Il Libano verso una stabilità occidentale

(di Andrea Gaspardo)
03/03/20

Coloro tra noi che più sono avvezzi alle letture di argomentazione religiosa, sapranno che, sia nella Bibbia ebraica che in quella cristiana, a più riprese si accenna al fatto che, una volta conquistata la città gebusea di Gerusalemme, re Davide e suo figlio e successore, re Salomone, vollero espanderla ed abbellirla con imponenti opere edili, le più importanti fra le quali furono il “Palazzo Reale” ed il “Tempio di Dio”. Il materiale scelto in entrambi i casi per portare a compimento i progetti fu il legno ricavato dal maestoso cedro del Libano mentre le maestranze addestrate a portare a compimento l'opera vennero fornite da Hiram, signore di Tiro e più importante fra i re dei Fenici, l'unico altro sovrano del Medio Oriente che, sempre secondo la Bibbia, “trattava con Davide e Salomone da pari a pari”; una tale lusinghiera definizione, in un testo che, nel migliore dei casi, riserva agli altri popoli e sovrani coevi parole di ostilità e disprezzo, non va affatto ignorata.

Le fondamenta del moderno Libano furono gettate nel periodo tra il 1.500 ed il 539 a.C., quando la civiltà fenicia si sviluppò a partire da quanto era sopravvissuto, dopo le invasioni degli Israeliti, di quella cananea e, successivamente, raggiunse il suo apogeo fondando il primo “impero economico mondiale” vero e proprio. Sebbene al giorno d'oggi il Libano venga piuttosto sbrigativamente descritto come “paese arabo”, dato che l'arabo è la lingua maggiormente parlata sul territorio e il 95% degli abitanti siano classificati come “Arabi” secondo le statistiche ufficiali, tale designazione è assolutamente arbitraria.

Così come le altre popolazioni del Levante (Ciprioti, Siriani, Palestinesi, Israeliani e Giordani), i Libanesi sono i discendenti di un mix di gruppi etnici, religiosi e culturali che hanno invaso, occupato o si sono semplicemente stanziati in quel territorio negli ultimi 6.000 anni. Per questa ragione è facile affermare che, ieri come oggi, il Libano sia sempre stato il più multiconfessionale e multicomunitario dei paesi arabi e del Medio Oriente in generale. L'attuale costituzione libanese riconosce ufficialmente l'esistenza di 18 comunità etno-religiose raggruppate grosso modo in tre musulmane e una decina di cristiane, più altre comunità minori. Tra la fine dell'Ottocento e gli anni Cinquanta del Novecento, i cristiani sono stati la compagine più numerosa, per poi lasciare spazio ai musulmani.

In Libano esiste una sorta di tabù generalizzato sulla questione demografica, e questo spiega perché non si sia mai svolto un censimento ufficiale addirittura dal 1932; il macchinoso sistema elettorale, il settarismo e la suddivisione pre-approvata delle “poltrone”, oltre alla necessità di garantire la coesistenza pacifica tra tutte le comunità, hanno fatto sì che, per il quieto vivere politico, i numeri “reali” vengano deliberatamente ignorati. Ciò nonostante, tale fondamentale mutazione non è sfuggita a nessuno, che si tratti dello scienziato, dell'amministratore locale o dell'uomo comune della strada, a qualsiasi confessione appartengano. Ciò che invece non è chiaro è l'ampiezza dell'oscillazione e questo lascia il campo aperto alla speculazione.

Differenziali di fecondità e di emigrazione hanno fatto passare i cristiani maroniti, cattolici di rito orientale, i più numerosi nel momento in cui venne creato il cosiddetto “Grande Libano” dalle autorità mandatarie francesi all'indomani della fine dell'Impero Ottomano, dal 32% nel 1922 al 19-21% oggi. Hanno ceduto l'egemonia agli sciiti, la cui proporzione durante lo stesso periodo è aumentata dal 17,2% al 27-32%.

