L’impatto della crisi da coronavirus sulla sicurezza interna e internazionale. Una analisi breve, ma agghiacciante

(di David Rossi)
06/03/20

“Il nuovo patogeno altamente contagioso… può diffondersi rapidamente, e deve essere considerato in grado di causare un enorme danno alla salute, all’economia e all’intera società umana in qualsiasi ambiente… Costruire scenari e strategie solo sulla base di agenti patogeni noti rischia di non far sfruttare tutte le misure possibili per …salvare vite umane”. Così concludevamo, nel penultimo paragrafo, il nostro precedente articolo.

Ora, in estrema sintesi, proviamo a puntare la nostra analisi non sull’impatto economico e sanitario di una possibile diffusione del COVID-19 con ampiezza pari a quella dell’influenza stagionale, ma sul settore della sicurezza, vale a dire su quelle migliaia o in certi Stati milioni di uomini in divisa, militari e non, tecnici, amministratori, politici e esperti che garantiscono il rispetto della Legge e la sicurezza interna e internazionale di ogni Paese, a partire dal nostro.

Quanti uomini possono perdere, anche nel breve periodo e non in modo definitivo, una divisione, una brigata, un ufficio amministrativo, un’assemblea elettiva, prima di cessare di funzionare in modo coerente col sistema?

La risposta non è univoca. Tuttavia, è di facile comprensione che i componenti delle Forze dell’ordine, delle Forze armate e i pubblici amministratori si vengono a trovare, al pari del personale sanitario, più spesso in situazioni in cui, sempre citando il recente rapporto dell’OMS, la stretta “vicinanza e il contatto tra le persone… in ambienti potenzialmente contaminati potrebbero amplificare la trasmissione”. Aggiungiamo il contributo di medici e infermieri militari alla sanità civile, che potrebbe privare i tutori dell’ordine del meglio dell’assistenza a loro disposizione.

Non dimentichiamo, poi, che basterebbe che una caserma o un ufficio entrassero in contatto anche con un solo caso per costringerli, nella migliore delle ipotesi, a due settimane di quarantena. Capite che un delinquente o un terrorista infetto potrebbero, senza sforzo, togliere dalla circolazione interi equipaggi, caserme o uffici della procura con la loro semplice presenza.

Potremmo aspettarci, quindi, che lo Stato avrà in certi periodi e in certi territori a rischio anche meno della metà dei tutori dell’ordine a disposizione, a combattere il crimine organizzato, il terrorismo e le altre minacce alla sicurezza dei cittadini.

La situazione, se possibile, si fa ancora più complicata nel caso delle missioni all’estero delle Forze armate, anche di quelle italiane. Per fare un solo esempio, ma significativo, la missione UNIFIL in Libano comprende parecchie migliaia di uomini, la gran parte forniti da Cina, Sud Corea, Italia, Francia, Spagna, Malaysia, Germania e Austria, tutti Paesi che ospitano i nove decimi dei casi di COVID-19. Il Libano stesso ha già 15 casi, ma soprattutto per via degli stretti legami con la Repubblica Islamica Iraniana, potrebbe già averne al suo interno decine di migliaia.

Chi l’avrà vinta prima fra la paura dei Libanesi per il contagio portato dai militari stranieri e la necessità per i Paesi partecipanti di richiamare il loro personale, soprattutto quello medico, per non esporlo a inutili rischi di contagio? Che dire di tutte le altre missioni in cui decine di migliaia di civili e uomini in divisa sono impiegati per garantire lo status quo?

Un discorso analogo, ma per altri versi persino più inquietante, può valere per quei Paesi, come la Svizzera, ma soprattutto Israele, dove vige il sistema del cittadino in armi. Per costoro, la possibilità di perdere molti effettivi anche senza combattere e di trovarsi con riserve spendibili troppo scarse è un problema reale. Così come l’impossibilità di condurre esercitazioni, foriere di aumentare il contagio. Non a caso, Israele ha imposto la quarantena ai viaggiatori provenienti non solo dall’Italia, ma da tutti i Paesi con una massiccia insorgenza del COVID-19, oltre ai territori palestinesi dove sono proprio ieri apparsi i primi casi.

Questo è solo l’inizio: attorno allo Stato ebraico, tutti i Paesi islamici, a differenza dell’Iran, hanno imposto il silenzio sugli ospedali che ribollono di casi di polmonite atipica, compresi molti effettivi e riservisti. Ogni Paese della regione mediorientale spera, parafrasando un vecchio adagio, di essere l’ultimo che il coccodrillo divorerà.

Ci sono, poi, i Paesi tecnologicamente avanzati e che svolgono il ruolo di potenza regionale, quelli - come la Turchia ad oggi priva di casi “ufficiali” - che hanno una forza aerea e una marina militare in grado di proiettarsi in una regione… a patto di avere un numero sufficiente di piloti che possano alzarsi in volo!

Che succederà in Siria e in Libia quando una delle parti si troverà con le truppe falcidiate da febbre, dissenteria, tosse e congiuntivite? Per non parlare dei casi con complicanze respiratorie serie che non potranno certo tornare subito a volare o a navigare dopo un mese di ospedale. Il Paese con meno infetti tenterà una sortita disperata?

Infine, rimangono i Paesi tecnologicamente più avanzati di tutti, in primis gli Stati Uniti. Questi ultimi, credono di gestire la crisi facendo pagare tremila dollari a tampone ai casi sospetti? Oppure si troveranno, per la prima volta, a dover dirottare risorse enormi dal pingue budget militare a quello della sanità, per una causa che si chiama salvezza nazionale?

Sempre citando il suddetto report dell’OMS, gli Stati uniti, al pari di “gran parte della comunità globale non sono ancora pronti, nella mentalità e materialmente, a attuare le misure che sono state impiegate per contenere COVID-19 in Cina”. E tuttavia “queste sono le uniche misure che - è attualmente dimostrato - possono interrompere o minimizzare le catene di trasmissione nell'uomo. Fondamentale per queste misure sono la sorveglianza proattiva per rilevare immediatamente casi, la diagnosi rapida e l’isolamento immediato del caso, oltre al tracciamento rigoroso e alla quarantena dei contatti degli infettati, insieme a un grado eccezionalmente elevato di comprensione e accettazione di questi le misure da parte della popolazione”. No, definitivamente il Pentagono e la sanità pubblica si troveranno a tirare da una parte e dall’altra una coperta divenuta davvero troppo corta per un Paese con un enorme debito pubblico e oltre 100.000 miliardi di dollari di impegni di spesa futuri ancora non coperti.

Non sappiamo se davvero il COVID-19 avrà un impatto così devastante sulla sicurezza: ancora una volta, speriamo di non aver azzeccato la foto della situazione futura. Sappiamo che “si sta diffondendo con una velocità sorprendente” e che le sue epidemie “in qualsiasi contesto hanno conseguenze molto gravi”, cosa che appare ben evidente a noi italiani.

Se non prendiamo al più presto coscienza dei pericoli a cui il sistema va incontro, in particolare per un possibile collasso del… firewall rappresentato dalle Forze dell’ordine, e non immaginiamo, progettiamo e proponiamo modi per tamponare le falle, le conseguenze di questa crisi dureranno per anni e anni anche dopo che saremo stati tutti vaccinati dal coronavirus.

In un tale scenario, l’impatto del COVID-19 sull’economia, le istituzioni e la società sarà così devastante da far sembrare le crisi del 1929 e del 2008… delle gite in campagna.

Foto: Arma dei Carabinieri / Unifil / U.S. Army