La Germania “tedesca” al bivio della storia

(di Andrea Gaspardo)
25/02/20

Alle ore 10 di sera del 19 febbraio 2020, la tranquilla monotonia della città di Hanau, nel Land dell'Assia è stata sconvolta dai colpi secchi di due sparatorie nel corso delle quali un cittadino tedesco di idee neo-naziste, Tobias Rathjen, ha freddato a colpi di Glock 17 una decina di persone prima di darsi la morte, assieme alla madre, per evitare la cattura. Come da copione, rispettato anche in altri casi di stragi organizzate in diverse parti del mondo da elementi dell'ultradestra xenofoba e razzista, anche Rathjen, prima di commettere le stragi, si era premurato di redigere un documento nel quale rivendicava sia la necessità di sterminare le razze inferiori (in particolare le genti provenienti dal Medio Oriente, dall'Asia Centrale e dal Nordafrica), sia di proteggere la "purezza biologica" della Germania.

La sparatoria di Hanau rappresenta solamente l'ultimo evento di una preoccupante serie che dovrebbe cominciare ad essere presa finalmente sul serio, e non solamente a livello “germanico” ma anche europeo in generale. Sebbene molti in anni recenti abbiano identificato nell'ascesa del partito nazionalista di destra “Alternative für Deutschland” (AfD) il principale fronte di minaccia, esso rappresenta solamente la proverbiale “punta dell'iceberg” di una situazione assai più grave di quanto molti pensino.

Come insegna un certo adagio, però, le crisi partono sempre da lontano, ed anche noi dobbiano adottare un visione di più ampio respiro per capire quale sarà la strada che la Germania imboccherà nel futuro, e per farlo, necessitiamo ancora una volta di fare un salto all'indietro. La fine della Guerra Fredda e del confronto bipolare hanno favorito la riunificazione della Germania in un unico stato sovrano e federale esteso su tutti i territori facenti parte delle ex Repubblica Federale Tedesca (Germania Ovest) e Repubblica Democratica Tedesca (Germania Est).

La neo-costituita Repubblica Federale di Germania (Bundesrepublik Deutschland) ha saputo approfittare meglio di altri paesi del periodo di espansione economica mondiale seguito al crollo del Muro di Berlino e dall'apertura dei nuovi mercati nell'Europa centro-meridionale, nell'ex-Unione Sovietica, in Cina ed in Asia sud-orientale.

Sebbene l'economia tedesca sia a tutti gli effetti un'economia globale, è nel continente europeo che la Germania mantiene il fulcro del suo mercato dell'export e, conseguantemente, della sua potenza ed influenza sia economica che politica.

Pilastro della strategia tedesca di conquista dei mercati europei (nonché argomento di accese polemiche nell'agone politico e non solo, specie negli anni successivi allo scoppio della crisi economica del 2007/2008) è stata l'introduzione dell'euro quale valuta comune di larga parte dei paesi facenti parte dell'Unione Europea.

Recentemente, la Germania si è fatta notare per una politica assai più assertiva a livello continentale, specialmente sullo sfondo del dibattito che ha opposto le diverse visioni sul cammino di uscita dalla crisi economica (austerità vs politiche espansive) sia nella gestione della travagliata crisi greca, sia da ultimo nella discutibile posizione adottata nel corso della crisi migratoria internazionale che dal 2014 ha reso tesissimi i rapporti all'interno delle istituzioni comunitarie e dei singoli paesi dell'Unione, tanto da far parlare numerosi commentatori politici e semplici cittadini dell'esistenza di un “neo-imperialismo tedesco” mirante non tanto all'europeizzazione della Germania quanto alla germanizzazione dell'Europa.

Nonostante gli indubbi punti di forza, il “sistema Germania” presenta anche notevoli criticità che potrebbero nel lungo periodo minarne sia la solidià interna che il ruolo pivotale assunto in Europa negli ultimi decenni. I risultati delle ultime elezioni federali tedesche così come quelle avvenute recentemente in diversi land hanno di fatto condensato tali diverse pulsioni.

LE PUNTE DI LANCIA DEL REICH MERCHELLIANO

Dal punto di vista economico, la Germania viene classificata come paese ad economia sociale di mercato, caratterizzato da una forza lavoro altamente specializzata, un livello elevato di stock di capitale, un basso livello di corruzione percepita ed un alto livello di innovazione. Da un punto di vista macroeconomico è la quinta economia del mondo a parità di potere d'acquisto e la prima in Europa (primato che negli ultimi anni è stato insidiato dall'ascesa della Russia).

