Dove va l’Unione Europea?

(di Renato Scarfi)
04/08/22

La riflessione strategica dell’UE è sempre andata avanti con difficoltà, per effetto della spesso diversa visione dei suoi membri. Tuttavia, le posizioni si sono avvicinate in modo significativo prevalentemente in occasione di grandi crisi. Lo scoppio della guerra in Bosnia (1992-1995), per esempio, ha fornito la spinta finale per l’approvazione della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC)i. Con la guerra in Kosovo (1998-1999) è poi iniziata una riflessione che ha dato origine alla Politica di Difesa e di Difesa Comune (PSDC), divenuta parte integrante e uno degli strumenti principali della PESC. La guerra in Iraq ha, inoltre, visto l’adozione della Strategia europea in materia di sicurezza (2003) con la quale, per la prima volta, l’Europa ha stabilito principi e fissato obiettivi chiari per portare avanti gli interessi comunitari in materia di sicurezza in base ai nostri valori fondamentali. Nel 2016, dopo l’invasione della Crimea da parte della Russia, l’Europa ha infine adottato la Strategia globale di sicurezza europea, con la quale sono state identificate le priorità per la politica estera dell’Unione.

La Bussola strategica europea, nata il 25 marzo di quest’anno, rappresenta un salto di qualità nel pensiero strategico europeo e costituisce un tentativo di fare dell’UE un importante attore della sicurezza internazionale (leggi articolo “Difesa europea: opportunità o miraggio?”). Anche in questo caso, la presenza di una guerra ha accelerato l’aggregazione attorno ai principi del documento. Più precisamente, il nuovo concetto viene declinato in quattro “pilastri” che, in estrema sintesi, possono essere identificati con “agire”, “investire”, “assicurare” e “cooperare”.

Sotto il profilo pratico, gli effetti più rilevanti del nuovo concetto sono stati la decisione di costituire, entro il 2025, una capacità di reazione rapida europea forte di 5.000 uomini, la volontà di sviluppare in tempi relativamente brevi una “strategia spaziale” europea e la determinazione di sviluppare la collaborazione tra i membri per contrastare la disinformazione e la possibilità di ingerenze straniere nell’ambito dell’informazione pubblica.

In estrema sintesi, la Bussola strategica riconosce che la sola potenza economica non è più sufficiente per garantire sicurezza e stabilità, e che l’UE si deve dotare di strumenti comuni di sicurezza più “robusti”, da impiegare prevalentemente come credibile dissuasione, ma anche come efficace forza coercitiva, qualora la situazione lo renda indispensabile. Un vecchio adagio recita, infatti, “Parla con toni moderati, ma porta con te un grosso bastone”. Si tratta, in sostanza, di rafforzare - con un’iniziativa comune - le capacità di difesa nazionali per portarle a livelli credibili, se impiegate congiuntamente sul piano europeo.

Questo obiettivo dovrebbe essere raggiunto mediante il coordinamento europeo delle operazioni militari a sostegno delle iniziative di politica estera, l’utilizzo degli strumenti finanziari europei già esistenti (il Fondo Europeo per la Difesa), la razionalizzazione delle spese per la produzione in comune di armamenti e nuove regole europee di bilancio in materia di investimenti, inclusi quelli per la Difesa, vitali per la sicurezza dei cittadini.

Con questo documento, quindi, si è finalmente manifestata la volontà dei paesi membri e delle Istituzioni europee di rilanciare il processo di integrazione alla luce delle sfide, vecchie e nuove, alle quali l’Europa è chiamata, e in risposta alle attese dei cittadini. Queste attese vanno registrate e tenute in attento conto ai fini delle azioni concrete da intraprendere, senza inseguire progetti velleitari. Obiettivi molto rilevanti per la sicurezza e il benessere dei cittadini e la difesa dei valori europei sono iscritti da tempo nei trattati, ma sono finora rimasti in buona parte inattuati, per mancanza di volontà politica dei governi e/o di strumenti giuridici adeguati previsti nei trattati stessi.

Fino alla sua completa realizzazione, tuttavia, la Bussola strategica rappresenta “solo” una dichiarazione di intenti che dovrà trovare ulteriori significative (e si presume faticose) convergenze per il raggiungimento degli obiettivi dichiarati.

Sul piano istituzionale, per esempio, non c’è ancora alcuna indicazione circa gli incontri regolari tra i titolari dei Dicasteri della Difesa, indispensabile per il coordinamento complessivo.