La metamorfosi demografica non ha potuto avere luogo senza avere effetti sugli equilibri politici; ha fatto tremare il “maronitismo politico”, questo quasi-monopolio dei posti chiave dello stato detenuto dal gruppo cristiano più importante ed ha fatto da sfondo sia alla crisi del 1958 che alla drammatica guerra civile del 1975-90. A ben vedere però, il Libano è abituato a simili adattamenti, pacifici o violenti che siano, della demografia. Va ricordato, per esempio, che nei secoli Diciottesimo e Diciannovesimo, l'autorità suprema sul territorio del Libano odierno veniva amministrata dall'Impero Ottomano per tramite di un emiro druso. Tuttavia, già a quel tempo, il potere stava passando impercettibilmente nelle mani dei maroniti, molto più dinamici demograficamente rispetto ai drusi numericamente stagnanti. Anche a quel tempo, l'aggiustamento politico avvenne con un atto di violenza con oltre 10.000 maroniti che vennero massacrati dai drusi nel corso delle violenze comunitarie del 1860. Pur vittoriosi militarmente, i drusi non poterono fare altro che cedere progressivamente il controllo del territorio ai maroniti, scivolando in una posizione subalterna dopo oltre 400 anni di incontrastato dominio.

L'ascesa numerica degli sciiti, tappa successiva dell'evoluzione demografica del paese, può apparire come un'ironia della storia, infatti le autorità mandatarie francesi erano state tentate di predirne la sparizione a lungo termine! Un così forte aumento numerico a distanza di un secolo dipende da un natalità elevata che i Francesi non avevano adeguatamente valutato. Sebbene il Libano nel suo complesso avesse superato la soglia del 50% dell'alfabetizzazione maschile per gli uomini di età compresa tra i 20 e i 24 anni già nel 1920, per ottenere lo stesso risultato per le donne si è dovuto aspettare il 1957, ma già nel 1950 il tasso di fertilità totale a livello nazionale aveva cominciato a calare per tutte le comunità, tranne che per gli sciiti. Infatti, fino alla guerra del 1975-90, le donne sciite libanesi, nel corso di tutta la loro vita riproduttiva, mettevano al mondo in media 8,5 figli; ciò costituiva il record assoluto dell'intero Medio Oriente (forse eguagliato solamente dalla donne ebree ultraortodosse di Israele). In termini di transizione demografica, il ritardo degli sciiti era evidente rispetto ai sunniti (6,9 figli per donna), ai drusi (5,3 figli per donna) e ai cristiani maroniti (5,1 figli per donna). Senza andare a cercare la spiegazione in ipotetiche iperboli religiose, tale differenza si spiega comodamente rammentando che gli sciiti da sempre rappresentano in Libano il gruppo comunitario più povero e meno scolarizzato e questo spiega sia l'alta fecondità che l'elevata mortalità che li hanno caratterizzati fino a poco tempo fa. Anche se ritardato però, lo sviluppo educativo è arrivato, e con esso la transizione demografica. La loro fecondità ha iniziato a calare attorno al 1975, fenomeno che contribuisce in parte a spiegare la violenza della guerra civile ma che permette anche di intravvedere la possibilità di un Libano pacificato per quanto riguarda le tensioni comunitarie.

È chiaro che la guerra civile libanese è scoppiata nel momento decisivo della transizione demografica del paese, mentre quest'ultimo è destabilizzato non solo dai cambiamenti di massa relativi alle comunità e dall'afflusso massiccio di profughi palestinesi, ma anche perché le comunità musulmane vengono investite da una trasformazione culturale e demografica di notevole ampiezza. L'istruzione, la residenza in città, l'apertura dei media, la mondializzazione degli spiriti, non sono più appannaggio dei soli cristiani e questa modernizzazione incide direttamente sul comportamento riproduttivo. La velocità della transizione tra il 1975 ed il 2015 è stata infatti più elevata tra gli sciiti (-3,2% di nascite su base annuale) che tra tutti gli altri gruppi (-3% tra i sunniti, -2,3% tra i maroniti e gli altri cristiani). Ma in Libano, come altrove nel mondo e nella storia, una destabilizzazione delle mentalità tradizionali causata dal progresso contribuisce a spiegare l'apparente assurdità della guerra civile del 1975-90 (che, nel complesso, ha provocato lutti di diversa entità a ben il 96% della popolazione). Tale guerra, così come i bombardamenti israeliani, in particolare quelli del 2006, ha provocato una pauperizzazione indiscriminata dell'insieme delle confessioni, che ha certamente contribuito all'adozione negli ultimissimi anni della famiglia mononucleare ristretta.

