Dopo aver parlato estesamente nelle due precedenti analisi sia dei problemi interni della Bielorussia sia degli interessi geopolitici di Mosca nella cornice della attuale crisi, è arrivato ora il momento di analizzare maggiormente in dettaglio le strutture di potere sulle quali si basa il regime del presidente-padrone Aleksandr Grigoryevich Lukashenko e dove e come potranno sorgere dei punti di rottura che porterebbero alla sua caduta.
Lasciando da parte le generose politiche sociali, soprattutto a vantaggio dei lavoratori dell'industria pesante e dell'agricoltura, studiate apposta per guadagnarsene il consenso, i pilastri del regime di Lukashenko dal lato del cosiddetto “hard power” sono sempre stati sin dal principio: le Forze Armate e le Forze di Sicurezza. Essendo la Bielorussia un paese post-Sovietico, non c'è da stupirsi che essa abbia mutuato sia il suo strumento militare che quelle che chiameremmo “forze dell'ordine” proprio dal suo “stato genitore” e che esse condividano numerose caratteristiche con quelle degli altri paesi, sia riconosciuti che non, sorti dalle ceneri dell'ex-URSS.
Al momento della disgregazione dell'impero sovietico, nel dicembre del 1991, la neonata Repubblica di Bielorussia prese il controllo di un imponente strumento militare costituito dagli assets delle ex-Forze Armate Sovietiche acquartierate sul proprio territorio. A quel tempo, la giovane repubblica divenne persino uno “stato nucleare” dato che ereditò pure 81 missili balistici a testata singola basati laggiù. Tuttavia, ottemperando ad una serie di accordi internazionali sotto l'ombrello del cosiddetto “Trattato di Non-Proliferazione Nucleare”, la Bielorussia (assieme all'Ucraina ed al Kazakistan) accettò di cedere entro il 1996 tutte le sue armi nucleari alla vicina Russia affinché fossero smantellate. Parallelamente, a causa della terribile crisi economica e della mutata situazione strategica internazionale, le autorità di Minsk optarono inoltre per una decisa riduzione dello strumento militare convenzionale, a quel tempo assolutamente sproporzionato per le dimensioni economiche e demografiche dello stato. Nonostante dopo la sua elezione a presidente, Lukashenko abbia più volte giurato di ristabilire il prestigio militare della Bielorussia ed abbia creato un sistema di propaganda molto efficace per trasmettere tale immagine sia all'estero che all'interno, la realtà dei fatti è completamente diversa, dato che non solo lo strumento militare di Minsk ha continuato a ridursi numericamente anche sotto il suo regime, ma si è pure assistito ad un paurosissimo degrado qualitativo, non dissimile a quanto avvenuto nella vicina Ucraina.
Attualmente, le Forze Armate Bielorusse contano su 65.000 effettivi e 350.000 riservisti, per un totale teorico di 415.000 uomini divisi in cinque branche: le Forze di Terra, le Forze Aeree e di Difesa Aerea, le Forze Speciali, le Forze Mobili e le Truppe Territoriali. Dato che la Bielorussia è un paese privo di sbocco al mare, essa non possiede una Marina. La prima cosa che bisogna notare è che la gran parte dei riservisti non viene regolarmente richiamata per “rinfrescare l'addestramento militare” come avviene invece in paesi come gli Stati Uniti d'America, il Regno Unito, Israele o, andando a pescare nello spazio ex-sovietico, l'Armenia. La quasi totale mancanza di addestramento dei riservisti li rende essenzialmente una componente inutile della forza combattente e ha effetti a cascata su tutto il sistema militare e le sue branche costituenti:
- le Truppe Territoriali, dall'alto dei loro 120.000 effettivi costituiscono numericamente la componente più importante degli armati di Minsk ma, dato che esse sono costituite esclusivamente da riservisti con addestramento ridotto o nullo, esse si riducono essenzialmente ad una sorta di “dopolavoro in uniforme” buono per le parate e nulla più. La conseguenza più evidente del fallimento delle Truppe Territoriali sono le attuali proteste che stanno interessando il paese. Dato che l'esistenza stessa di tali truppe ha per l'appunto la finalità di “militarizzare la società e renderla obbediente”, il fatto che il movimento dell'Opposizione Bielorussa sia riuscita a portare in piazza così tante persone per così tanti giorni consecutivi, è il segnale che i cippi sono stati tolti ed il controllo militaresco è definitivamente caduto;
