Sono ormai passati quattro anni da quando l’esercito francese è entrato nel Mali per bloccare l’espansione di al-Qaeda, arrivata ormai ad un passo dalla capitale Bamako. L’operazione, nel suo complesso, ha portato alla drastica riduzione dei gruppi jihadisti presenti nel territorio dell’Africa occidentale ma l’ultimo anno e mezzo ha visto un comprensibile lento affievolimento dei risultati francesi ed una permanente debolezza delle Isituzioni dello Stato africano. Ma perché per garantire un’utilità all’intervento francese e debellare il problema terroristico in quest’area è necessario pensare ad un supporto materiale ai militari europei già presenti?
Nel 2013 l’intervento delle Forze Speciali francesi, che operarono in stretta coesione con l’esercito, l’aviazione e la marina francese, fu volto a liberare il Malistan: quell’area settentrionale del Mali divenuta sin dagli inizi del problema del terrorismo islamico una vera e propria roccaforte di al-Qaeda. Una volta portata a compimento l'operazione la Francia ampliava la sua lotta al terrorismo, secondo i progetti delle Nazioni Unite, nei territori del Burkina Faso, del Ciad, della Mauritiana e del Niger. Intanto l’Unione Europea schierava una formazione militare a Bamako in supporto alle Forze Armate del Mali per sostenerle nella ricoesione dello Stato e nella tenuta del nord del Paese. I compiti di addestramento delle Forze maliane nell’antiterrorismo e in particolare nel prevenire una riemersione di al-Qaeda non sono stati semplici e alcuni gruppi jihadisti hanno continuato ad operare.
Se è vero che al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) è stata gravemente danneggiata dai primi attacchi del 2013 è altrettanto vero che alcuni suoi capi, come Mokthar Belmokthar, sono sopravvisuti. Alcune agenzie d’intelligence ritengono che quest’ultimo sia stato ucciso in Libia a seguito di un raid aereo statunitense nel 2015 ma, ciononostante, il suo gruppo armato continua ad operare nel Mali. Anche altre cellule terroristche hanno continuato ad agire indisturbate: è il caso del Movimento per l’Unità e la Giustizia nell’Africa Occidentale (MUJAO) e di Ansar al Dine, ma non solo: nel 2015 è sorta una nuova entità, il Fronte di Liberazione di Macina, che ha compiuto una serie di attacchi in tutto il Paese.
Verso la fine del 2015 al-Qaeda, in collaborazione con al-Mourabitoun, ha assaltato il Radisson Hotel, uno dei più importati punti d’approdo per gli ospiti internazionali nella capitale maliana, prendendo in ostaggio 170 civili. Questo atto ha chiaramente dimostrato come esistano ancora delle evidenti falle nel sistema della sicurezza che, dalla fase di allerta iniziale del 2013-2014, mano a mano si sta deteriorando. Di seguito, un altro centinaio di attacchi sono stati rivendicati da AQIM sia nel Mali che nei Paesi limitrofi: nei primi mesi del 2016 il Burkina Faso e la Costa d’Avorio sono stati bersagliati a causa del supporto da loro dato alle Nazioni Unite per il piano di stabilizzazione del territorio africano del 2014.
Il Mali è da sempre stata una culla per piccoli gruppi terroristici che mutavano molto spesso le loro alleanze per comodità del momento ma con la crescita nel 2015 dello Stato Islamico, alcune cellule jihadiste malesi gli giurarono fedeltà. Se oggi è verità che l’ISIS è in progressivo ritiro (basti pensare alla liberazione di Sirte ed ai progressi nel teatro libico) è altrettanto vero che la situazione del Paese africano e di AQIM continua ad essere preoccupante e non deve essere sottovalutata: la persistenza dei gruppi fondamentalisti islamici contribuisce costantemente a minare gli sforzi della costruzione di uno Stato solido. L’attuale contesto maliano, con i suoi fattori socio-economici e la persistente attività dei sunniti wahabbiti, rimane troppo fertile per lo sviluppo di cellule jihadiste salafite.
Alla luce di ciò appare evidente come la presenza francese nello Stato africano debba ritenersi un bene e debba trovare un sostegno materiale negli altri Stati interessati all’eliminazione del terrorismo di matrice islamica, con particolare riferimento ai Paesi dell’Alleanza Atlantica e a quelli dell’Unione Europea. La Francia ha stanziato più di mille uomini nella parte settentrionale del Mali ed ha continuato ininterrottamente le operazioni dal 2013 ad oggi contro gli jihadisti uccidendo elementi di vertice come Abu Baher al Nasr, Ahmed al Tilemsi ed Omer Ould Hamah, ma ora si trova impiegata su troppi fronti, primo tra tutti quello della sicurezza interna. I costanti attentati dimostrano come la Francia sia sotto bersaglio ragionevolmente a causa del suo intervento anche per l'impegno in terra africana. Il rischio è che si arrivi ad un punto in cui Parigi riduca l'impegno delle truppe per necessità somestiche e che il Mali torni ad essere un covo di terroristi.
La prevenzione di questo scenario è senza dubbio una priorità: la Francia ha bisogno di un forte sostegno, un aiuto non fine a se stesso o indirizzato ad un altro Paese ma un auslio diretto alla lotta ed al debellamento del terrorismo islamico. Un ritorno alla situazione malese ante 2013 significherebbe una grande vittoria per l’antioccidentalismo armato sia sul piano materiale che, soprattutto, su quello morale, rafforzando oltremodo il fondamentalismo.
(foto: État-major des armées)