Sul piano industriale, inoltre, se da un lato si invitano i membri ad aumentare i bilanci e la cooperazione in materia di Difesa, non si fa riferimento ai principi secondo i quali può essere ottimizzata la produzione industriale europea degli armamenti. Eppure, per cifre spese, l’UE è la terza al mondo (dopo USA e Cina) ma presenta un catalogo vastissimo ed estremamente diversificato di materiale di armamento in dotazione, che la rende meno competitiva sotto il profilo della coerenza produttiva. Ciò rende il mercato europeo meno credibile rispetto alla concorrenza.

Sul piano capacitivo, il documento non fornisce alcuna indicazione concreta circa il superamento delle limitazioni politiche nazionali che potrebbero frenare la creazione, per esempio, della citata capacità di reazione rapida europea. Limitazioni che hanno finora reso abbastanza difficile il processo di generazione delle forze per le missioni all’estero, come peraltro ripetutamente sottolineato dal generale Graziano, presidente del Comitato Militare UE (oggi, presidente di Fincantieri, ndd).

In merito allo sviluppo di una strategia e capacità spaziale, l’Italia sta portando avanti un progetto, denominato “SIMONA” (Sistema Italiano Messa in Orbita da NAve) che, nell’ambito del Piano Nazionale di Ricerca Militare (PNRM), intenderebbe sviluppare un sistema di allontanamento di un vettore orbitale, prima di comandarne l’accensione, da utilizzare su piattaforma navale. Nella fattispecie si tratterebbe di impiegare Nave Garibaldi, che a breve giungerà al termine della sua vita operativa, come piattaforma per il lancio di piccoli satelliti. Si tratterebbe di una soluzione innovativa in grado di dare lustro e vantaggio strategico all’Europa e prestigio all’Italia, oltre che garantire significative ricadute economiche e industriali (leggi articolo “Spazio, la nuova frontiera”).

Sul piano dell’autonomia strategica europea, infine, la Bussola indica la NATO come elemento principale della sicurezza del vecchio continente. In questo settore, l’aggressività dimostrata dalla Russia ha anche portato l’UE a formulare la volontà di accrescere la propria difesa nucleare, rafforzando l’ombrello di protezione. Ciò ha portato, per esempio, la Germania a dichiarare la volontà di acquisire i velivoli F-35.

In tale ambito, tenuto conto delle a volte significative diversità di vedute per l’applicazione pratica dei principi sui quali si è trovata la convergenza, i paesi desiderosi di partecipare a una integrazione più avanzata in materia di Difesa potrebbero istituire tra di loro una “cooperazione rafforzata”, retta da regole specifiche. Tuttavia, non è da escludere che i paesi eventualmente contrari possano cercare di rallentare il processo anche se, trattandosi di politica della difesa, il trattato prevede che, per autorizzare una cooperazione rafforzata in questo settore (definita “cooperazione strutturata permanente”), il Consiglio possa decidere a maggioranza qualificata. Una cooperazione rafforzata cui potrebbero far ricorso gli Stati che rispondano a criteri più elevati in termini di capacità militari e che intendano assumere responsabilità più vincolanti ai fini delle missioni più impegnative.

Si comprende, quindi, come la sola Bussola, nonostante l’importante dichiarazione di intenti, non sarà in grado di garantire la sicurezza europea senza una coerente, duratura e sufficientemente diffusa determinazione politica, che permetta di mantenere saldo il timone nella direzione indicata e, così, di costruire una credibile cornice di deterrenza e sicurezza per le popolazioni del vecchio continente, al fine di scongiurare i pericoli che minacciano l’Europa alla soglia della sua casa quali, per esempio, la rinnovata aggressività russa, i conflitti nel Medio Oriente e i loro rigurgiti nel Mediterraneo (allargato), l’instabilità e l’insicurezza del continente africano (leggi articolo “L’instabilità africana e le sue conseguenze geopolitiche”).

Il punto cruciale, quindi, è quanti e quali Stati europei si riconosceranno in questo progetto di sicurezza europeo, che per essere efficacemente realizzato ha bisogno di una significativa massa critica. Nell’attuale storica contingenza, è una verifica da fare con una certa urgenza. L’alternativa potrebbe essere la sconfitta definitiva del progetto europeo nel suo complesso.

i Trattato di Maastricht, entrato in vigore il 1 novembre 1993

Foto: U.S.Army