"La Grande Proletaria si è mossa." scrisse Pascoli in un suo celebre discorso del 1911, con lo scopo di celebrare la guerra Italo - Turca ed i benèfici effetti che, a dire del grande poeta, sarebbero ricaduti sulla neonata Italia.
Chissà cosa direbbe oggi il poeta di San Mauro di Romagna alla vigilia di questa nuova crisi libica.
Gli attori in gioco appaiono per paradosso sempre gli stessi, probabilmente con pesi differenti, ma comunque messi li a rivendicare diritti mai ottenuti, a recriminare su conflittualità mai sopite.
Nel lontano 1911 l'Italia conquistando la Libia minava in maniera irreversibile gli equilibri dell'Impero Ottomano ponendo forse le premesse a quella che di lì a qualche anno sarebbe stata la Grande Guerra, nel contempo i Balcani in fiamme oscillavano tra il tentativo di rendersi indipendenti, con una serie di conflitti regionali e la ricerca di accordi al loro interno finalizzati a realizzare una forza pan slava a guida serba che potesse frenare le spinte predatorie di vicini ingombranti come l'Impero Asburgico è quello Ottomano.
Guardando ai nostri giorni osserviamo "la piccola borghese" Italia, non per spirito di iniziativa, ma per una pessima gestione del proprio ruolo nella regione mediterranea, di fronte alla scelta di muoversi o restare a guardare, mentre la Turchia, non più ottomana tenta di ritagliarsi una posizione di potenza regionale attraverso il doppio ruolo giocato nei confronti dell'ISIS.
Gli uomini del califfato infatti se da un lato vengono avversati da Ankara, nel rispetto dei valori della NATO, di cui la Turchia è parte, d'altro canto sono un ottimo strumento per indebolire o addirittura distruggere i curdi, incamerare petrodollari dal contrabbando di greggio con cui il califfo Al Baghdadi finanzia le sue forze militari, ritagliarsi un ruolo egemone a scapito dei paesi balcanici, sempre più combattuti tra i fantasmi del passato e le incertezze del futuro, la Grecia ormai avviluppata nella rete della Trojka ed un medioriente sempre più in bilico tra Medioevo e distruzione.
Il presente come il passato mostra i suoi limiti anche a Londra e Parigi che non restano a guardare oltre il proprio interesse, ma al pari del 1911 finanziano militarmente un po' tutte le parti in lotta, in attesa di vedere chi vince per passare poi all'incasso.
Il dato odierno rispetto a cento anni orsono è però che nell'Europa unita vi è uno strisciante tira e molla tra Roma ed i partners continentali i quali cercano ad ogni crisi di infilarsi nelle aree di interesse nazionale italiano con lo scopo di minare il ruolo del nostro Paese nel mediterraneo. Manca all'appello l'Impero Asburgico, a dire il vero ben rimpiazzato dagli USA e dalla Germania, infatti anche questi hanno la propria bandiera militare o economica pronta a sventolare nei Balcani, in medioriente ed in parte dell'Italia, tuttavia a differenza della potenza imperiale austriaca non hanno gli strumenti culturali per afferrare le sottili trame politiche dello scenario globale, limitandosi a cercare di imporsi unicamente come riferimenti di mercato, senza comprendere la profondità delle questioni politiche internazionali.
In una partita a squadre invariate è proprio la comprensione delle regole del gioco e dei ruoli dei giocatori che al momento appare difettosa.
In siffatta condizione ben si colloca lo Stato Islamico, una forza politica che sfrutta gli spazi vuoti di uno scenario internazionale in cui agli occhi dell'occidente il particolare sembra prevalere sul generale.
È imperativo che si cambi direzione, l'Italia borghese o proletaria che sia deve muoversi e rivendicare il proprio ruolo, va compreso che gli interessi di alcune lobbies internazionali e l'ignavia della classe politica nostrana, non possono prevalere sull'interesse generale, altrimenti le nuove criticità si sposteranno sempre più a nord e l'arrivo delle "bandiere nere" nel cuore dell'Europa non saranno una mera minaccia propagandistica, ma un rischio concreto e tangibile.