Il 18 marzo scorso, alla fine della 1° sessione del 13° Congresso Nazionale del Popolo (CNP), Xi Jinping è stato riconfermato nella carica di presidente della Repubblica Popolare Cinese e di capo della Commissione Centrale Militare (CMC).
I 3000 deputati del CNP, in rappresentanza delle 56 etnie del Paese che formano il miliardo e 300 milioni di cittadini, hanno anche rieletto il premier, Yu Zhigang, e nominato il vice capo del CMC, Xu Quliang, assieme agli altri membri del Commissione.
Sono state infine scelte altre cariche di vertice, civili e militari, ivi compresi i 14 vice presidenti del CNP ed il segretario generale.
La particolare solennità delle cerimonia, alquanto inusuale, è culminata con il giuramento di Xi sul testo della Costituzione, portato in aula da un picchetto di militari dell’Esercito di Liberazione Popolare.
La figura di Xi risulta ora ulteriormente rafforzata nella sua funzione di ispiratore e cardine del profondo processo di trasformazione in corso in Cina, e la solennità della sua cerimonia di investitura ne costituisce la plastica rappresentazione.
Il presidente cinese assomma ora in sé, infatti, oltre alle due citate cariche (fatto mai avvenuto in precedenza) anche la direzione di numerose “commissioni” alle quali è devoluto il compito di pilotare la trasformazione dello Stato, coerentemente con quello che lo stesso Xi ha chiamato, all’indomani della sua prima elezione nel 2013, il “sogno cinese”.
Tra queste: la “commissione centrale per la sicurezza nazionale”, che gli consente il controllo della polizia, dei reparti speciali, servizi segreti, tribunali e procure; il “gruppo direttivo centrale per la sicurezza di internet e l’informatizzazione”, cui è devoluta, in ultima analisi, la censura; il “gruppo direttivo centrale per un pieno approfondimento delle riforme”, che delinea le linee guida delle riforme in campo economico, culturale, sociale e etico, permettendo al neo presidente di consolidare l’autorità sul vasto apparato di governo.
Da notare, tra l’altro, come i citati organismi siano tutti organismi di Partito, frutto della (oramai consolidata) prevalenza degli apparati del Partito Comunista cinese (PCC) su quelli della Repubblica popolare. Il Partito, d’altronde, viene considerato (e narrato come) una garanzia fondamentale per assicurare la rinascita della Nazione, e la sua dirigenza l’unica in grado di riscrivere e realizzare le particolari caratteristiche che il “socialismo cinese” deve possedere.
Non sorprenda, quindi, che la stessa battaglia contro la corruzione sia stata affidata alla “commissione centrale per le indagini disciplinari”, anch’essa organo, tra i più importanti, del PCC.
La particolare solennità con la quale Xi è stato investito intende, pertanto, comunicare al mondo la fiducia e il credito ricevuti dal popolo cinese per la realizzazione del progetto di cambiamento in corso, frutto di una visione di stato (socialista) e di futuro, che Xi - anche questo fatto irrituale - ha ottenuto venisse ascritta nella Costituzione del PCC ed in quella della Repubblica.
Una visione, nelle intenzioni del suo ispiratore, che permetterà al Dragone (se saprà sfruttare l‘attuale periodo di “opportunità strategica”), di acquisire nel breve periodo un diffuso livello di prosperità economica e di assurgere al ruolo globale che gli compete per popolazione e forza della sua economia.
La visione del presidente eletto prevede, infatti, una società moderatamente prospera entro il 2020, una sua progressiva modernizzazione tra il 2020 ed il 2035, e, a seguire entro il 2049, il consolidamento di una società “socialista moderna forte, prospera, democratica, culturalmente avanzata e democratica”.
Stando a quanto ha reso noto da Xinhuanet, l’agenzia di stampa ufficiale, il primo quinquennio di Xi avrebbe già prodotto (il condizionale è d’obbligo) molti frutti.
Per la prima volta, infatti, i consumi interni guiderebbero la crescita pesando per il 58% del PIL, in aumento di 5 punti percentuali rispetto all’anno precedente, mentre l’aspettativa di vita è salita a 76,6 anni, prima fra i Paesi in via di sviluppo.
Sarebbero inoltre 68 milioni i cinesi che hanno definitivamente abbandonato la condizione di povertà, dato che va ad aggiungersi ai progressi riportati nel campo della protezione ambientale ed in quello della corruzione, cui Xi ha impresso una accelerazione mai vista, facendo arrestare numerosi alti papaveri della nomenclatura militare e civile.
Forse anche confortato da questi risultati, Xi ha più volte toccato, nel corso della sessione appena conclusa, le corde del nazionalismo cinese, rifacendosi alla millenaria civiltà dell’Impero di mezzo e alla sua “capacità di generare continuamente storia, cultura e scienza”.
Quella di Xi Jinping è una Cina che non costituisce minaccia per alcuno e non cerca egemonia o espansionismo (anche se le dispute in corso con il Giappone, Vietnam e Filippine, nel mar cinese orientale e meridionale sembrerebbero portare in altra direzione).
Una Cina, al contrario, tutta orientata alla realizzazione “del grande progetto, della grande causa e del grande sogno”, ossia uno sviluppo condiviso con tutti i partner regionali, in grado di assegnarle quanto prima il rango globale che le spetta, nell’ambito però di una crescita comune (win-win).
È ormai chiaro che la Cina di oggi pensi ed agisca già come una superpotenza e che la sua definitiva e sostanziale affermazione sia ormai solo questione di tempo.
(foto: Xinhua / Ministry of National Defense of the People's Republic of China)