L'orientamento dell'economia tedesca è sempre stato rivolto verso l'export, nella cui classifica internazionale la Germania figura al terzo posto (dietro a Cina e Stati Uniti). I principali prodotti d'esportazione sono veicoli, macchinari, prodotti chimici ed elettronici, equipaggiamenti elettrici, farmaceutica, equipaggiamenti da trasporto, prodotti alimentari e plastica.

Il primo mito che bisogna sfatare quando si analizza l'economia tedesca è che essa sia dominata unicamente dai grandi “top players”, specialmente quelli del settore automobilistico. Sebbene, secondo i dati disponibili, ben 30 tra le 500 maggiori aziende del mondo siano basate in Germania, esse non rappresenano che una percentuale minimale del cuore numerico del “capitalismo renano” che, per il 99%, è costituito dalle cosiddette “Mittelstand”; imprese di piccole e medie dimensioni solitamente di proprietà famigliare, fortemente orientate all'export, spesso focalizzate su prodotti manifatturieri innovativi e ad elevato valore aggiunto, oltre ad occupare la leadership in molti segmenti di mercato. In genere sono caratterizzate da una ristretta base sociale ed hanno sede in piccole città o aree rurali.

La tipica azienda di successo del “Mittelstand” combina un approccio agli affari cauto ed orientato al lungo termine con l'adozione di moderne pratiche manageriali, come assumere dirigenti professionali dall'esterno piuttosto che affidare la gestione ai soci. Spesso queste aziende lavorano a stretto contatto con le università ed altri istituti di ricerca, e si raggruppano intorno a grosse aziende. Il peso delle “Mittelstand” nel contesto economico tedesco si può efficacemente valutare dal fatto che esse impieghino il 70% della forza lavoro nel settore privato e producano il 50% del PIL della nazione.

Una conseguenza diretta di questa particolare geografia economica è che il successo dell'economia tedesca risulta inestricabilmente legato a quello delle altre economie europee. Infatti se si escludono le quote relative a Cina, Stati Uniti, Russia e Turchia, i principali partner commerciali, sia dal lato delle importazioni che dal lato delle esportazioni si trovano tutti in Europa. Il sistema economico e sociale tedesco si è dimostrato adeguato a garantire un prolungato periodo di prosperità e sviluppo sia alla Germania Ovest prima, che alla nuova Germania unificata oggi. Ne è prova il progressivo innalzamento dei redditi a livello nazionale, il basso tasso di disoccupazione (5.6% a luglio 2017) e una serie di espansione economica positiva di 22 anni sugli ultimi 25.

Vale la pena di notare che un fattore che ha fortemente condizionato, e forse frenato, lo sviluppo dell'economia tedesca per tutti gli anni novanta e duemila è stato il riassorbimento della ex-Germania Est; processo che è stato tutt'altro che indolore dal punto di vista politico, sociale ed economico per la collettività tutta. Si stima infatti che il governo federale abbia speso solo nei primi tre anni seguiti alla riunificazione oltre 50.000 marchi tedeschi per ogni singolo abitante della ex-Germania Est. Qualsiasi paragone con le coeve prestazioni economiche dei paesi del sud Europa caratterizzati anch'essi da profonde differenze strutturali locali e regionali (Italia, Grecia, Spagna, Portogallo) è impietoso. Il successo tedesco risulta ancora più evidente se si tiene in considerazione che il riallineamento della Germania sui mercati globali non si è risolto a spese della classe media come negli altri paesi sviluppati ingoiati dal vortice della globalizzazione.

Considerando sia i dati assoluti che quelli relativi, la Germania è l'unico paese al mondo che, pur registrando un aumento sia nel numero dei miliardari che dei milionari (come in tutti gli altri paesi sviluppati e nei BRICS), negli ultimi 27 anni è riuscita anche a proteggere ed espandere la base della classe media; in tempi di globalizzazione, è stata una cosa assolutamente sbalorditiva.