- le Forze Mobili, dette anche Truppe Logistiche (o Truppe di Trasporto) sono una branca autonoma della Forze Armate Bielorusse che si occupano di gestire il delicato sistema della logistica e di favorire gli spostamenti e la mobilitazione generale del potere militare del paese nell'eventualità dello scoppio di una guerra. Anche in questo caso però, il nerbo delle suddette è costituito da riservisti perciò valgono le stesse valutazioni riportate di sopra per le Truppe Territoriali. Il fatto che la logistica rappresenti il celeberrimo “tallone d'Achille” delle forze di Minsk lo si intuisce anche dalle esercitazioni congiunte tra forze armate di Russia e Bielorussia, nel corso delle quali i Bielorussi devono immancabilmente fare affidamento sui ben più organizzati, addestrati ed equipaggiati servizi logistici dei Russi. Questa è decisamente una pessima notizia per un paese coperto di foreste e di paludi dove la padronanza dell'arte della logistica è quintessenziale se si vuole combattere una guerra;
- le Forze di Terra rappresentano la componente di manovra dello strumento militare bielorusso. Esse sono costituite in parte da soldati in servizio attivo (sia professionisti che coscritti) e in parte da riservisti. Le unità delle Forze di Terra formate da riservisti sono male addestrate e versano in una condizione simile a quella delle già citate Forze Mobili e Truppe Territoriali. Le cose vanno ovviamente meglio per le unità costituite da soldati in servizio attivo, ma anche qui vige il detto: “una rondine non fa primavera”, dato che diversi osservatori internazionali hanno segnalato l'estrema difficoltà che hanno i soldati bielorussi ad operare, per esempio, a livello “di brigata”. Se si considera il fatto che le brigate costituiscono l'elemento base delle dottrine militari bielorusse, ciò non depone assolutamente in favore degli strateghi di Minsk. Complessivamente, la componente di combattimento delle Forze di Terra è organizzata su tre brigate: la 6a Brigata Meccanizzata delle Guardie, acquartierata a Grodno, l'11a Brigata Meccanizzata delle Guardie, di stanza a Slonim, e la 120a Brigata Meccanizzata delle Guardie situata proprio nella capitale Minsk. Tale disposizione è stata studiata per permettere a tali unità di convergere rapidamente verso i confini della Polonia e della Lituania in caso di invasione del territorio nazionale da parte della NATO, e questo giustifica gli annunci roboanti di Lukashenko delle ultime settimane, in base ai quali “l'esercito bielorusso è stato mobilitato ai confini dei paesi dai quali provengono le forze ostili e distruttive”;
- le Forze Aeree e di Difesa Aerea sono il contraltare nei cieli delle Forze di Terra e hanno il delicato compito di proteggere lo spazio aereo nazionale. A causa della sua complessità tecnica e dell'alta tecnologia che implicitamente caratterizza i suoi mezzi, la componente aerea, sia ad ala fissa che ad ala rotante, ha sofferto più di tutte dei tagli di bilancio che si sono susseguiti anno dopo anno a partire dall'indipendenza. Oggi le Forze Aeree sono solamente l'ombra di quelle che erano nel 1992, con gran parte dei velivoli che sono stati venduti sui mercati degli armamenti per ottenere valuta forte oppure sono stati semplicemente radiati e demoliti, e non stiamo parlando solo di “ferri vecchi” dato che, per esempio, nel dicembre del 2012, la Bielorussia prese la decisione di radiare tutti e 21 i caccia pesanti Sukhoi Su-27 “Flanker” ancora in servizio, unico tra i 19 paesi che abbiano finora avuto in servizio un velivolo della famiglia “Flanker” ad optare per a radiazione completa di uno dei modelli. Lo stesso dicasi per i Mig-29, ereditati dall'Unione Sovietica in non meno di 80 esemplari, oggi ridotti a 39. Le Forze Aeree sono state inoltre interessate da una lunga sequela di incidenti che hanno portato alla perdita di diversi velivoli e piloti, mettendo in tal modo a nudo anche le