Un rapido confronto a partire dai dati odierni dimostra come le comunità si siano riavvicinate demograficamente, aspettando forse di diventarlo anche politicamente. Nel 2015 la fecondità delle donne sciite è crollata a 2,2 figli per donna (dagli 8,5 del 1975), quella delle sunnite a 1,9 (dai 6,9 del 1975), quella delle druse a 1,55 (contro i 5,3 del 1975), quella delle maronite a 1,7 (contro i 5,1 del 1975) e quella delle donne cristiane non maronite a 1,5 (contro i 5 del 1975). Se raffrontati a quelli del paese nella sua totalità (5,5 figli per donna nel 1975 e 1,74 figli per donna nel 2015), i dati delle varie comunità dimostrano come, nonostante apparenti differenze culturali e religione, tutte le comunità libanesi stiano convergendo verso un comune modello di pianificazione famigliare, e per estensione, di sviluppo materiale e valoriale.

Il matrimonio è ovunque molto più tardivo che negli altri paesi arabi e gli scarti di età tra gli sposi sono più serrati ed anche qui, le zone sciite manifestano una forte propensione alla “modernità”. Non solo, visti in un'ottica più ampia, i dati del Libano sono assolutamente comparabili con quelli dei paesi del continente europeo e della maggior parte dello spazio ex-sovietico; primo tra tutti i paesi arabi e del Medio Oriente in generale, il Libano si sta avviando verso un modello familiare di matrice europea. La coppia libanese è ovunque nucleare, nelle regioni musulmane come in quelle cristiane.

Curiosamente, decidendo di raggruppare i dati per i due campi maggiori (musulmano e cristiano) ci accorgeremmo che le differenze relative alla fertilità totale, sono sostanzialmente simili a quelle esistenti, per esempio, tra Francia ed Regno Unito. Non è sicuro che queste scelte famigliari abbiano rallegrato i leader di Hezbollah e di Amal, i principali partiti politici sciiti, che avrebbero probabilmente preferito un aumento della loro base elettorale e militante grazie a una “guerra delle culle” sciita. Ma i partiti politici o i mitra delle organizzazioni militanti non possono obbligare le persone ad avere più figli di quanti ne desiderino e persino l'iniziativa di Hezbollah di finanziare, nelle sue cliniche specializzate, interi programmi molto costosi per la lotta contro la sterilità e per la fecondazione in vitro, non hanno prodotto gli effetti sperati.

Un ultimo aspetto che merita la nostra attenzione è quello relativo alla matrilocalità e all'endogamia; infatti, accade spesso che siano proprio le donne ad essere i capifamiglia nel sud del Libano sciita così come nella Beirut cristiana. Anzi, la matrilocalità è persino più diffusa nel sud sciita del Libano (14%) che nella zona cristiana (4,3%) o nel nord a maggioranza sunnita (11,3%).

La matrilocalità libanese è un'eredità diretta del passato fenicio, e la sua permanenza a livelli così importanti proprio tra le comunità musulmane costituisce una testimonianza ulteriore che il substrato storico e culturale su cui poggia il paese è tanto forte tra i musulmani quanto lo è tra i cristiani, con buona pace di chi, nel passato o nel presente, vorrebbe vedere nei maroniti gli unici “veri Libanesi” detentori del primato del “Fenicianesimo”. Il Libano non è nemmeno diviso apertamente dal problema della scelta tra endogamia ed esogamia, perché i cristiani (maroniti e non) non sono, come gli altri cristiani nel mondo, totalmente refrattari al matrimonio tra cugini carnali: 10,7% nella zona del Monte del Libano contro il 20% nella zona sciita del sud del Libano. Sebbene la differenza non sia insignificante, persino il tasso che corrisponde alla regione sciita resta sensibilmente più basso di quello della vicina Siria, dove raggiunge il 35%. Tali convergenze demografiche contraddicono un'attualità politica che suggerisce che i conflitti tra comunità potrebbero riprendere; al contrario, forse questi dati sono il segno precursore delle intese politiche e ideologiche a venire. Se, per il loro comportamento demografico, gli sciiti raggiungessero gli altri Libanesi, lo farebbero perché condividono gli stessi valori più di quanto si creda normalmente e al di là di quanto loro stessi pensino. In ogni caso, essi risultano essere più vicini culturalmente ai cristiani, ai sunniti e ai drusi libanesi di quanto non lo siano ai Siriani (oltre 3 figli prima della attuale guerra civile) e ai Giordani che continuano a mettere al mondo quasi 4 figli, o agli ebrei israeliani che sono a quota 3,1.

