Il presidente francese Macron, anche in qualità di presidente di turno del Consiglio dell’Unione Europea, dopo un’ennesima telefonata di quasi due ore con l’omologo russo Putin, non ha fatto in tempo ad annunciare la possibilità di un summit tra i massimi vertici di Washington e Mosca, che da quest’ultima arriva il riconoscimento ufficiale delle repubbliche separatiste del Donbass (Donetsk e Luhansk) e l’entrata delle truppe russe nei territori da queste controllati.
Già il 7 febbraio il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov aveva preannunciato che l'incontro tra i due, precedente a questa conversazione, per quanto importante, non avrebbe portato a svolte decisive.
Queste dinamiche rivelano molto sulle differenze di stazza e sulle tattiche di gioco delle potenze coinvolte nell'attuale crisi ucraina. I russi intendono in realtà ribadire che si considerano una superpotenza e che, proprio per questo, parlano soltanto con gli Stati Uniti, quando si tratta di decidere veramente qualcosa, e non con i loro satelliti europei.
Se davvero la Russia considerasse conclusivi i rapporti con una “provincia” del proprio avversario, per quanto importante e più o meno autonoma nel muoversi, automaticamente ammetterebbe una diminutio del proprio status di grande potenza, vera o presunta che essa sia. L’obiettivo russo è invece di essere considerati “faccia a faccia” dagli Stati Uniti, per poter continuare a immaginarsi e accreditare pari ad essi.
Perlomeno a livello diplomatico, lo scopo di considerarsi interpellati al medesimo livello dagli americani è finora stato raggiunto dai russi, un risultato che non metterebbero mai a repentaglio, trattando veramente con potenze minori. Ovviamente il presidente francese questo lo sa (si è limitato a dire di sperare in una de-escalation) e non va a parlare con l’omologo russo, presumendo di poterne condizionare la traiettoria.
Vanno innanzitutto fatte due premesse.
Primo. Non sembra essere un caso che la fase attuale della crisi ucraina (la crisi in sé c’è dal 2014) avvenga in questo determinato momento europeo. La Germania vive il tramonto dell’era della cancelliera Merkel e l’inizio, perlomeno in apparenza non esaltante, del successore Scholz; si è alla fine della presidenza Macron e di fronte al suo tentativo di riconferma; il primo ministro inglese, Jhonson, è sempre sull’orlo di una crisi di governo, per scandali legati ai covid-party; infine il premier italiano Draghi è debole per sistema istituzionale e per contingenze politiche, evidenziate sia dal rischio di elezioni anticipate, in caso di suo passaggio al Quirinale, sia dalle modalità travagliate della rielezione a presidente della Repubblica di Mattarella.
Secondo. Macron si è presentato come espressione di una costruzione, quella dell’Unione Europea, che la percezione russa della potenza, più che non capire, non apprezza (forse addirittura disprezza). È un’architettura che non è né imperiale né nazionale, dunque costruita per essere oggetto, assolutamente non soggetto.
È la Nato l’unica organizzazione che la Russia considera reale. Si può aggiungere che questo è chiaro anche all’oggetto, ovvero all’Unione Europea, e dunque a Macron, che nelle circostanze la rappresenta. Perciò trattare con chi non ha peso non significa cercare soluzioni, ma perdere tempo (per la Russia) e cercare di far perdere tempo e dunque guadagnarne per sé (da parte della Francia – UE).
Riconoscere le due repubbliche separatiste subito dopo i colloqui con la “voce” dell’UE ha allora anche il significato di umiliare un’organizzazione che Mosca non stima e di ribadire che il gioco del tempo Putin non solo lo conosce, ma non ci sta, a meno che, come sta facendo, non sia lui a gestirne le fasi.
Tornando alla partita che Macron sta giocando non in quanto presidente del Consiglio dell’UE, ma in quanto francese, questa è invece rivolta ad altri attori.
Innanzitutto vale per la Francia l’inverso di quel che vale per la Russia. Come questa non prende decisioni con quella, perché questo sminuirebbe la percezione simbolica della propria potenza, così la Francia tenta di parlare ad una potenza di taglia più grossa della sua, perché questo ne aumenta lo status e le permette di presentarsi agli altri soggetti (e oggetti) della partita con un peso maggiorato.
In primis Parigi vuole segnalarsi agli occhi di Washington come punto di riferimento europeo affidabile nella trattiva, anche se appartenente al club degli europei meno anti-russi. Proprio perché sono i veri decisori, gli Stati Uniti non possono permettersi di appaltare una partita, che richiede un’enorme lucidità geopolitica, ai Paesi della cosiddetta Nato dell’Est, la cui paura della postura russa è imperante e gli impedisce di immaginare un qualunque realistico compromesso con Mosca. I Paesi dell’Europa centro-orientale servono sicuramente a contenere quest’ultima, quando si tratta di contenimento assertivo, ma sono quasi controproducenti, se si deve trattare con essa.
Quando sono in gioco degli accordi, viene mobilitata quella parte della NATO europea che, a causa della distanza maggiore dalla Russia, è anche dotata di maggiore serenità nel valutare i pro e i contro di una determinata conciliazione ai suoi confini. Nel mobilitare questa parte dell’alleanza atlantica, gli Usa lo fanno coniugando tale necessità con quella, altrettanto imprescindibile, di continuare a tenere la Germania “sotto”, perché, tra i Paesi più comprensivi verso la Russia, è però quella troppo importante per lasciarla essere troppo comprensiva.