deficienze croniche nella manutenzione dei velivoli; aspetto, quest'ultimo, segnalato anche da diversi clienti di armi bielorusse come l'Algeria, l'Angola, il Sudan o la Siria, che si sono visti recapitare velivoli che non erano assolutamente più in grado di volare se non dopo radicali e costosissimi programmi di rivitalizzazione delle cellule. Migliore è la situazione delle Forze di Difesa Aerea, che controllano i radar e i missili antiaerei, ma solamente perché la difesa antiaerea è da anni strettamente integrata con quella russa, essendone diventata a tutti gli effetti un'appendice e venendo pertanto finanziata direttamente da essa;
- le Forze Speciali sono l'ultima delle componenti delle forze di Minsk, la migliore a tutti gli effetti dal punto di vista qualitativo e sono forti di circa 6000 uomini scelti tra i militari di professione o tra i coscritti maggiormente dotati sul piano fisico e mentale. Vista l'importanza che questi uomini ricoprono sia all'interno delle strutture militari che come bastioni del regime, è necessario spendere un po' di parole su di essi. All'atto della loro fondazione, le Forze Speciali contavano circa 1000 uomini ma sono state successivamente soggette ad un processo di potenziamento, vedendosi assegnati non solo i compiti regolari tipici delle forze speciali ma anche una serie di funzioni aggiuntive di carattere securitario contro eventuali disordini interni. In questo modo, il regime ha voluto avere a disposizione delle formazioni politicamente affidabili, ben addestrate e pronte ad agire rapidamente e senza pietà al profilarsi delle minacce. Gli operatori delle Forze Speciali devono tutti conseguire il brevetto di paracadutismo e ricevono un addestramento piuttosto intenso dal punto di vista fisico e decisamente realistico, con l'utilizzo di lame ed armi da fuoco con proiettili veri e non a salve, tanto che non sono mancati gli incidenti, diversi dei quali mortali. Come già menzionato nella precedente analisi, la Bielorussia ha ereditato dall'URSS l'importante base per l'addestramento degli Spetsnaz di Mariyna Gorka ed è lì che gran parte delle attività addestrative sono concentrate. Le unità che fanno capo al Comando delle Forze Speciali sono:
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la 38a Brigata da Assalto Aereo delle Guardie, di stanza a Brest;
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la 103a Brigata Aviotrasportata delle Guardie, di stanza a Vitebsk;
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il 33esimo Distaccamento Spetsnaz delle Guardie, di stanza a Vitebsk;
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la 5a Brigata Spetsnaz, di stanza a Mariyna Gorka;
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il Distaccamento per Impieghi Speciali della 5a Brigata Spetsnaz (anche nota come “la Compagnia degli Ufficiali” perché formata solamente da ufficiali), di stanza a Mariyna Gorka;
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la 527esima Compagnia Spetsnaz, di stanza a Grodno;
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la 22esima Compagnia Spetsnaz, di stanza a Grodno;
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il 742esimo Centro di Comunicazione da Campo, di stanza a Kolodishi;
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il 91esimo Battaglio Separato di Protezione, di stanza a Minsk.
Nonostante le loro indubbie qualità, le Forze Speciali, non bastano da sole a risollevare la valutazione relativa alla Forze Armate Bielorusse nella loro totalità, che resta fortemente negativa. Secondo diverse analisi e report d'intelligence redatti sia in sede NATO che nella Federazione Russa, le Forze Armate Bielorusse nel loro complesso si trovano in una fase di decadimento terminale: non sono più una fonte di orgoglio ma di alienazione per la popolazione bielorussa, non riescono più ad integrare i coscritti nel tessuto della nazione ma generano l'esatto opposto e, tecnicamente, non sono in grado di sostenere efficacemente le Forze di Sicurezza nel caso emergessero sfide veramente serie di natura interna o esterna alla stabilità del regime di Lukashenko.
