Astensionismo: preludio della fine dei regimi

(di Gino Lanzara)
11/03/24

Dopo 83 anni torna sugli schermi Quarto Potere, riflessione sull’egemonia mediatica coincidente con una tornata elettorale planetaria. Si è votato, e si rivoterà, anche in Iran, in un contesto politico mai così complesso; il governo di Dio, ad oltre 40 anni dalla caduta dello Shah, si trova ad un bivio, dovendo scegliere tra isolamento e polarizzazione.

Teheran vanta il poco invidiabile record del più alto tasso globale pro capite di esecuzioni1, una realtà così drammatica da costituire nel 2020 oggetto di un film iraniano, Il male non esiste2, che richiama alle Riflessioni sulla pena di morte di Camus del 1957, autore forse poco presente nelle ultime 4 decadi nelle librerie iraniane vista la sua repulsione verso la violenza specialmente quando esercitata dalle istituzioni. È innegabile che sul percorso politico iraniano continui a dipanarsi il costante filo rosso della violenza non sempre trattenuta da considerazioni tali da dissuadere saggiamente dal sollecitare oltre il limite l’egemone americano, che deve tuttavia prendere coscienza dell’inaggirabilità regionale di Teheran; gli iraniani sanno che le loro scelte non derivano esclusivamente da dinamiche interne, ma traggono spesso spunto da relazioni esterne, non ultima quella con la Cina che, nell’area, coltiva grandi interessi economici.

Difficile non supporre che esista un tavolo negoziale permanente tra Teheran e Washington, mentre Hezbollah e Houthi destabilizzano l’area. Nel contesto vanno considerati i ruoli interpretati dagli USA, per cui all’isolazionismo nazionalista di Trump si accompagna la velleità del rinunciatario leading from behind obamiano.

Dal ’79 l’Europa si infatua di Khomeini e del khomeinismo; intorpidito da un’assuefacente ed inconsapevole regressione culturale e politica l’Occidente non ipotizza nulla sul futuro, eccezion fatta per Oriana Fallaci, permettendo di celebrare il ritorno della reazione e l’apertura all’integralismo.

Negli ultimi 25 anni gli iraniani reclamano un cambiamento sociale alternando le proteste di piazza a quelle elettorali fino all’attuale stallo: la repressione si accompagna all’estinzione di qualsiasi fremito di competitività da suffragio, resa inerte dalla bocciatura delle candidature operata dal Consiglio dei Guardiani3; mentre anche l’opposizione stenta nell’offrire un’alternativa pur con l’apertura mediatica offerta dal movimento Donne, Vita, Libertà, in luogo della partecipazione elettorale prende forma l’idea di un regime change quanto mai difficile, contornato dal tangibile aumento del tasso migratorio e da una concreta e poco ascetica crisi economica4.

Inflazione, corruzione e crescita esangue hanno colpito il ceto medio; l’estensione delle sanzioni statunitensi ha richiesto ulteriori stanziamenti per il sostegno globale degli affiliati anti-USA con un deficit aggravato dalle insufficienti entrate pubbliche non sostenute dall’annunciato aumento della pressione fiscale al 50%. Data l’inflazione, l’espansione del bilancio non può sostenere alcuna crescita visti anche i mancati introiti dalla vendita di idrocarburi5. A causa delle incertezze politiche ed economiche gli iraniani convertono i loro risparmi in valuta estera e oro per la copertura del risparmio contro il deprezzamento della valuta nazionale; dato l’ovvio insuccesso delle politiche economiche, non si trova di meglio che aumentare l’offerta di moneta modello Germania 1923, per soddisfare obblighi di bilancio che tuttavia non contemplano il soddisfacimento dell’aspirazione ad un miglior tenore di vita. Apparentemente paradossale la valutazione del rischio legato al fenomeno terrorista, che vede gli USA mettere all’indice la Repubblica Islamica mentre Kerman è colpita da uno degli attentati più sanguinosi della storia dell’Iran, paese sciita incastonato in una regione sunnita, unica entità geografico-economica tuttavia politicamente in grado di alleviare le sorti di Paesi schiantati da guerra e crisi economica anche quando solo sfiorati dall’Iran.

Le elezioni per Majilis e Assemblea degli Esperti, data l’esigua affluenza alle urne da parte della classe urbana media e con l’affermazione dei conservatori, sono servite unicamente a coprire la scena con un’inconsistente pellicola di legittimità politica6. Invece di analizzare i perché di una debacle istituzionale, al netto del sunset boulevard delle opposizioni, è apparso più agevole cercare cause esogene, respingendo candidati come l'ex presidente Hassan Rouhani, percepito dall’ensemble popolare solo come elemento perdente della competizione tra inarrivabili sfere celesti. Qualsiasi attore politico sia pur anche solo ipoteticamente in grado di agire al di fuori del cerchio magico del consenso è messo all’indice, anche perché Khamenei stesso, al vertice dal 1989, sa perfettamente che l’indecisione di fronte all’opposizione è stata la causa scatenante della caduta dello Shah7. Non esiste nessuna possibilità di compromessi: the winner takes it all, e le assemblee elettive servono solo alle vidimazioni simboliche, tali magari da permettere la controversa successione dinastico-religiosa tra Khamenei e il figlio Mojtaba. Non è dunque così peregrina l’ipotesi che qualsiasi sollecitazione per un cambiamento politico giunga più dalle piazze con un revival dell’Onda Verde del 2009 che non dalle urne, anche perché solo il voto conferisce legittimazione politica e consenso che, in quanto inesistenti, non consentono passaggi di potere tra nessuno, figurarsi tra guide supreme.