Il presente demografico del Libano preannuncia forse un avvenire politico di tipo “svizzero”, una forma originale di democrazia, comunitarizzata sì, ma negoziatrice e pacifica. La prova di quanto affermato poc'anzi la si può trovare negli eventi che hanno caratterizzato la recentissima storia storia politica libanese quando, all'indomani del ritiro siriano, il paese è stato coinvolto in una nuova drammatica guerra con Israele (per tramite di Hezbollah) alla quale è seguita una profonda crisi politica protrattasi tra il 2006 ed il 2008 e caratterizzata da numerosi assassinii di alto profilo (come quello di Pierre Amine Gemayel nel 2006) e di veri e propri scontri tra le autorità dello stato e i gruppi fondamentalisti di ispirazione sunnita (battaglie dei campi di Nahr al-Bared, Tripoli e Ain al-Hilweh nel 2007) e tra fazioni diverse dello schieramento politico-confessionale nazionale (2008), oltre che dalle attuali proteste che stanno paralizzando il paese da ottobre 2019. Nonostante in tali frangenti il paese si sia trovato più volte sull'orlo del baratro e la gran parte degli osservatori internazionali dessero per imminente lo scoppio di una nuova guerra civile, tutti gli attori politici locali hanno infine optato per la negoziazione che, seppur non completamente soddisfacente per le frange più oltranziste, non dispiace né ai centri del potere attorno ai quali ruota il grande business né alla gente comune.

Quietato, anche se non completamente stabilizzato, il fronte interno, le uniche vere minacce alla stabilità del Libano sono di natura “esterna” e provengono dai due paesi che, nel passato e nel presente, hanno influito e influiscono più di tutti gli altri nelle vicende del “Paese dei Cedri”: la Siria ed Israele. Il Libano è uno dei pochi stati al mondo ad essere ancora ufficialmente in guerra con Israele. Le forze armate libanesi parteciparono alla disastrosa “Prima Guerra Arabo-Israeliana”, nel 1948-49, e successivamente, il paese accolse un grande numero di profughi palestinesi (che oggi assommano a quasi 500.000 anime), oltre al quartier generale stesso dell'OLP (1970); eventi che contribuirono grandemente a spezzare i già delicati equilibri interni e a precipitare il paese nella guerra civile.

Israele è intervenuto numerose volte e per diverse ragioni in Libano ma, nel complesso, la strategia generale nei confronti del suo pur fragile vicino settentrionale e fallita clamorosamente, con risvolti addirittura imbarazzanti se si pensa, per esempio, che l'intervento massiccio del 1982 (Operazione Pace in Galilea), pur riuscendo a portare al ritiro dell'OLP dal paese, gettò le basi per la nascita di Hezbollah, mentre i violenti bombardamenti del 2006 aventi come scopo la distruzione della potenza militare del partito militante sciita, finirono invece per accrescerne la popolarità in patria come all'estero.

Sebbene anche in anni recenti Israele abbia minacciato più volte di intervenire nuovamente in Libano a causa della rinnovata potenza di Hezbollah, esistono una serie di considerazioni che dovrebbero far desistere gli strateghi dello stato ebraico dalla politica del “grilletto facile”. Innanzi tutto, perché già nel 2006 Hezbollah ha dimostrato di possedere gli armamenti necessari per ingaggiare le Forze di Difesa Israeliane in un estenuante conflitto asimmetrico e di riuscire ad infliggergli una “sconfitta locale”. Inoltre, la disponibilità di un poderoso arsenale di razzi e missili a medio raggio (che secondo alcune stime avrebbe ormai superato i 150.000 pezzi) garantirebbe al movimento, in caso di escalation, di scatenare per diverse settimane un diluvio di fuoco continuo contro tutto il territorio di Israele, da Metulla fino ad Eilat, e contro il quale sarebbe alla fine impotente persino lo schieramento multistrato della difesa antimissile israeliana. Se Israele volesse provocare un nuovo conflitto contro Hezbollah in terra libanese, lo farà solamente a suo rischio e pericolo.

L'altro fronte caldo è costituito dalla Siria. Qui il Libano gioca una partita complicatissima quanto la guerra civile che sta squassando il suo ingombrante vicino; infatti, le autorità statali stanno cercando in tutti i modi di evitare che il paese venga trascinato in una guerra nella quale, allo stesso tempo, proprio Hezbollah gioca un ruolo assolutamente fondamentale.