Gli Usa danno possibilità di manovra a quegli alleati europei, che controbilanciano e impediscono alla Germania una qualsiasi possibilità di trattare da protagonista in una partita che, se portata a casa con successo, le darebbe elementi per aumentare un’eventuale sua sfera di influenza regionale e dunque una maggiore capacità di raccordo con la potenza russa, a scapito dell’egemonia americana in Europa.
Qui diventa fondamentale la discesa in campo della Francia, nazione che ha molta meno necessità della Germania del gas russo, dunque meno “fascinabile” dalle sirene di Putin. Mandarla avanti significa intercalarla allora tra Germania e Russia e fare in modo che tutto ciò che in quello spazio le separa, continui a separarle, Ucraina compresa. Nel momento in cui infatti questa percepisce la parte occidentale della NATO sfilarsi da un appoggio militare totale a sua difesa, la Francia vuole però dirgli che in ogni caso è lei il suo punto di riferimento europeo. Tradotto, la Francia dice all’Ucraina che non può fare affidamento sulla Germania, il cui livello di esposizione nei rapporti con Mosca è troppo elevato. I francesi in questo modo alimentano i sospetti ucraini di essere sacrificabili agli occhi tedeschi, per porre essi stessi come referenti in sé e come vero braccio europeo degli Stati Uniti in questa crisi. Anche qui, traducendo, se Kiev vuole continuare ad avere Washington dalla sua parte, deve appoggiarsi, in Europa, a Parigi, non a Berlino.
Andando oltre, da una parte la Francia è autorizzata a mediare con la Russia, perché neppure a lei conviene che una chiusura totale con essa spinga ancor di più questa verso la Cina, ma dall’altra parte ugualmente non le conviene che, trattando con gli europei, la medesima si avvicini troppo alla Germania – se gli Usa temono una partnership russo-tedesca, ci si figuri la Francia, che risiede in loco.
Gli Stati Uniti, si può così parafrasare, preferiscono il velleitarismo di una mediazione franco-russa, più che una stretta di mano geopolitica russo-tedesca, perché potenzialmente molto più pericolosa, in quanto sarebbe più “pesante”. Questo non significa che Biden voglia eliminare la Germania dalla partita, sarebbe impossibile, vista la taglia del Paese in questione, ma usarla per moltiplicare la forza francese, inibendole la possibilità di fare in autonomia. Cosa che Parigi cerca di fare in ogni dossier europeo. L’ufficializzazione della sospensione (già in atto) del Nord Stream 2 lo certifica. Altrettanto significativo, a riprova del timore americano per la possibile vicinanza tedesca alla Russia, è che lo stesso 7 febbraio, giorno dell’ “invio” di Macron da Putin, Scholz sia stato “convocato” a Washington da Biden.
In realtà il presidente francese sta giocando anche su altri tavoli contemporaneamente. Il primo è quello interno. Macron, a circa due mesi dalle elezioni presidenziali francesi, vorrebbe potersi giocare alle urne la carta di un successo diplomatico, vendendo la sua partecipazione alle trattative come qualcosa di fondamentale. Non è vero, ma è politica.
Si sta inoltre posizionando agli occhi di Kiev in competizione con il forte aiuto che questa riceve dalla Turchia, anch’esso in senso anti-russo. Sostenendo l’Ucraina, la Francia vorrebbe porsi, non solo dentro l’Ue, ma anche nella Nato, come sua migliore amica e allinearla a sé, sfilandola alla Turchia. È solo l’ennesimo capitolo di uno scontro Francia-Turchia, che ormai coinvolge più scenari geopolitici. Purtroppo il suo sostegno, indisponibile all’intervento militare diretto, risulta un aiuto spuntato rispetto a quello turco, i cui droni hanno contributo a rendere più fragile mesi fa la resistenza dei separatisti del Donbass e quindi a innervosire la Russia.
Aiutando l’Ucraina, pur se limitatamente, ma comunque facendolo, la Francia parla anche agli altri Paesi est-europei dell’Alleanza Atlantica, sottolineando a tutti che lei, e non la Germania, è uno scialle (certo non un armatura) che supporta dalla retrovie il loro sforzo anti-russo. È poco, certo, ma allevia la loro sensazione di essere aiutati solo da un impero lontano, per quanto presente, come quello americano. Infine
Macron gioca sul lungo periodo, nell’eventualità quasi impossibile di una futura autonomia strategica europea, che gli euro-orientali non vogliono, perché la traducono come allontanamento dal protettore statunitense. La Francia, aiutando l’Ucraina, le ricorda che sarebbe l’unico vero perno militare di un improbabile schieramento europeo slegato da Washington. L’unica potenza Ue a poter garantire l’ombrello atomico.
Dunque sia Macron che Putin si parlano per non decidere nulla, e dunque, se cessano di farlo, sostanzialmente non interrompono alcunché, ma soprattutto mandano dei messaggi agli altri attori in campo. In un certo senso questi colloqui sono molto più importanti degli spostamenti di truppe, perché questi sono funzionali alle trattative, più che in contraddizione con esse (per ora).
Niente avverrà o sarà sventato tramite i colloqui con potenze minori, ma passerà anche tramite queste, pur se non saranno decisivi e finali, perché Stati Uniti e Russia parleranno anche da pari a pari, ma per quanto la Russia lo pretenda, non lo sono.
Foto: Cremlino