Per quanto riguarda la ricchezza nazionale e individuale, la Germania è il paese più ricco d'Europa e il secondo nel mondo dopo gli Stati Uniti. Secondo i dati relativi al 2014, il valore dei patrimoni complessivi dei 10 uomini più ricchi del paese assommava a complessivi 162,4 miliardi di dollari mentre un'indagine effettuata dall'Istituto per la Ricerca Economica di Colonia nel 2013 ha individuato il reddito medio annuale delle 10 città più ricche di Germania:

1 - €92.594 ($128.000) Wolfsburg, Bassa Sassonia

2 - €82.675 ($114.281) Francoforte sul Meno, Hesse

3 - €78.382 ($108.347) Schweinfurt, Baviera

4 - €75.092 ($104.000) Ingolstadt, Baviera

5 - €71.576 ($99.389) Regensburg, Baviera

6 - €66.936 ($92.525) Düsseldorf, Nord-Reno Vestfalia

7 - €66.892 ($92.464) Ludwigshafen sul Reno, Renania-Palatinato

8 - €65.799 ($91.630) Erlangen, Baviera

9 - €65.262 ($91.121) Stuttgart, Baden-Württemberg

10 - €64.163 ($88.692) Ulm, Baden-Württemberg

Degna di nota è anche la popolazione dei milionari. Il World Wealth Report del 2014 ne ha censiti 821.900 che pongono la Germania alla quarta posizione nella classifica mondiale dei primi dieci paesi per numero di milionari subito dietro a Stati Uniti, Giappone e Regno Unito. Da segnalare però è il fatto che la quasi totalità dei milionari in questione sono cittadini tedeschi mentre una consistente quota di quelli censiti nei primi tre paesi sono stranieri residenti.

LE INCOGNITE SUL FUTURO

A fianco delle sue mille luci, il sistema tedesco è però caratterizzato anche dalla presenza di ombre che nel medio e lungo periodo rischiano di incrinare il primato della Germania in Europa. La prima e più immediata minaccia con la quale la Germania deve avere a che fare è la possibilità di un collasso del “sistema Europa”.

Come già puntualizzato al principio del paragrafo precedente, il fulcro degli interessi economici e politici tedeschi si trova nel continente europeo, in particolare negli stati che alla Germania sono limitrofi. I vincoli che legano l'economia tedesca a quelle degli altri paesi europei sono semplicemente insostituibili, come testimoniato anche da un attento studio delle relazioni economiche continentali nel corso di tutta l'Era Contemporanea. La conseguenza di questo è che qualunque shock che colpisca in maniera permanente uno qualsiasi dei membri dell'Unione Europea si riverbera inevitabilmente in Germania con effetti che possono variare a seconda dell'intensità del suddetto shock.

Quando nel 2009 l'onda lunga della crisi finanziaria originata negli Stati Uniti iniziò ad interessare l'Europa, a partire dai suoi paesi periferici e più instabili (i famosi PIIGS; acronimo per Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), il contagio si estese rapidamente anche alla Germania, la cui economia registrò per quell'anno un assai poco invidiabile -5%, (primo risultato negativo in una serie positiva durata 6 anni) a testimonianza che, per quanto resiliente, l'economia tedesca non sia affatto impervia alle crisi.

La seconda, meno evidente, ma potenzialmente assai più pericolosa nel lungo periodo, è quella demografica. Con un tasso di fertilità totale registrato nel 2019 pari a 1,57 figli per donna, la Germania presenta uno dei tassi di fertilità più bassi al mondo, inferiore anche alla media europea (già nota per la sua anemia di nascite), e l'incremento demografico registrato dal 2015 in poi, pari allo 1.2% (nel 2014 era stato pari allo 0,23%) è stato merito solamente delle generose politiche migratorie promosse dal governo e dell'accoglienza garantita ai profughi provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa, i quali però hanno creato anche notevoli problemi di ordine pubblico e sicurezza nazionale.

La contrazione demografica nella ex-Germania Ovest è iniziata già sul finire degli anni Settanta grazie all'abbattimento dei tassi di natalità i quali vennero invece mantenuti artificialmente alti in Germania Est a causa delle invadenti politiche pro-nataliste del governo comunista. Il crollo del Muro di Berlino e la riunificazione del 1990 hanno largamente uniformato la situazione e consegnato un quadro demografico che, in prospettiva, può riservare delle sorprese molto negative.

Al 31 marzo 2019, la Germania registrava una popolazione di oltre 83 milioni di abitanti, rendendola il gigante demografico del continente. Di essi però solo 65 milioni sono “tedeschi etnici” mentre ben 18 milioni sono immigrati e discendenti di immigrati, di prima o seconda generazione, dotati o privi di cittadinanza. Il difficile rapporto che il popolo tedesco ha sviluppato con la sua storia si è tradotto in un approccio attendista rispetto ai problemi legati alla necessità percepita di crescita del bacino “etnico” tedesco con conseguente predilezione per politiche di accoglimento di natura inclusiva piuttosto che nel tentativo di stimolare una crescita demografica di natura “endogena” come è invece avvenuto, per esempio, in Francia e in Irlanda.