Nonostante dal lato della propaganda Lukashenko dimostri continuamente la “solidità” del suo “pugno d'acciaio” e non disdegni di presenziare a parate e manovre militari vestendo di volta in volta curiose uniformi studiate a suo personale uso e consumo, la realtà oggettiva sul terreno è assai diversa. Corruzione, alcolismo, indisciplina, incompetenza generale e, soprattutto, il diffusissimo fenomeno della “dedovshchina” (quello che in Italia viene chiamato “nonnismo”) stanno letteralmente minando l'istituzione dal profondo tanto da metterne in dubbio la sopravvivenza nel lungo periodo. A titolo esemplificativo basterà ricordare che secondo i dati ufficiali del Ministero della Difesa della Repubblica di Bielorussia, il 49% dei giovani officiali sfornati dalle accademie militari tra il 2011 ed il 2015 hanno deciso di lasciare le Forze Armate ben prima della fine del loro contratto di arruolamento mentre su circa 500 che sono riusciti a terminare il periodo di contratto, solamente 59 hanno optato per rimanere in servizio anche successivamente; tutti gli altri si sono letteralmente “persi per strada”, inorriditi dalla situazione che hanno trovato mentre erano in servizio.
Persino i media nazionali fanno ormai filtrare continuamente report aventi come oggetto i maltrattamenti subiti dai soldati e dagli ufficiali subalterni e del continuo fallimento da parte dell'alto comando di punire i responsabili, anche nei casi estremi nei quali tali azioni risultino nella morte dei soldati. La cosa interessante è che in Bielorussia, come praticamente dovunque nel mondo, i giovani studenti delle scuole e delle accademie militari provengono in larghissima parte da famiglie con alle spalle un bagaglio di esperienza al servizio della patria che dura da decenni. Il fatto che abbiano deciso di lasciare in massa l'istituzione la dice lunga sul deterioramento della stessa, e persino il Ministero degli Affari Interni in una nota ufficiale ha dichiarato che il numero di reati commessi nell'ambito militare è “senza precedenti” e “peggiora di anno in anno”.
La preoccupazione sullo stato di salute delle forze armate ormai è diventata prioritaria e viene discussa apertamente da tutti i Bielorussi, non solo da coloro che sono maggiormente allineati con il regime, ma anche da coloro che ne costituiscono l'opposizione più indefessa, tutti seriamente preoccupati che questo processo possa aprire la strada a Dio solo sa quali scenari di destabilizzazione socio-istituzionale. Tuttavia, nonostante questo allarme ormai generalizzato, pare che, fintanto che Lukashenko rimarrà al potere, le Forze Armate Bielorusse continueranno, lentamente ma inesorabilmente, a deperire. Diversa è invece la situazione delle Forze di Sicurezza, nome-ombrello sotto al quale si trovano diverse organizzazioni il cui compito è essenzialmente quello di assolvere alle funzioni delle “forze dell'ordine” nostrane. Dato che le Forze di Sicurezza rappresentano la prima linea di difesa del regime contro l'opposizione interna, non c'è da stupirsi che Lukashenko abbia sempre investito ingenti risorse per potenziarle e “fidelizzarle”. Principale bastione della sicurezza interna del paese è il Ministero degli Affari Interni, noto con la sigla di MVD/MUS. Da esso dipendono tutta una miriade di altre istituzioni e realtà delle quali citeremo solamente le più importanti ai fini di questa analisi vista la loro comprovata collusione con il regime al potere:
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la Militsiya: seguendo una prassi ereditata dall'Unione Sovietica, “militsiya” è il nome con il quale è ancora chiamata la “polizia”. Essa è divisa al suo interno in numerosi dipartimenti sia a carattere territoriale sia per missione e competenza. Al fianco delle normali operazioni di “forza dell'ordine”, la Militsiya ha anche un ruolo fondamentale nel reprimere le proteste dell'opposizione interna;
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le Truppe dell'Esercito dell'Interno: organizzazione esistente solamente nei paesi post-Sovietici, le Truppe dell'Esercito dell'Interno costituiscono una vera e propria forza armata e di gendarmeria utilizzata per reprimere eventuali sommovimenti interno o disordini di natura etnica. Tra le unità di tale “esercito” va segnalata in particolare la 3a Brigata Separata per Operazioni Speciali (anche nota come “Unità Militare 3214”, “Brigata Uruchenskaya” oppure “gli Zombie di Lukashenko” per la lealtà quasi fanatica con la quale eseguono i suoi ordini);