Di fatto gli iraniani hanno espresso il dissenso verso un sistema post-rivoluzionario ormai datato, incapace di riformarsi internamente e che respinge le spinte centrifughe volte ai cambiamenti radicali.

Le percentuali di affluenza, le più basse dal 79, pur non configurando un vero e proprio crollo8, si pongono sulla scia delle tendenze ribassiste precedenti. Eppure queste elezioni sono state importanti; intanto si è trattato della prima consultazione dopo le proteste generate dall’omicidio di Mahsa Amini9 da parte della polizia morale, ed in secondo luogo interessano l’Assemblea degli Esperti che, verosimilmente, sarà chiamata ad esprimersi sulla vera posta in gioco, ovvero sulla scelta della prossima Guida Suprema. In tema, data l’attuale penuria di candidati in odore di trascendenza contemplativa, mai così incongrua con le attuali politiche clericali, si avanza l’ipotesi di una prolungata fase di evoluzione istituzionale in grado di segnare la fine della teocrazia, un’eventualità che, privilegiando il profano, si associa sia ai mutamenti generazionali intervenuti, sempre meno affini al sentire religioso e molto più compatibili con il sistema instaurato dai Pasdaran, sia all’eventualità che i Pasdaran stessi possano non avvertire più la necessità del sostegno politico degli Ayatollah.

Quel che è certo è che l’esito elettorale, per i moderati, altro non è stato che la cronaca di una morte annunciata, preceduta da una campagna elettorale risibile10 che non ha permesso l’espressione di tutte le tendenze politiche, a cominciare da moderati (centristi) e riformisti (progressisti), sempre più ai margini.

Alla fine delle fini, è il partito dellastensione ad imporre le sue criticità, rabbiose e disilluse; è l’affermazione silenziosa e assordante di un malessere che, in una democrazia purché matura, segna la fine del patto tra società e politica. Sono mancati i punti di riferimento istituzionali, è crollata la fiducia; con un paragone economico, l’offerta politica ha sopravanzato troppo e male la domanda. L’astensionismo, dato non manipolabile e termometro della riuscita elettorale, impersona quindi l’alienazione dalla politica; è il segnale del disincanto e dell’insuccesso sia di maggioranza che di opposizioni in un sistema che, a Teheran, demanda le decisioni più importanti alla Guida Suprema.

Le crisi di consenso e legittimità iraniane si riflettono dunque in una più ampia sfiducia nella politica, una sorta di sindrome non limitata a Teheran ma estesa ovunque la società cerchi una rivalsa: la democrazia si trova improvvisamente senza demos; attenzione dunque all’astensionismo d’opinione, che certifica una precisa consapevolezza politica tarata su nuovi possibili equilibri politici con Israele e Pakistan, accomunato a Teheran da una convulsa tornata elettorale, e con Ankara, democrazia illiberale sotto alcuni aspetti affine alla teocrazia persiana.

A cercar di comprendere qualcosa di più di Iran, curiosamente si giunge a quanto di più di apparentemente distante ci sia, la ricerca del buon senso di Giovanni Sartori, ed il voto secondo Norberto Bobbio: nella società di massa il voto di opinione sta diventando sempre più raro: oserei dire che l’unica vera opinione è quella di coloro che non votano perché hanno capito o credono di aver capito che le elezioni sono un rito cui ci si può sottrarre senza grave danno, e come tutti i riti, ad esempio la messa alla domenica, sono in fin dei conti una seccatura.

Chiaro, no?

1 Nel 2023 l’Iran ha giustiziato 834 persone, dopo le 972 del 2015.

2 Di Mohammad Rasoulof

3 I membri sono tutti nominati dalla Guida Suprema

4 Secondo Gallup esiste un forte dissenso sia per il sostegno alla Russia nel conflitto ucraino sia per le tensioni con l'occidente relativamente al programma nucleare; il rischio di queste elezioni è che si trasformino in un manifesto del malcontento popolare. I dati evidenziano il 61% degli under 30 che disapprova la leadership, mentre il 43% tra i 15 e i 29 anni ha espresso il desiderio di espatriare definitivamente.

5 l'Iran ha offerto prezzi scontati alla Cina e la fornitura gratuita alla Siria; inoltre ha dovuto affrontare l’evaporazione dei proventi idrocarburici a causa di meccanismi finanziari che coinvolgono vari intermediari e società di copertura, che acquistano il petrolio iraniano a prezzi inferiori rispetto a quelli di mercato. Altro fattore che ha spinto i ricavi al di sotto dei livelli è stato lo stallo del commercio cinese nel gennaio 2024, per la decisione iraniana di ridurre le forniture scontate a Pechino.

6 Giovanni Sartori, Una democrazia senza nemici diventa una forma politica senza alternative legittime, senza rivali sul piano della legittimità.

7 Hassan Rouhani dichiarò che se lo Shah avesse accettato di tenere libere elezioni, avrebbe potuto impedire la Rivoluzione.

8 Il ministro dell'Interno Vahidi ha dichiarato che al voto hanno partecipato 25 dei 61 milioni aventi diritto e ha dichiarato altresì che circa il 5% dei voti espressi erano non validi. Il presidente Ebrahim Raisi ha elogiato l'affluenza appassionata descritta come un colpo estremo agli oppositori della Repubblica islamica. Alcune fonti hanno dichiarato alla BBC che si tratta in realtà della percentuale più bassa di partecipazione di sempre e che addirittura in realtà sia di molto inferiore del 41%".

9 Da registrare, non a caso, il bassissimo numero di donne elette (11) al Majilis

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Foto: IRNA