Secondo proiezioni prudenziali fatte dal FMI, dalla Banca Mondiale e dal Pew Reseach Institute, entro il 2060 la Germania rischia di perdere sia il primato demografico in Europa, a vantaggio della Francia e del Regno Unito, così come di vedere compromesso il nocciolo etnico (che perderebbe ulteriori 10 milioni di individui!) che ne ha garantito il progressivo sviluppo culturale e linguistico negli ultimi 2000 anni.

La legge tedesca definisce “persona con un passato da migrante” tutti coloro che migrarono nel territorio della attuale Repubblica Federale dopo il 1949, più tutti i cittadini stranieri nati in Germania e tutti coloro che sono nati in Germania con lo status di cittadini tedeschi ma con almeno un genitore immigrato in Germania o che è nato in Germania come cittadino straniero.

Un caso a parte è costituito dalla categoria dei “tedeschi etnici” il cui passato personale non è direttamente legato al “suolo tedesco”. Secondo i dati pubblicati dall'Ufficio Federale di Statistica, dal punto di vista della cittadinanza e del retroterra etnico, la popolazione della Germania può essere così suddivisa:

  • “cittadini tedeschi”, 74 milioni (92,3%), di cui 64,7 di origine tedesca (79%) e 9,9 di origine straniera (11%);
  • “stranieri residenti permanenti”, 9 milioni (10%).

Tuttavia le statistiche ufficiali sulla cittadinanza non mettono a fuoco un altro problema che, al contrario, è ben presente nella coscienza collettiva dei tedeschi; la scarsa fusione dell'elemento etnico dominante, quello più propriamente tedesco e la sua progressiva erosione. Per capire la complessità di questo problema occorre fare un passo indietro nel tempo, all'origine dell'identità nazionale tedesca. Gli eventi che favorirono la nascita di tale coscienza furono senza dubbio la Riforma Protestante e gli sviluppi politici che seguirono la diffusione di una comune lingua e letteratura.

I cinquecento anni seguiti alla Riforma Protestante sono serviti a create la cornice filosofica, culturale e concettuale per definire “chi è tedesco”; tali concetti però, seppur incorporati nella coscienza collettiva del popolo, lasciano comunque insolute diverse questioni. Secondo le parole di Diana Forsythe, che sul problema dell'identità tedesca scrisse nel 1989 un acuto saggio: Le persone che parlano tedesco come lingua materna, hanno un aspetto fisico tedesco e le cui famiglie hanno vissuto in Germania per generazioni sono considerate “maggiormente tedesche”, seguite da categorie di “minore germanità” come gli “Assiedler” (persone di discendenza tedesca le cui famiglie hanno vissuto nell'Est Europa ma che sono tornate in Germania), i “Restdeutsche” (persone che hanno vissuto o vivono in terre che storicamente appartenevano alla Germania ma che attualmente sono incorporate in altri paesi), “Auswanderer” (persone le cui famiglie sono emigrate dalla Germania e che parlano ancora il tedesco), persone che vivono in altre nazioni di lingua tedesca come gli Austriaci e gli Svizzeri tedeschi ed infine emigrati di etnia tedesca che non parlano più tedesco nella loro vita quotidiana. Tali suddivisioni possono risultare a noi bizzarre ma, devono essere comprese se pensiamo alle vicende storiche della Germania, un paese (o meglio, un territorio) assolutamente privo di chiari confini geografici che nel corso di 2000 anni si è espanso e contratto come una fisarmonica a seconda dei periodi e che ha dovuto confrontarsi e scontrarsi con altri paesi dall'identità nazionale, etnica o imperiale altrettanto, se non più, forte.

Un risvolto pratico di questo complicato sistema identitario è stato, ed è tutt'ora, l'integrazione di 14 milioni di “Heimatvertriebene” (tedeschi etnici o cittadini tedeschi che furono espulsi dai territori dell'Europa dell'Est all'indomani della Seconda Guerra Mondiale) e dei loro discendenti, la cui appartenenza al corpo civile tedesco venne sancito nel 1949 da una legge comune delle “Due Germanie post-belliche”, così come l'accoglimento di 4,5 milioni di tedeschi etnici (ma con scarsissima comunanza culturale con la moderna Germania) provenienti dai territori dell'ex-Unione Sovietica dopo il crollo del Muro di Berlino, pur sancito dalla cosiddetta “Legge del Ritorno” del 1992.