Già a partire dalla degenerazione delle proteste di piazza del 2011, Hezbollah si è schierato apertamente con il governo di Damasco e, a partire dal 2013, ha schierato una buona parte della sua forza combattente e dei suoi arsenali in territorio siriano al fine di stroncare l'insorgenza sunnita. L'impresa non si è affatto rivelata semplice per il “Partito di Dio” che, ad oggi, sembra aver perso quasi 2 mila uomini nel corso degli estenuanti combattimenti in terra levantina. Sebbene l'intervento armato in Siria abbia sollevato non poche polemiche nel “Paese dei Cedri” ed abbia favorito un inasprimento dello scontro istituzionale tra “l'Alleanza del 14 Marzo” e “l'Alleanza dell'8 Marzo” (le due principali galassie di partiti rispettivamente “anti-Siria” e “pro-Siria”), la degenerazione della guerra di Siria in aperto conflitto settario e “proto guerra mondiale” ha fatto sì che, con il tempo, le varie anime del panorama politico-confessionale libanese si siano alla fine convinte della “sacrosantità” dell'intervento di Hezbollah per favorire la ri-stabilizzazione del potente vicino.

Dal canto suo, Hezbollah ha fatto di tutto per capitalizzare sul fronte interno presentando il proprio coinvolgimento nella guerra del “Siraq” come un'operazione che, oltre a quelli iraniani, tiene a cuore anche gli interessi nazionali libanesi. Di qui il tripudio non solo di gagliardetti gialli di Hezbollah ma anche di bandiere nazionali libanesi ad ogni funerale dei caduti sciiti al fronte.

Intanto in patria, il Servizio Doganale Libanese ha sequestrato, nel corso degli ultimi anni, ingentissimi quantitativi di armi, denaro e droga diretti verso il carnaio siriano mentre le varie agenzie di intelligence del paese, soprattutto le potentissime “Direction Générale de la Sécurité de l'Etat Libanais” e “La Sûreté Générale” vigilano attentamente sulle attività dei gruppi estremisti sunniti sul territorio del paese, nei campi profughi (che ormai ospitano oltre 2 milioni di Siriani) e sui territori siriani prospicienti al territorio libanese. Grazie a queste coperture e ad una sostanziale collaborazione ravvicinata sia con Hezbollah che con le Forze Armate Siriane, sia le Forze Armate Libanesi (Forces Armées Libanaises) che le Forze di Sicurezza Interne (Forces de Sécurité Intérieure) pur non riuscendo a prevenire tutti gli attentati terroristici, sono comunque riuscite a circoscrivere efficacemente le puntate offensive sia dell'ISIS che di Jabhat al-Nusra in territorio libanese e di evitare che il complesso delle pressioni esterne e delle spinte centrifughe interne riuscisse a far scoppiare l'incendio.

Da ultimo, è necessario chiedersi quali possibilità si apriranno per il Libano una volta che il conflitto in Siria giungerà alla sua tanto sospirata conclusione. Ebbene, è assolutamente prevedibile che, negli anni immediatamente seguenti alla fine della crisi, il Libano diventerà il principale hub per i finanziamenti diretti alla ricostruzione del martoriato vicino levantino e che il paese svolgerà un ruolo di prim'ordine sulla scena siriana, a fianco dei ben più potenti Iran, Russia e Cina. Le distruzioni causate dalla guerra e l'intervento delle potenze straniere hanno senza dubbio indebolito sia la Siria che il presidente Assad, con il risultato che egli non è più in grado di proiettare sul “Paese dei Cedri” la stessa influenza che poteva vantare negli anni pre-crisi, anzi, è molto probabile che ora i rapporti di forza si rovescino, con la Siria assai più dipendente dagli asset economici libanesi, dalle milizie di Hezbollah e dalla cooperazione con i servizi segreti libanesi per la propria ricostruzione, sicurezza e prevenzione di infiltrazioni terroristiche e attentati. Il labirinto della burocrazia siriana è tanto complicato quanto la guerra civile stessa, e le banche libanesi sono le uniche ad avere sia le competenze operative che gli agganci per solcare in sicurezza e tempi brevi questo “mare” esattamente come i loro antenati Fenici solcavano il Mediterraneo.

Dalla sua tomba situata a circa quattro chilometri di distanza da Tiro, nell'odierno villaggio di Hannaouiye/Hanawiya, il re Hiram riposa e sorride soddisfatto pensando che, al giorno d'oggi come all'epoca biblica, tutti i traffici commerciali del Medio Oriente che conta hanno nella sua terra il loro snodo preferenziale.