Con la fine del progetto South Stream l'Italia ha mostrato, per l'ennesima volta, la propria marginalità in politica estera.
Il rinnovato atlantismo degli ultimi tempi, bombola d'ossigeno per le spompate relazioni internazionali di Roma, sta definitivamente affossando l'accesso alle risorse energetiche necessarie per la sopravvivenza economica ed industriale della nazione, dando prova di quanto possa essere latitante la capacità di muoversi nel consesso globale con lo scopo di salvaguardare gli interessi nazionali.
Al netto del caso maró e degli scellerati bombardamenti sugli avviati lavori della sirtica nel 2011, l'emergenza energetica connessa alle sanzioni verso la Russia ed alla crisi di Libia mostrano quanto sia cupo il futuro dei rifornimenti di idrocarburi italiani nonché l'intera politica industriale e tutto solo per compiacere alleati disattenti e miopi agli equilibri strategici regionali, ma molto molto avveduti nella gestione dei vantaggi economici provenienti dalle instabilità.
Il colpevole appiattimento sulle posizioni sanzionatorie verso la Russia ha ucciso il progetto South Stream, così come il failed state libico mette in serio pericolo una fonte di energia vitale per l'intero sistema economico nazionale.
Priva di un approccio solido e coerente in politica estera, nonché di una pianificazione di lungo respiro la diplomazia italiana è in grado di sostenere il principio di autodeterminazione dei popoli in Kosovo, ma lo nega alla Crimea, definisce stato totalitario la Siria, ma è partner di Egitto ed Arabia Saudita, due stati che notoriamente utilizzano gli stessi metodi "democratici" del regime di Assad.
La chiamano realpolitik e si potrebbe anche condividere, ma ciò dovrebbe avere come fine ultimo il tanto vituperato e forse sconosciuto interesse nazionale, quell'interesse usato come paravento per spingersi fino in Afghanistan ed in Iraq, ma negato quando c'è da dire no ai cosiddetti partners occidentali.
Probabilmente siamo prigionieri di un endemico complesso di inferiorità legato alla sconfitta nel secondo conflitto mondiale, così come non riusciamo a superare il comodo e preordinato schema da guerra fredda.
La soluzione è sempre li, a portata di tutti ed è fatta di cultura politica, interesse nazionale, comprensione delle dinamiche geostrategiche.
Se la classe dirigente italiana riuscisse a combinare questi elementi potremmo seriamente contribuire alla stabilità internazionale senza negare interessi ed esigenze di 60.000.000 di cittadini italiani.
(foto: archivio presidenza del consiglio)