Le guerre non si combattono solo sul campo di battaglia ma anche sui campi agricoli. Il mondo sta assistendo a un numero crescente di persone che vivono nell'insicurezza alimentare e pare sia una scoperta dell’ultima ora.
Le crisi alimentari sono in gran parte legate alle guerre. In Asia e Medio Oriente, milioni di persone sono colpite da crisi alimentari causate da conflitti, Yemen, Afghanistan e Siria sono i paesi maggiormente colpiti dove rimostranze politiche, sociali ed economiche hanno innescato conflitti violenti e armati prolungati1.
Stesse condizioni le troviamo nell’Africa sub-sahariana, in Darfur, Sud Sudan e Tigray (vedasi articolo) i conflitti armati, violenze intercomunitarie e tensioni localizzate hanno contribuito alle crisi alimentari e alla fame. Nel Sahel centrale, la combinazione di espansione jihadista, fallimento dello stato e criminalità (vedi articolo) ha portato a un esponenziale aumento dei conflitti, ad un indotto che non solo porta al collasso della produzione agricola e al decadimento delle infrastrutture nel luogo di origine, ma interrompe e distrugge anche le catene di approvvigionamento locali e regionali e aumenta i prezzi dei prodotti alimentari nei mercati locali.
L'insicurezza alimentare può diventare un'"arma di guerra" con l’obiettivo di privare una particolare parte in guerra del sostegno della popolazione attraverso il taglio delle scorte alimentari per danneggiare gruppi armati ostili e la popolazione che li sostiene.
La guerra in Ucraina, essendo le parti in conflitto grandi esportatori di cereali, sta acuendo la situazione nei Paesi importatori.
Si fa un gran parlare dell’aumento dei prezzi del grano e dei cereali in genere ma in Italia ed Europa i prezzi stavano già salendo prima dell’inizio del conflitto ISMEA.
Circa cinquanta sono gli Stati che dipendono dalle esportazioni di Russia e Ucraina per più del 30% delle loro importazioni di grano. Egitto, Turchia, Bangladesh e Iran, importano più del 60% del proprio fabbisogno dai due paesi in guerra e le sanzioni irrogate potrebbero avere, di riflesso, effetti disastrosi.
Il Ministero dell’Agricoltura di Kiev ha stimato che potrebbe essere compromessa la semina in quasi la metà delle terre adibite alla coltivazione di grano. Dalla scarsità di cereali sul mercato globale (dovuto sia al conflitto che alla siccità anche in nord America) derivano conseguenze a largo raggio. Il conseguente aumento dei prezzi ha portato ad una crescita dei costi della produzione di pollame e uova sia per l’aumento dei cereali sia per l’aumento dei costi dell’energia.
Russia e Ucraina producono circa il 15% del grano tenero mondiale.
L’Unione Europea è il maggior produttore mondiale e la Russia arriva quasi alla metà della produzione dell’UE. Alla luce di ciò l’Europa non dovrebbe risentire delle mancate importazioni di grano tenero dai due Paesi in conflitto che, invece, non sono tra i primi produttori di grano duro ovvero quello che utilizziamo per la pasta.
Perché allora, in Italia, stiamo assistendo ad aumento dei prezzi considerando anche, come qualcuno sospetta, un aumento dei campi coltivati? Probabilmente perché le due cose, conflitto russo-ucraino e aumento dei prezzi, non sono più di tanto collegati. Forse si tratta di più di un effetto indiretto come quello dell’aumento dell’energia e della siccità che ha colpito il nord America.
La Russia ha sbloccato l’utilizzo dei porti ucraini per l’esportazione dei cereali ed anche la Coldiretti segnala che i prezzi mondiali del grano sono tornato a quelli del mese di marzo. Non è però ben chiaro se quello che si sta esportando sia il grano ucraino o quello russo. Pare che la Russia abbia addirittura incrementato l’esportazione dei cereali dopo l’inizio della guerra.
Non possiamo sottovalutare l’ipotesi di una strategia, da parte di Mosca, di utilizzare la crisi alimentare dei popoli africani, come precedentemente detto, per destabilizzare l’Europa con una ulteriore massiccia immigrazione da quei Paesi.
Gli aspetti legati all’agricoltura non sono da sottovalutare in Russia in quanto le restrizioni sulla catena di approvvigionamento di altre materie prima da e per Mosca potrebbero esasperare il rialzo dei prezzi. Analisti prevedono che il rublo, anche a causa delle sanzioni occidentali, crollerà del 70% e prezzi più elevati e meno offerta (delle materie prime in generale) porterà l’inflazione russa al 20% con ripercussioni anche in Occidente.2
Il presidente russo pare abbia mire espansionistiche oltre l’Ucraina in modo da mettere sotto pressione i Paesi del Patto Atlantico per ottenere altri territori e confidando che l’Occidente, con in testa gli USA, non vogliano arrivare ad uno scontro nucleare.
Questa guerra, a livello economico, vedrà come vincitori solo gli esportatori di energia e di materie prime come le terre rare (vedi articolo).
1 (FSIN e GNAFC, 2021).
2 National Institute of Economic and Social Research