Alla luce di quanto sopra riportato, tenendo conto delle spinte centrifughe presenti in Baviera, nello Schleswig-Holstein e nelle regioni storiche della Frisia Orientale, della Franconia e della Lusazia e delle varie differenze regionali e dialettali presenti su tutto il territorio, si capisce bene come anche la categoria dei “tedeschi etnici” sia in realtà un costrutto assolutamente artificiale e che la “nazione tedesca” nel suo complesso poggi i propri piedi su un piedistallo assai più fragile, per esempio e per colmo dell'ironia, della “nazione greca” (che pure non è uno stato monoetnico come molti sarebbero tentati a credere).

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la Crisi Europea del Migranti che ha portato in Germania non meno di 1,2 milioni di richiedenti asilo in un arco temporale assai ridotto ed ha messo a nudo le criticità profonde del “sistema Germania”, oltre ad esacerbare ulteriormente i rapporti tra Berlino ed i partner europei. Tuttavia, per quanto la Germania sia apparentemente forte, essa non ha la potenza necessaria per mettere ordine da sola nel continente europeo. Anche se i tedeschi volessero veramente svolgere il ruolo di leader, non possono farlo senza l'attiva collaborazione di centinaia di milioni di europei. Questo, almeno, era il calcolo che i padri dell'Europa unificata fecero in occasione dei Trattati di Roma quando, attraverso la cooperazione economica, si proposero di creare una “Germania europea”. Purtroppo ciò che abbiamo ottenuto ad oltre 60 anni di distanza è l'esatto contrario: una “Europa tedesca”.

Sorvolando a volo d'uccello la geografia economico sociale del nostro continente ci accorgiamo che, a partire dall'introduzione dell'euro, e ancora di più dopo l'inizio della crisi economica globale del 2007/2008, l'Europa è andata configurandosi a cerchi concentrici orbitanti attorno alla Germania e disposti in maniera gerarchica a seconda del grado reale e percepito di affidabilità economica rispetto al “nucleo germanico”. Tale disposizione, rispecchia in maniera sbalorditiva l'ordinamento famigliare tradizionale della cultura tedesca caratterizzato dalla verticalità patriarcale (uomo-donna e padre-madre-figli) e dalla diseguaglianza (figlio maggiore-figlio minore e figli maschi-figlie femmine).

Data la tendenza delle società umane a replicare a livello sociale le dinamiche esistenti in campo famigliare, non è da stupirsi se, storicamente, i tedeschi si siano dimostrati particolarmente ricettivi ad accettare ed esportare sistemi di governo di natura profondamente totalitaria e diseguale quali l'Impero del Kaiser, il Terzo Reich nazista e la Repubblica Democratica Tedesca comunista, tre dei regimi più totalitari mai apparsi su questa terra. Allo stesso modo oggi, in maniera cosciente o meno, rifiutando di risolvere i propri problemi di ordine demografico e di cittadinanza interni ed imponendo agli altri paesi europei la propria cura a base di austerità e disuguaglianza politico-sociale, la Germania sta ponendo se stessa sulla medesima strada già intrapresa per ben due volte nel corso del XX secolo, con conseguenze che tutti ricordano.

Ricordiamo, infine, che l'ascesa al potere di Hitler venne favorita non soltanto dall'iper-inflazione e dalla crisi economica seguita al collasso del '29 ma anche dal drammatico calo del tasso di fertilità a seguito della Prima Guerra Mondiale e al deterioramento del tradizionale sistema famigliare tedesco che rese la società tutta più instabile politicamente (nel 1933 il tasso di fertilità totale delle donne tedesche era di 1,60 figli per donna, sorprendentemente simile a quello attuale!).

Gli effetti che un continuo afflusso incontrollato di immigrati, unito al continuo calo demografico “endogeno” e ad un possibile deterioramento del sistema economico tedesco a seguito di ulteriori shocks europei o mondiali, possono avere nel contesto della moderna Germania non sono affatto scontati o facili da prevedere. Il popolo tedesco questo lo sa ed è giustamente inquieto.

Dobbiamo forse rassegnarci agli inquietanti scenari di una “Germania senza tedeschi” oppure di una “Germania in preda al risorgere dei suoi fantasmi del passato”?

Foto: Bundeswehr