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gli OMON/AMAP: come i loro equivalenti russi, gli OMON/AMAP sono distaccamenti speciali di gendarmi specificatamente addestrati per ingaggiare le folle in situazioni di disordini urbani, un po' come le nostre unità di polizia antisommossa. In realtà, spessissime volte gli OMON/AMAP sono stati utilizzati letteralmente per pestare ed intimidire i manifestanti inermi in situazioni dove l'utilizzo della forza non sarebbe stato nemmeno necessario;
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l'Unità Speciale Anti-Terrorismo “Almaz” (SPBT Almaz): unità creata per assolvere a compiti anti-terrorismo, l'Almaz ha accumulato nel corso degli anni un'eccellente reputazione e può vantare un curriculum di prim'ordine a livello globale sia nella lotta contro il terrorismo sia contro la criminalità organizzata, ma a volte è stata pure impiegata per intimidire membri prominenti dell'opposizione, azioni queste ultime che ne hanno sporcato la storia altrimenti brillante;
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l'Unità Speciale di Reazione Rapida (SOBR): unità creata ad immagine e somiglianza delle SOBR russe, la SOBR bielorussa è un'unita speciale incaricata di catturare criminali armati ed altamente pericolosi, liberare ostaggi ed intervenire in altri contesti “delicati”. Pur avendo negli anni accumulato un curriculum pari a quello della “sorella” Almaz sopra citata, la SOBR sì è anche guadagnata in Bielorussia una fama sulfurea dato che, sotto diretto ordine del suo ex-comandante Dmitry Pavlichenko, si è resa responsabile della sparizione e del quasi certo assassinio di diverse personalità di spicco del mondo dell'opposizione e persino dell'imprenditoria bielorussa colpevoli di non essere sufficientemente “malleabili” per il regime di Lukashenko.
Oltre al Ministero degli Affari Interni e alla galassia di entità ed unità sotto la sua giurisdizione, il regime di Lukashenko si affida ad altre due importantissime “strutture” per garantire la propria stabilità interna. Uno è il cosiddetto Servizio di Sicurezza Presidenziale della Bielorussia, formalmente incaricato di provvedere alla sicurezza fisica del presidente e delle altre importanti cariche istituzionali dello stato, ma di fatto utilizzato da Lukashenko come una sorta di “guardia pretoriana” da scatenare a suo piacimento e senza ritegno contro tutti i suoi nemici politici senza che il potere giudiziario e quello legislativo possano portare a compimento alcun tipo di supervisione nei riguardi delle sue azioni. L'altro è invece il celeberrimo Comitato per la Sicurezza dello Stato della Repubblica di Bielorussia (KGB/KDB), erede del vecchio KGB sovietico del quale porta ancora il nome. Qui non sono necessarie presentazioni perché il KGB/KDB bielorusso è assai famoso a livello internazionale per le ripetute violazioni dei diritti umani nei confronti di oppositori veri o presunti del regime, i quali molto spesso vengono raggiunti persino all'estero dagli “artigli” dei “siloviki” bielorussi. Ufficialmente il KGB/KDB avrebbe anche altri compiti quali le operazioni di spionaggio all'estero, quelle di contro-spionaggio, l'intelligence in campo militare e l'anti-terrorismo tuttavia il record particolarmente negativo di operazioni contro il suo stesso popolo ha semplicemente eclissato anche quanto di buono l'organizzazione abbia fatto nel corso degli anni e l'ha resa l'entità più odiata a livello popolare in tutto il paese. Oltre ai suoi dipendenti ed operativi in abiti civili, il KGB/KDB controlla anche due importanti formazioni militari:
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il Servizio delle Guardie di Frontiera: le Guardie di Frontiera bielorusse hanno il compito di controllare i confini sia interni che esterni del paese in collaborazione con il Comitato dei Confini di Stato della Repubblica di Bielorussia, GPK. Sia le Guardie di Frontiera che il GPK si sono dimostrate negli anni particolarmente efficaci nell'impedire il contrabbando all'interno del paese di materiale utilizzabile a fini “insurrezionali” tanto da rendere fondamentalmente impossibile il ripetersi in terra bielorussa di scenari quali la “Euromaidan” d'Ucraina;
