C’era una volta, ma forse ora non c’è più, un sogno di pace dall’altra parte del Mediterraneo, in una terra libica legata da oltre cento anni nel bene e nel male con l’Italia. Questo sogno non c’è più e nulla sono valsi gli ingenti investimenti di miliardi di euro di questi ultimi anni, bruciati da una visione troppo corta e provinciale. L’Italia è fuori dai giochi nonostante le visite recenti intese a salvare il salvabile. Il grande business che poteva unire l’Italia alla Libia è sfumato dall’intraprendenza internazionale che mira ad un frazionamento del ricco Paese
Nel pasticciaccio di fronte a casa, tutto potrebbe cambiare rapidamente. In Libia il presidente Erdogan ha firmato con i suoi alleati un patto di protezione per assicurare una continuità al GNA di al-Sarraj, estendo la sua rete capillare di controllo, ma qualcosa si muove nella palude libica. Ne abbiamo parlato in un articolo precedente e stiamo continuando a seguire perché non c’è limite al peggio, e potrebbe succedere vicino a casa nostra.
Evoluzione o devoluzione interna per il popolo libico?
Di fatto la situazione mostra la contrapposizione dei due schieramenti principali, il Governo di accordo nazionale (GNA) tripolino di Serraj, che sembra sopravvivere solo grazie al supporto militare dato da Turchi e Qatarini, e l’Esercito nazionale libico (LNA) del generale Haftar supportato da Russi, Egiziani e Emiratini in Cirenaica.
Non sono i soli a combattersi in questo pasticciaccio alle porte di casa nostra e la loro presenza sul suolo libico è destinata a mantenersi per lungo tempo… basti pensare alle concessioni di uso alla Turchia delle basi in Cirenaica e ad al-Watiya per 99 anni dietro un compenso politico ma anche di tanti dollari. Per la Turchia significa ristabilirsi in un’area di grande interesse economico dove, sin dai tempi di Gheddafi, aveva investito quasi 30 miliardi di dollari.
Ma esistono anche ragioni storiche. Taiyyp Erdogan non dimentica che, a seguito della guerra italo-turca, la Libia fu annessa dal Regno d'Italia dopo oltre tre secoli di dominazione, e oggi può ritornarci con le sue truppe sotto forma di un "protettorato non ufficiale". Si tratta di un altro punto acquistato dal presidente turco davanti al suo elettorato a coronamento di una politica estera aggressiva ed intelligente, anche se a scapito anche del nostro Paese.
Ovviamente i vantaggi di Ankara non sono solo nel prestigio e nel consenso interno, ma anche nei guadagni del mercato petrolifero in cui gli investitori turchi potrebbero investire miliardi di dollari strappando alle compagnie straniere le loro fette di mercato.
A Tripoli, nel mese di agosto si sono intensificate le proteste popolari per il peggioramento delle condizioni di vita con continue interruzioni dei servizi più importanti, e la corruzione governativa. Recentemente sono state usate armi da fuoco per disperdere i manifestanti ed al-Sarraj ha imposto un coprifuoco di 24 ore per quattro giorni con la scusa di voler “contrastare il nuovo coronavirus”, una mossa vista come una tattica per frenare le proteste. Intanto le bocce non hanno smesso di girare.
Si combatte nella Sirte
Secondo l’emittente satellitare al Arabiya, al largo delle città di Sirte, Ras Lanuf e Brega, unità navali della milizia del GNA hanno iniziato a pattugliare la linea costiera con il supporto delle forze turche. Non è il primo movimento di forze congiunto dopo la firma dell’accordo tra Tripoli e Ankara ma potrebbe essere visto da Haftar e i suoi alleati come una provocazione. Oltre duecento blindati si sono arroccati nella fascia costiera e anche questo non è un buon segno. Le motivazioni, ovviamente negate dall’altra parte, sono la risposta a presunti bombardamenti dei siti controllati dalle forze del GNA ad ovest di Sirte da parte dell'esercito del LNA (Haftar), tramite appartenenti ad al Karama con il supporto di contractor russi Wagner, che avrebbero lanciato più di 12 missili Grad contro le forze regolari con una palese violazione dell'accordo di cessate il fuoco. Al-Sarraj, forte del supporto turco, ha fatto sottolineare che "l'operazione di Sirte e Jufra non esiterà a rispondere a queste azioni, come approvato dalle operazioni sul campo”. Continua quindi a non esserci pace tra le sabbie della Libia, ma forse nemmeno nei palazzi di Tripoli.
