella russa.

Una rassicurazione – che tradotta in termini lineari potrebbe essere definita “partecipazione al controllo americano sugli attuali assetti ma anche sulla Germania” - che in tal modo viene estesa ai paesi “minori” dell’Europa centrale, quelli che negli ultimi decenni si sono mossi insieme alla Germania (ed altro non hanno potuto fare).

Una rassicurazione statunitense per una alternativa ad una loro partecipazione (sottomissione) ad una rinascente sfera tedesca, dopo quell’asse russo tedesco che sembrerebbe ormai tramontato.

La storia ed i timori hanno cicli, si ripetono dopo ottant’anni che sembravano aver steso un manto di pace sull’Europa (cresciuta forse troppo rapidamente sotto l’aspetto economico e troppo poco sotto l’aspetto politico: le armi del passato, di un’Europa frammentata, il valore dei soldi negli ultimi decenni di supposta prosperità, l’ombra delle armi oggi… sfera d’influenza domani?

Quali sono le paure di oggi, forti nei paesi minori, estreme nei paesi dell’ex blocco sovietico, Polonia in primis?

La principale paura percepita, nel momento attuale è la Russia, ma per essere sicuri l’unione deve essere forte e solida, occorre chiarezza, e tutti, USA e paesi europei limitrofi, non solo vogliono una NATO più forte e soprattutto più agile e più dinamica ma vogliono anche spingere la Germania a definirsi, sino a scontarsi con la Russia.

Al contrario Scholz, nel condannare ripetutamente l’intervento contro l’Ucraina, ha ribadito spesso che si tratta della guerra di Putin, non dei russi, contro Kiev.

Come a dire… tolto lui, la Germania riprenderà ad avvicinarsi alla Russia?

Questo non è certo motivo di rassicurazione

Non si mettono in dubbio né la NATO né la UE, ma i comportamenti di uno dei fattori ed attori principali, ed il peso che allo stesso si è dato (o si è preso) da parte di partner deboli ed altrimenti impegnati ed altrimenti troppo dipendenti da rapporti bilaterali.

Chiedendo chiarezza, spingendo allo scontro i due Paesi dopo decenni di pericolose compiacenze (e sintonie Merkel – Putin), si asseconda un dominio americano che è per sua natura antitedesco, e quindi funzionale ai paesi di frontiera.

Facendo un’ultima considerazione, se si arrivasse, anche attraverso il conflitto in Ucraina, ad una certa ridefinizione stabile, condivisa e riconosciuta delle frontiere russe nell’Est-Europa, che in qualche modo tranquillizzi le insicurezze strategiche di Mosca, e nel farlo si consolidasse anche l’appartenenza tedesca al campo americano, erodendone i rapporti con la Russia, Washington, in procinto della vera sfida con la Cina, che sarà sempre più pesante, avrebbe un ulteriore vantaggio nella partita decisiva del futuro.

Gli Stati Uniti stanno forse già ottenendo risultati propiziando un fossato russo-tedesco, utilmente allargato, tutto da vedere invece sul futuro delle frontiere con la Russia.

La sottomissione tedesca ribadita ha però un prezzo che gli americani nel futuro faranno valere, anche per impegni tedeschi ed UE nello scacchiere globale.

Difesa comune europea?

Per il momento un’eterea aspirazione che non ha paternità ma fondamentalmente una madre interessata, la Francia, con la Germania obbligatoriamente al seguito, ma una Difesa Europea comune non ha alcun significato senza l’Unione Politica e non solo economica (la UE).

Solo miraggi se non si trovano nuovi padri fondatori, e si rischia di rimanere un’altra volta sotto l’ombrello protettivo USA, variabile, a volte solido, imponente e condizionante, troppe volte tentennante ed in disimpegno...

Gian Carlo Poddighe (CESMAR)

Foto: Bundeswehr