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il Gruppo Alfa: la “crème de la crème” (o la “merde de la merde” a seconda delle interpretazioni personali di ciascuno) dell'intero apparato militare e di sicurezza della Repubblica di Bielorussia, il Gruppo Alfa bielorusso, proprio come le sue “unità sorelle” di Russia, Ucraina e Kazakistan che portano lo stesso nome, tre origine direttamente dal Gruppo Alfa sovietico, unità anti-terrorismo fondata nel 1974 dall'allora capo del KGB sovietico Yuri Andropov e divisasi nel 1991 su linee repubblicane al momento della disintegrazione dell'URSS. Secondo la testimonianza del suo ex-comandante, il colonnello Oleg Chernyschev, l'età media dei suoi membri si aggira sui 27 anni e il personale è composto per l'80% da veterani provenienti da altre unità delle Forze di Sicurezza e per il 20% da atleti professionisti. L'addestramento fisico al quale gli specialisti bielorussi sono sottoposti è di prim'ordine a livello mondiale e non è esagerato dire che tutti gli uomini del Gruppo Alfa siano potenzialmente altrettanti campioni olimpionici e, ovviamente, sanno usare le armi! Ad essi vengono assegnate le missioni più delicate in assoluto dell'intero spettro operativo immaginabile e, come altre unità d'élite delle Forze di Sicurezza del paese, anche l'Alfa ha collezionato una buona dose di condanne internazionali per abusi quali pestaggi, torture e uccisioni extra-giudiziarie.
Abbiamo così concluso la nostra carrellata attraverso l'infinita serie di “matrioske” che compongono il variegato mondo delle Forze Armate e delle Forze di Sicurezza della Bielorussia di Lukashenko. Il risultato finale è un quadro caratterizzato da luci ed ombre non sempre di facile interpretazione.
Abbiamo visto come, al di là della propaganda ufficiale del regime bielorusso, le Forze Armate del paese siano in uno stato di pieno decadimento, se non addirittura di disfacimento, con l'unica eccezione costituita dalla unità in capo al Comando delle Forze Speciali.
Viceversa, la compagine delle unità e delle istituzioni che compongono il mondo delle Forze di Sicurezza rappresenta una macchina ben oliata, addestrata e motivata che nel passato come nel presente è stata utilizzata dal potere come un randello senza fare tanti complimenti.
Ora che Lukashenko sta affrontando la sfida più seria al suo potere da 26 anni a questa parte, è lecito chiedersi: quanto a lungo il suo apparato di potere può resistere e da dove potrebbe arrivare la sua fine? Avevo già in parte toccato questo punto sul finire della mia precedente analisi avente come soggetto la dimensione geopolitica della crisi bielorussa (v.articolo) ed ora tornerò su questo aspetto per cercare di gettare ulteriore luce su come potrebbe andare a finire la crisi bielorussa e quali sono le possibilità di successo per un eventuale “decapitation strike” diretto ad eliminare la leadership del paese.
Prima di tutto è necessario chiarire una volta per tutte che qualsiasi moto di cambiamento che porti alla caduta di Lukashenko potrà partire solamente dalla stessa Bielorussia e dalla Russia ma MAI dall'Occidente. Nell'ultimo periodo diversi quotidiani in Italia e altrove ci hanno inondato di pezzi, a volte anche firmati da nomi importanti della politica, del mondo accademico, del giornalismo e persino del mondo della filosofia (tra i quali merita di essere menzionato quel Bernard-Henri Lévy che, come il prezzemolo, non riesce a resistere alla tentazione di parlare di qualsiasi problema avvenga nel mondo) in genere facenti capo o alla cosiddetta “corrente dell'Atlantismo” o a quella della “sinistra liberal al caviale” (i cosiddetti “radical chic”) che nei loro sogni più selvaggi vorrebbero veder sventolare la bandiera della NATO e quella dell'Unione Europea a Minsk e in generale hanno un'idea da operetta su ciò che sia veramente la Bielorussia. A questi fa da contraltare un gruppetto di estremisti che potremmo definire “filo-putiniani” che, in una maniera a volte assai idiota, cerca disperatamente di dipingere ogni sommovimento che avviene nei paesi post-Sovietici come “trame condotte da una regia occidentale”. Per quanto mi riguarda, le conclusioni dei “filo atlantici”, della “sinistra al caviale” ed anche dei “filo putiniani” vanno tutte respinte al mittente.