Nel frattempo continua la violazione dell'embargo dell'Onu sulle armi in Libia. Il capo della Missione delle Nazioni Unite in Libia, Stephanie Williams, ha rivelato che diverse potenze straniere continuano a fornire armi e munizioni sia alle forze del generale Khalifa Haftar sia al governo guidato da Fayez al Sarraj.
Il caso Fathi Bishaga
Ma se queste possono essere viste come scaramucce tra le due fazioni, rinforzate dai potenti allerati, esiste un nuovo possibile fornte all'orizzonte. Tra Serraj e Haftar incomincia a emergere anche un terzo personaggio, Fathi Bashaga, l’uomo forte di Misurata, ben visto da Turchi e Qatarini ma, forse, anche da Washington.
Fathi Bishaga è un ex pilota militare che negli anni ha dimostrato di essere un abile ed astuto uomo politico; un astro nascente in Tripolitania capace di coordinare gli sforzi dei comandanti militari con i nuovi eterogenei alleati di Tripoli. Di fatto Fathi Bashaga è da sempre apparso vicino alla Turchia e al movimento islamista dei Fratelli Musulmani. La sua vicinanza alla Turchia non è però casuale: proviene da una famiglia di origini ottomane e, come in altri Paesi dove sono presenti minoranze turkmene, questa discendenza si è dimostrata utile all'affermazione dell’influenza turca. Questo è di particolare importanza in Libia dove il ruolo di questa minoranza sembra essere diventato importante con il crescente coinvolgimento politico, economico e militare di Ankara nel Paese.
Disordini a Tripoli
Bashaga ricopriva fino a poco tempo fa il ruolo di ministro degli Interni ma, a seguito delle proteste in Tripolitania, è stato sospeso da Sarraj ed è stato messo sotto inchiesta per non aver agito con la dovuta fermezza per impedire che alcune milizie sparassero contro i manifestanti nella capitale.
Sembrerebbe che tra il premier Sarraj e il suo ministro Bashaga non corresse da tempo buon sangue. Voci non confermate riportano che a Tripoli, dove le Forze di deterrenza speciale (Rada), un'unità di polizia militare islamista radicale per operazioni speciali formatasi nel 2011 a Tripoli allo scopo di contrastare il crimine dopo la caduta della dittatura di Gheddafi, vicine a Bashaga sono molti forti, i manifestanti avevano scandito slogan contro Sarraj. Un'occasione forse utile per esacerbare la situazione contrastando i manifestanti non con idranti o manganelli ma con l'uso delle armi da fuoco. Cosa stranamente non avvenuta in altre città dove Bashaga ha maggiore consenso.
Sarraj non ha perso il tempo e, prima che la situazione degenerasse, ha sfruttato l'evento per sospendere questo possibile scomodo concorrente. Le sue funzioni sarebbero state ora assunte dal vice ministro, Khalid Ahmad Mazen. In un comunicato ufficiale si legge che: "Un'indagine è stata aperta contro il ministro dell'Interno (Fathi Bashaga) in merito alle sue dichiarazioni, azioni e garanzia della necessaria protezione dei manifestanti a Tripoli e in alcune altre città". Contemporaneamente in un decreto separato è stata assegnata ad Osama Jweili, il comandante di Zintan, una città militarmente potente, il compito di assicurare la sicurezza a Tripoli.
Da parte sua Bashaga ha dichiarato di essere disponibile ad un’inchiesta sul suo operato pubblica per garantire la trasparenza. Le voci di una sua reintegrazione (confermate nelle ultime ore) corrono nei corridoi e la contrapposizione fra Serraj e Bashaga si prospetta interessante, anche se di fatto lo scontro fra loro non farà che indebolire il governo di Tripoli, rallentando le possibilità di pacificare la Libia.
Andrea Mucedola (http://www.ocean4future.org)
Infografica: Salvatore Cuda