A Berlino si chiacchiera, in Libia si continuerà a morire

(di Pasquale Preziosa)
20/01/20

Sono in molti coloro che si chiedono cosa abbiano concluso, a Berlino, i grandi Paesi e le grandi organizzazioni internazionali.

La risposta più semplice è: poco o quasi nulla.

La Russia non poteva concedere più di quanto già raggiunto a Mosca.

Gli USA sono stati forzati ad intervenire alla riunione di Berlino ma tutti gli impegni di politica estera sono stati rimandati dopo il prossimo novembre.

L’Unione europea non ha messo sul tavolo alcuna soluzione europea richiesta anche dall’Italia.

L’Unione africana ha mantenuto il solito basso profilo politico e quindi di non rilevanza nel contesto decisionale.

La coalizione pro Haftar: Egitto, EAU e Arabia Saudita hanno difeso la loro posizione, in contrapposizione a Sarraj e al nuovo arrivato, la Turchia e il Qatar.

Nessuno, nella riunione di Berlino, ha evidenziato che l’unico leader sanzionato dall’ONU è stato Sarraj, nessuno ha contestato l’accordo Sarraj-Erdogan per la autonoma e arbitraria suddivisione della ZEE.

Il vecchio piano strategico che voleva che il futuro della Libia fosse deciso dai libici è oramai tramontato.

Le potenze regionali e quelle europee, in vario modo, hanno alterato il quadro iniziale iniettando nella martoriata Libia, le proprie ambizioni geografiche, storiche ed energetiche.

Il quadro geostrategico stabilito dopo Berlino appare chiaro a molti analisti.

In Libia si sta riproducendo la stessa situazione politica di instabilità presente in Iraq, in Yemen e in Afghanistan, dove gli interessi geopolitici dei singoli prevalgono sugli interessi alla stabilità, con l’aggiunta degli interessi energetici.

Per la parte energetica, il primo messaggio letto da molti è il seguente: per la disputa franco italiana sulla leadership in Libia è prevalsa invece quella turca con un bel piano strategico sullo sfruttamento delle risorse energetiche naturali: i due paesi europei avrebbero fatto meglio se avessero lavorato insieme, ormai è troppo tardi.

In coerenza con i propri obiettivi, la Francia supporta Haftar, mentre l’Italia ha sempre supportato Sarraj che però non ha disdegnato di concludere gli accordi con la Turchia anche contro gli interessi italiani.

La Turchia è oggi alla ricerca di fonti energetiche per abbassare i rischi della Sicurezza Nazionale legata alle elevate importazioni di prodotti energetici.

Vi è un altro obiettivo per la Turchia ed è di carattere religioso, chiamiamolo più populista. La Turchia assieme al Qatar sono stati più volte citati quali principali finanziatori dell’organizzazione dei fratelli musulmani.

Erdogan ha accusato Al Sisi per la morte in carcere del presidente Morsi, appartenente ai fratelli musulmani, prima deposto e poi arrestato. Al Sisi ha messo al bando i fratelli musulmani in Egitto pertanto, le relazioni Egitto-Turchia sono insanabili.

Sotto il profilo geopolitico, la Turchia ha già basi in Sudan e Somalia che le danno accesso ai mari Rosso e Arabo, ma vuole una base nel Mediterraneo orientale per sfidare e fare pressione sui paesi quali: Cipro, Grecia, Israele ed Egitto.

L’intervento della Turchia in Libia vede il 58% dei cittadini turchi contrari.

A supporto di Al Sisi che ha interesse sulle risorse energetiche libiche, vi sono sia gli Emirati Arabi Uniti sia l’Arabia Saudita (oltre a Giordania, Sudan e indirettamente Francia), i quali hanno solo l’interesse a sostenere la lotta interna contro i fratelli musulmani che vengono percepiti quale forza antagonista per le monarchie del Golfo: l’agenda islamista turca è molto differente da quella dell’Arabia Saudita.

Quale espressione militare e politica dei tre paesi in Libia vi è il gen. Haftar, leader secolarista, il quale, pur avendo poco séguito da parte dei libici e molto seguito da parte dei tre paesi menzionati con il supporto dei mercenari del gruppo Wagner (russi).

La Russia è stata sempre dalla parte dell’Egitto, ma si è proposta per la riunione a Mosca per il processo di de-escalation poi confermato a Berlino, su spinta della Turchia, perché conveniente per entrambi i paesi: i conflitti costano e le economie dei due paesi non sono floride, anzi.

L’ingresso della Turchia nello scenario libico, ha portato la Russia a modificare i suoi piani strategici.

La Russia persegue ora, sia gli obiettivi di essere coinvolta nella ricerca delle risorse energetiche in Libia, sia di avere un punto di appoggio navale presso Tobruch, per coprire il mediterraneo orientale in congiunzione con la base navale di Tartus in Siria. Con queste premesse, e in mancanza di ulteriori sprazzi di saggezza geopolitica, la Libia si avvia nei prossimi dieci, quindici anni a percorrere le tortuose strade dell’instabilità, con infiltrazioni terroristiche che troveranno un ulteriore teatro, più vicino all’Europa, dove ricreare le minacce conosciute.

La conferenza di Berlino arriva troppo tardi: lo scenario oggi è molto più complesso rispetto a qualche anno fa e comunque tutte le riunioni tenute, sino ad ora, per la Libia non hanno prodotto risultati rilevanti.

L’ONU è da anni che non riesce a “favorire la soluzione pacifica delle controversie internazionale, mantenere la pace e promuovere il rispetto per i diritti umani”.

L’Unione europea, dopo la ulteriore indisponibilità a praticare la politica estera, continuerà sui lineamenti già conosciuti di politica monetaria, finanziaria e di bilancio, con bassa rilevanza internazionale.

L’Italia non ha avuto successo per le sue proposte: né per la “no fly zone”, né per i caschi blu per il controllo della situazione sul terreno, le nostre iniziative non hanno quasi mai seguito.

L’Italia dovrà prepararsi ancora di più per fronteggiare le ondate migratorie: perché potrebbero far parte degli strumenti di pressione da parte dei paesi che hanno più influenza sulla Libia. L’Intelligence dovrà lavorare ancora di più per assicurare i buoni livelli di sicurezza fino a ora registrati.

Foto: presidenza del consiglio dei ministri / presidency of the republic of Turkey / Cremlino