Se vogliamo capire veramente cosa sta succedendo e come andranno a finire le cose, bisogna invece necessariamente partire da quelle che i Russi chiamano: “объективные условия на местах” (traducibile liberamente come “condizioni oggettive sul terreno”). Le condizioni oggettive sul terreno della crisi bielorussa sono le seguenti:
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Che piaccia o meno ai “filo putiniani”, i Bielorussi vogliono liberarsi assolutamente del regime di Lukashenko. I segnali che riceviamo dall'interno del paese sono chiari; dopo 26 anni di “regno incontrastato” e una cascata di errori che ho già descritto con dovizia di particolari nella prima analisi relativa alla crisi bielorussa, i Bielorussi ne hanno abbastanza di un kolchoziano privo delle più elementari capacità manageriali e che ha creato un potere che a tutti gli effetti può essere definito satrapale e para-mafioso;
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Che piaccia o meno ai “filo atlantisti”, i Bielorussi NON hanno alcuna intenzione di unirsi alla NATO che essi nella stragrande maggioranza considerano un'organizzazione malefica intenta a destabilizzare popoli e paesi (da questo punto di vista nessuno in Bielorussia ha dimenticato gli esempi di Yugoslavia, Iraq, Libia, Siria e chi più ne ha più ne metta);
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Che piaccia o meno alla “sinistra al caviale”, i Bielorussi NON vogliono che il loro paese diventi membro dell'Unione Europea. Questo fondamentalmente per due ragioni; primo, sanno di non meritarlo, dato che sono coscienti che il loro sia ancora un paese povero, secondo, perché l'Unione Europea ha dato prova di inefficienza nella gestione delle crisi più disparate e non riesce ad avere una politica veramente indipendente dalla NATO, e ciò rimanda al punto precedente;
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Allo stesso tempo, i Bielorussi NON vogliono che il loro paese venga assorbito dalla Russia e diventi una pura e semplice “regione bielorussa all'interno della Russia”, ma vogliono comunque che la Bielorussia rimanga in un rapporto di alleanza formale e fratellanza culturale con la Russia che essi vedono come “repubblica sorella” e centro di irradiamento della civiltà alla quale sanno di appartenere.
Ecco dunque che abbiamo trovato la quadratura del cerchio. Il nodo gordiano di tutta la vicenda bielorussa è: accompagnare Lukashenko alla tomba preservando nel contempo il collocamento della Bielorussia nella sfera d'influenza privilegiata della Russia: il cosiddetto “Estero Vicino”. L'unica persona che può ottenere tutto questo è Putin perché solo la Russia possiede le leve di potere all'interno della Bielorussia per attuare un “cambio di regime”. Attenzione però, nessuno ha mai detto che tale operazione costituisca un “gioco da ragazzi” nemmeno per un volpone, quantunque un po' invecchiato ed impigrito, come Putin!
Il primo elemento che bisogna considerare è la determinazione dei manifestanti bielorussi a protestare e scioperare ad oltranza per settimane o addirittura per mesi in modo da rendere ingovernabile la gestione del paese e spingere, se possibile, Lukashenko ad una reazione esagerata che provochi “un massacro di proporzioni contenute” (diciamo 100-200 morti in una volta sola) tale da screditare definitivamente quell'autocrate di fronte al mondo intero ed alla Russia in particolare. Persino una potenza conservatrice e ossessionata dalla “stabilità” come la Russia sarebbe a questo punto obbligata ad agire, di fronte a oltre 9 milioni di “fratelli bielorussi che gridano aiuto”. A quel punto, una volta presa la decisione politica di intervenire ed aver raggiunto un'unità d'intenti e di strategia con gli altri centri di potere e di influenza della Russia, il secondo passo da fare è quello di utilizzare le leve di potere che i Russi hanno all'interno della Bielorussia per fare sì che il loro intervento a gamba tesa nelle vicende interne del loro piccolo vicino non venga percepito come un'invasione. A tal fine è necessario che il Ministero degli Esteri della Federazione Russa e le varie agenzie di intelligence ingaggino in un dialogo serrato (e forse lo stanno già facendo proprio ora!) tanto lo “stato profondo bielorusso” che l'opposizione in modo che siano essi stessi a legittimare di fronte al mondo e al loro stesso popolo il fatto che la Russia “sta per compiere un regicidio”.
L'ultimo tassello del tutto sarà poi l'eliminazione fisica di Lukashenko, dei suoi figli e di quella parte del suo entourage troppo compromessa con i suoi crimini, eliminazione che, vista l'importanza dei bersagli, verrebbe affidata agli Spetsnaz del “Gruppo Alfa” e del “Gruppo Vympel” dell'FSB. Per questo è necessaria la pianificazione di un “dacapitation strike” efficace, comparabile con quello attuato dai Sovietici a Kabul nel 1979, e che anzi può fungere da eccellente modello di imitazione. Anche l'esperienza dell'occupazione della Crimea può essere di aiuto, laddove i militari russi riescano da subito ad interagire come forza positiva con i manifestanti bielorussi, magari sventolando la bandiera russa, la bandiera della Bielorussia e la bandiera dell'opposizione bielorussa tutte e tre assieme, presentandosi quindi come “i liberatori dal regime di un tiranno” e non come “gli ennesimi occupanti”.
Ma come reagiranno le Forze Armate e le Forze di Sicurezza sopra descritte una volta che le intenzioni russe diventeranno palesi e l'operazione di cambio di regime sarà messa in moto? Questa è la vera domanda da un milione di euro. Vista la capillare opera di penetrazione del dispositivo militare e di sicurezza bielorusso da parte di Mosca, è possibile affermare con un notevole grado di sicurezza che la maggior parte degli elementi delle Forze Armate e delle Forze di Sicurezza non solo non opporranno resistenza, ma aiuteranno attivamente i Russi nell'attuazione del loro colpo di mano. Anzi, il segnale dell'inizio dell'operazione “Stiletto” (nome di assoluta fantasia inventato sul momento!) potrebbe essere proprio una sollevazione dell'esercito contro il potere di Lukashenko (forse dopo la strage sopra ipotizzata). È tuttavia assai possibile che almeno una parte delle unità d'élite sia delle Forze Armate che delle Forze di Sicurezza non accetteranno il fatto compiuto e ingaggeranno una lotta all'ultimo sangue, non tanto per salvare il dittatore ma perché essendosi macchiati di pesanti crimini nel corso del pluriennale governo del kolchoziano, sanno bene che una volta che il suo regno sarà finito, possono aspettarsi come premio di finire in galera o, nel peggiore dei casi, la stessa pena capitale (che è bene ricordarlo, in Bielorussia è ancora in vigore!).
Ecco dunque dipanarsi lo scenario del contingente russo e delle forze rivoltose bielorusse impegnate a soffocare le azioni di resistenza dei corpi d'élite dei lealisti di Lukashenko anche a diversi giorni di distanza dall'uccisione del leader. L'esempio storico lo fornisce anche in questo caso l'Afghanistan laddove, il 1 gennaio del 1980, a 5 giorni di distanza dal successo dell'operazione “Storm-333” che portò all'uccisione del dittatore Hafizullah Amin, i vittoriosi soldati sovietici si misurarono con i paracadutisti del 26esimo Reggimento Paracadutisti, l'unità d'élite per eccellenza dell'esercito afghano, di stanza al forte di Bala Hissar. Al rifiuto degli Afghani di deporre le armi, i Sovietici mossero all'attacco e, dopo una violenta battaglia, annientarono completamente l'unità, massacrando circa 700 paracadutisti.
La possibilità che gli uomini delle forze d'élite di Minsk, quantunque “fratelli di latte e di sangue” dei militari russi decidano, non tanto per amore di Lukashenko, quanto per orgoglio di patria e onore d'unità di non arrendersi e di combattere fino all'ultimo non va affatto sottovalutata e come ottenere il loro disarmo al minimo spargimento di sangue rappresenta senza dubbio in questo momento uno dei grattacapi più pressanti dei pianificatori strategici del Cremlino.
Foto: MoD Fed. russa / Cremlino / fotogramma film "Viva Belarus!" / web / U.S. DoD